Allegrezza – Biografia


Paolo Allegrezza (1962), laureato in Lettere moderne e in Scienze Politiche presso l’Università di Roma “La Sapienza”, vive e lavora a Roma dove insegna in un liceo. Si occupa di studi storico – politici e letterari. Ha pubblicato in volume: L’amministrazione assente. Uffici e burocrazia municipali a Roma da Pio IX alla febbre edilizia 1847 – 1882 (Istituto nazionale di studi romani, 2000); Edizione italiana (con traduzione dall’inglese e saggio introduttivo) di Una breve Storia d’Inghilterra di G.K. Chesterton (Rubbettino, 2003); Statuta Terrae Pontiani. Diritto e organizzazione della vita sociale in una comunità dell’alto Lazio nel XVII secolo (Giuffré, 2003); L’élite incompiuta. La classe dirigente politico – amministrativa negli anni della Destra  storica 1861 – 1876 (Giuffrè, 2009); La sindrome di Tolomeo. Sinistra e questione istituzionale 1978 – 2008 (Aracne, Roma, 2010); Per Roma. La sinistra e il governo della capitale, Idee per un progetto possibile (Scriptaweb, Napoli 2012, II ediz., dicembre 2013); Materiali Magazine. Antologia 2009 -2012 (Lulu, 2012). Collabora a «Mondoperario» su cui ha pubblicato anche articoli di letteratura consultabili in https://www.academia.edu/.


Collaborazioni di Paolo Allegrezza:


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Una risposta a “Allegrezza – Biografia”

  1. Gentilissimo Paolo ,
    Con curiosità e interesse ho avuto sorte di leggere il suo “le neo avanguardie napoletane, mi ha affascinato la citazione finissima su Boccaccio , penso che è una squisita intuizione alla quale era difficile arrivare. mi è piaciuto il taglio sintetico e storico che ha dato all’argomento. Mi ha anche citato, anche se non pratico più attività estetiche, grazie. Nel suo scritto manca un accenno ad Elettroni, una rivistina presto abortita che potrebbe rappresentare l’altra larte della medaglia. Lo scritto che la accludo fu epubblicato sulla rivista digitale di Aldo Elefante
    “Un calabrese futurista a Napoli ”
    Non solo la cultura negli anni trenta del secolo scorso da noi fu di caos e confusione, l’intelligentsia nostrana già fuori dal contesto internazionale, era stata imbrigliata e soprattutto silenziata da un regime mediatico che distribuendo medagliette e vari privilegi a quegli intellettuali che si pensava contassero o vociassero di più, pagava l’acquiescenza dei primi e l’entusiasmo di tutti quelli più o meno arrivati che speravano in commendatizie, prebende e notorietà, mostrando una loro entusiastica aderenza ai dettati del momento. Come in tutti i governi dittatoriali le ideologie erano letteralmente martellate dai mass media; i più furbi mostravano adesioni, anche sfegatate, in funzione di quell’arrivismo più o meno contenuto e talvolta premiato da successi locali, fiorivano le cattedre per “Chiara Fama” che assicurarono sinecure e successi a qualcuno e la speranza di carriere fortunate agli altri.
    Il successo internazionale del primo futurismo era innegabile e sarebbe stato molto difficile per il regime liberarsi di questi intellettuali che erano stati anche interventisti convinti; il rivoluzionario Marinetti diventa accademico con tanto di divisa feluca e spadino, in barba a quelle mise futuriste appunto, che con Russolo e Severini e gli altri della prima ora, aveva indossato per il mondo.
    Ecco il diffondersi per l’Italia di riviste, manifesti e foglietti che tentavano di ripetere quelle fortune che avevano reso fama al movimento nei primissimi anni del secolo. Il mondo fascista governava le turbolenze dei giovani più acculturati che credevano veramente in quel nuovo mondo, così propagandato dal regime, in cui arte e politica camminassero di pari verso un orizzonte di luminosi successi, i più anziani quasi sempre senza grandi idee, ma con molte velleità, spingevano di pari, sperando che l’adesione all’ideologia del potere potesse avvantaggiarli nella strada del successo.
    Quelli che maggiormente erano pervasi della fiducia nell’avvenire e in quella fede di rinnovamento e cultura promessa da manifesti, opuscoli serate teatrali e quant’altro, erano proprio quei giovani che anche nelle regioni periferiche dell’impero ammaliati dal massiccio indottrinamento del regime, avevano finito per credere in un futuro limpido e glorioso.
    l’analfabetismo, in Calabria, che già dall’unità d’Italia, era carente di vere istituzioni culturali, toccava punte del novanta per cento, i giovani accedevano, probabilmente per censo agli studi superiori, spesso fuori della loro terra. Così il giovanissimo Gallina, dissidente con i principi della sua famiglia, benestante ma anche retrograda e forse gretta, scappa a Napoli dalla natìa Corigliano dove finisce con frequentare l’Istituto d’Arte.
    Sono anni molto duri per i giovani napoletani intrigati tra ideologie e personaggi ambigui , Caruso acutamente annota: “ Quando si pensi a pubblicazioni come il citato catalogo “La mostra coloniale a Napoli” o l’altra “Napoli anno XIIII” 1936, , e chiaramente e dichiaratamente fasciste e ufficiali , ove si parla di Napoli e dell’Impero ‘Da Napoli per l’oltremare’ di ‘Napoli dell’anno XIV ‘ articolo in cui avviene la stessa esaltazione senza neppure la giustificazione artistica , ma dove soprattutto è dato di incontrare nella prima come collaboratori Guglielmo Pierce e Paolo Ricci, e nella seconda come autore della “Copertina e Format” ancora Paolo Ricci, cioè persone, che stando alle loro stesse dichiarazioni, in quegli anni erano già sicuramente marxiste”, e tracce pesanti di queste complicità e connivenze comportamentali si ritrovano anche in altri accadimenti e realizzazioni pubbliche dell’epoca . Gallina è circondato da situazioni complicate e spesso ambigue, anche all’interno del movimento futurista, con l’ingenuità e fiducia si rivolge primariamente a Marasco e a Marinetti perché appoggino la sua rivista Elettroni, ricevendone incoraggiamenti praticamente elusivi. D’altronde come riporta anche Crispolti che cito testualmente “Sappiamo che una delle caratteristiche del futurismo in quanto movimento non è solo quello di essere, fra i movimenti artistici contemporanei, organizzato secondo una sorta di precisa gerarchia (specialmente all’inizio molto vincolante), ma anche di manifestarsi, fra gli anni venti e trenta, ubiquitariamente.
    Col gruppetto, durante un azione futurista, Gallina con Cocchia, Cervone, Caracciolo e forse Boccafusca, vengono fermati dalla polizia e sarebbero stati certamente trattenuti da un maresciallo che a sentire che erano “futuristi” e soprattutto “Indipendenti” li scambiò per anarchici, furono tratti in salvo molte ore dopo, Aldo Stella, più anziano di loro e reduce da ex capitano dalla grande guerra, spezzò una lancia in favore degli scalmanati “futuristi indipendenti” che furono cosi rilasciati. Quello di pretendere di essere “Indipendenti e futuristi di “sinistra” è una cosa che evidenzia nonostante il rigido inquadramento cui era sottoposto il movimento una volontà di indipendenza intellettuale di questi giovani artisti napoletani .
    Che Gallina in quegli anni fosse tormentato dalle necessità è cosa che scontano tutti i giovani artisti, specie quando hanno già una famiglia da mantenere, la sua casa comunque costituiva un ritrovo per questi bohemiens scapoli e spesso affamati più di spaghetti che di gloria. Gallina era circondato da amici e come accade spesso tutti erano certi in pectore di essere furbi e anche più bravi dei compagni di cordata.
    Bisogna delineare, per quanto si possa, la figura di Gallina che negli anni ’70 appariva come un signore borghese allineato e coperto, sfuggente al suo passato di artista, non mi disse che dopo anni, di essere stato un futurista e un poeta, anche se si affacciavano nei suoi racconti quei personaggi, che si erano costruita una verginità democratica ma che avevano se non ben banchettato, almeno vivacchiato con la nomenclatura del passato regime.
    Non è che disdegnasse o rinnegasse parlare del passato, dopo la guerra cui aveva partecipato da ufficiale, si ebbe congratulazioni e stretta di mano dall’ufficiale inglese che presiedeva il comitato di epurazione, quando, a domanda diretta, dichiarò di essere stato fascista, il colonnello ironicamente esclamò che finalmente era la prima volta che riusciva a vedere da vicino un fascista da quando era in Italia, tutti quelli che aveva interrogato prima avevano giurato e spergiurato di non esserlo mai stati. Questo era Gallina, uno spirito libero e responsabile e fiero della sua esistenza. Che fosse un uomo più che ligio, e conservasse il piglio del futurista, lo prova questo episodio che mi fu raccontato da Raffaele Cardillo, un funzionario del PC napoletano, Gallina amava molto il cinema, alla fine degli anni sessanta durante l’intervallo fu avvicinato, nel cinema Santa Lucia, da un noto giornalista che in compagnia di altre persone lo apostrofò con “Gallina, permetti che ti presenti Luky Luciano ?” Gallina guardandolo duramente in viso ad altissima voce in modo che sentisse tutta la sala, rispose” Non solo non te lo permetto affatto, ma ogni volta che ti accompagni a simili personaggi e incroci me cambia subito marciapiedi”.
    Dopo la guerra Gallina era ritornato al lavoro istituzionale di prima , la famiglia cresceva e certo, pur continuando a scrivere su riviste tecniche, aveva completamente sepolto i suoi sogni al punto che subito tornato dal fronte distrusse gran parte della vecchia corrispondenza che aveva avuto con quei personaggi, così compromessi, legati al fascismo e al suo divenire. Le poche lettere e gli scarsi appunti che Gallina con l’avvento della democrazia e il suo ingresso in una attività burocratica, aveva conservato, riposte e ben dimenticate in uno scatolone sul mezzanino, furono per caso ritrovate dal figlio Gabriele e da questi affidate a Luciano Caruso perché le riordinasse.
    Per il progetto, abortito, della rivista Panfuturismo aveva molto lavorato anche sperando e sollecitando collaborazioni ritenute all’epoca illustri e collegate a un certo establissement. Scambiava lettere chiedendo partecipazione con scritti, ma anche aiuti e impegni o almeno volontà di diffusione promozionale. Riceve in parte belle parole e velate richieste di coperture e dimostrazioni operative, come il menabò e piano organico della pubblicazione e si sa che un poeta “Indipendente” per giunta futurista è molto restio a palesare a chiunque il progetto relativo un suo di lavoro in divenire. Intanto i fatti maturano, Elettroni si ferma al menabò del secondo numero e qua la conoscenza diretta che abbiamo della vita artistica di Luigi Gallina entra nella nebbia. L’esperienza di Elettroni è fallimentare, chiaramente secondarizzata e certamente non incoraggiata dai papaveri o da quelli allora ritenuti tali. Come accade, dove mancano le grandi idee i papaveri puntano, si arrampicano sulla massa pecorile di adepti ammiratori. Elemo D’Avila ( è l’autore di libretti come ”Il Re Invitto” “La vita eroica di Costanzo Ciano”) molto dall’alto, condanna persino il titolo Panfuturismo che Gallina vuole dare alla testata in gestazione, addirittura suggerendo in modi, possiamo dire, tanto siamo in carattere! Pseudo autoritari? Un secondo titolo senza alcuna reale giustificazione né della logica né dell’estetica.
    L’intelligenza filologica di Caruso esperto del futurismo ma ancor più dello sviluppo delle idee e del loro divenire, ha messo in luce, le ultime ignote opere che vegetavano, inedite e obliate a quell’epoca (1935) follemente sperimentali in quella Italietta, stereotipa, allineata e coperta, quella stessa che dopo si nascose nei vagiti di tanti antifascisti del dopo.
    Gallina ha certamente uno spirito fermo e decisionale. Con la storia delle riviste, e del futurismo nel quale ha creduto, sembra intuire che lo circonda una sorta di sottile, forse ostile diffidenza, forse anche malevola, da parte di quelli che considera maestri arrivati o importanti, che pensa dovrebbero essergli alleati e stendergli una mano come accade anche oggi tra artisti di una certa qualità e della stessa linea, certamente deluso si chiude a riccio e intuisce che le forme stereotipe di un’esperienza ormai morta, perpetrata da storici cadaveri, non costituiscono motivo di arte ma solo di promozione social-politica .
    Rinuncia perché si sente in qualche modo assediato nel recinto della solitudine, vede matura l’essenza delle sue idee, sperimenta, o meglio scopre, in un anelito di rivolta al conformismo cui la società lo ha indirizzato, che la strada del fare non solo è diversa, ma è molto più vasta, libera, più ardita e sperimentale di quello che il contesto storico politico presente pretendeva. Comprende in ritroso silenzio, intuisce o capisce che segni e suoni sono essenzialità ontologiche che vivono, possono essere, sono e diventano poesia. Che le parole, non più attraverso la conformazione abituale di contesti ordinati in modo lineare e grammaticale, dovranno riflettere le loro connessioni visuali e superficiali. Non sarà più il succedersi delle parole nel cognito a rappresentare il principio costruttivo che origina questo genere di poesia, ma il loro stare insieme nella percezione. La parola non avrà più l’uso di veicolo intenzionale della significazione, ma, al di là di questo, sarà elemento materiale, in modo che significato e configurazione si determinino e si esprimano reciprocamente. Gallina inventa, forse codifica, il modo di produrre le sue nuove idee, e con questo archivia e supera completamente i legami del passato. Che poi in anni di là da venire, abbiano inventato anche a uso di grafici e poeti, computer, algoritmi, cibernetica e che nel ’64 Bense e Dohl abbiano codificato una nuova sperimentazione estetica è noto, come è certo, che da ciò sortivano i mezzi “diversi” per produrre elementi linguistici come suoni, e forme grafiche isolate e indipendenti ; cioè vedeva luce l’uso di mezzi altri per produrre immagini non più dipendenti dalla parola. Ma è pur vero che non è la sola tecnologia, né l’uso di “effetti speciali” che ci possono fare costruttori di nuovi linguaggi e di poesia.
    Come giustamente osserva Caruso: i primi e non tardivi esperimenti della poesia concreta, (infine di questo si tratta), si devono a Carlo Belloli, i suoi testi “Poemi Murali” (1943) uscirono nel 1944, come superamento consequenziale della scrittura futurista e ricerca del formale assoluto, guarda caso! Con prefazione di Marinetti. Praticamente era quanto Gallina aveva anticipato qualche anno prima e con risultati spesso più rigorosi, senza l’incoraggiamento e la spinta di nessuno, nella solitudine più nera e nella certezza che con quanto faceva stava mettendo fine alla parola “Poesia” e sfondava la strada delle premesse storiche del futurismo in una direzione nuova e di grande impatto estetico; proprio come aveva auspicato nella lettera che riporta Tonino Sicoli , “lo scrittore Luigi Gallina, organizza un gruppo campano di iniziative, che punta su Marasco come nuovo capo del futurismo italiano:…. le stramberie sostiene Gallina non attirano il pubblico c’è bisogno di cose nuove indiscutibilmente utili e possibilmente economiche, ecco perché siamo nettamente divisi. Ci hanno già battezzati di sinistra ed accettiamo l’autonomia”. Questa ultima frase sembra definire chiaramente quella posizione che Gallina concreterà nelle successive tavole parolibere quando nel più gretto provincialismo si era inclini a confondere la saggezza con la conoscenza e la conoscenza col vuoto intellettuale congelato dal regime.
    Va qua ricordato l’articolo di Rinaldo Longo –“Luigi Gallina ebbe il gusto per la trasgressione e gli engagements propri delle avanguardie della prima metà del secolo scorso. Egli, come dicevo, sperimentò l’espressione attraverso intervalli frastici e concentrò la sua attenzione sulla scomposizione linguistica, in opposizione all’uso che nella scrittura

    tradizionale si fa dei grafemi e delle sillabe. Non si tratta di “calligrammi” alla Apollinaire, che, fra l’altro, non è negabile che siano stati suggeriti al poeta francese dalle marinettiane parole in libertà, ma di una vera e propria distruzione del significante della parola scritta, attraverso una segmentazione e una disposizione non più necessariamente rettilinea orizzontale dei piccoli segmenti ottenuti, generando, a volte, una specie di ideogrammi, altre volte delle suggestive figure note e altre volte ancora delle tavole dal carattere esoterico o ludico, così che ti sembra di assistere ad un ritorno alle origini dell’arte figurativa, cioè a quando essa era trasposizione simbolica e non calco della realtà, ed era quindi, come dice André Leroi-Gourhan, “direttamente collegata al linguaggio”, molto vicina alla scrittura……….. “Nello stesso tempo egli mira ad annullare il tempo e a dirci intanto che il passato più remoto, quello dei primordi dell’universo e dell’uomo, non è diverso da quello del futuro o viceversa che il futuro più lontano non è diverso dal passato più distante. Colta quindi in un suo singolo segno, l’arte di Gallina ci presenta una situazione paradossale che ci narra di un universo senza tempo a bassa entropia e ad alta concentrazione di energia oscura ad enorme densità, nello stesso tempo però i suoi segni sembrano elementi rarefatti colti in uno spazio ad altissima entropia, un universo vuoto. Tutto in un deciso incorporamento della teoria della relatività generale (1916) di Einstein(5) .
    Luigi Gallina, inoltre, ci dice che rispetto al futuro ci troviamo ancora oggi in una situazione di bassa entropia, infatti ancora oggi si hanno accesi fermenti a cui il Futurismo ha dato luogo, fermenti che noi per vari motivi non percepiamo come eventi originatisi dalla stessa matrice del Futurismo ma come slegati da questo. Tutto ciò principalmente per via del fatto che si cerca di rimuovere il Futurismo come fatto storico, per le conseguenze che, sposando la politica, scatenò. Comunque sia, certo nel segno di Luigi Gallina trovi i caratteri d’una implosione, unico e solo mezzo che può scatenare linguaggi nuovi e un riposizionamento rispetto a ciò che la mente intuisce. Infatti egli credeva, come Majakoskij, che da una mente proiettata verso il futuro può scaturire un presente nuovo. Il futuro del Futurismo sta quindi in forme di comunicazione alle quali deve corrispondere un nuovo senso del mondo unito alla necessità per l’individuo di comunicare con tutti i popoli della Terra. Questo per Gallina può essere fatto con i segni universali, quegli ideogrammi, quei pittogrammi e quelle sonorità dell’uomo dei primordi della civiltà lontano dagli inquinamenti della superstizione maligna.
    Sarà giusto, se possibile, arguire che difficilmente negli anni trenta Gallina avrebbe potuto esternare le sue “tavole” trovare un editore di cotanto coraggio sarebbe stato un miraggio, senza quegli appoggi autorevoli che gli vengono negati financo per la stampa di una rivista come Elettroni e peggio per Panfuturismo, i tempi, la società e la cultura, non erano pronti ad affrontare una rivoluzione che poi diventerà epocale negli anni sessanta.
    Vale bene qui riportare una parte del manoscritto ritrovato tra le care di Gallina che sembra mettere in luce la sua posizione relativa a Marinetti (una visione nuova albeggia nel immaginario di Gallina sul modo di poter fare poesia)“ Per un manifesto dall’aggettivo “Semplicista”.——- Dato che possiamo affermare di essere stufi di novecentismo, condividiamo solo in parte le teorie del filippone: scialba, inespressiva, priva di quella simultaneità scenica di gaio-triste, quest’arte in uso presso le nazioni nordiche, alcune delle quali ne hanno fatto un monopolio di stato, non ci convince. Purtuttavia il campo non è circoscritto di linee novecentiste, e per una ricerca del nuovo non è proprio il caso di ingolfarci ex novo nelle teorie di una scuola che dovrebbe essere, secondo l’autore del manifesto, semplice e nello stesso tempo rude. Abbiamo in voga pratico (?….) composizione architettonica (naturalmente astratta) il quale nel suo complesso di linee tipiche che formano l’estetica della macchina, forma oggetto di idee semplici ma presentabili. Si ritiene che tanto sia sufficiente per dare all’arte una fisionomia armonicamente connessa all’organismo funzionale di un popolo. Di conseguenza la richiesta del Filippone anche in questo campo è sorpassata. Anche se lui, semplicista, sente il bisogno di un’arte assolutamente nuova che non sia novecentista né pressappoco futurista”.
    Il clima culturale della Napoli del dopoguerra e fino agli anni sessanta era governato da alcuni di quei personaggi che dopo l’armistizio si erano rifatta una certa verginità iscrivendosi al P.C. o alla Democrazia Cristiana, tanto non era nelle ideologie che si riconoscevano ma nel desiderio di restare a galla, comunque, l’indirizzo che i più intellettuali tra loro tentavano di diffondere, o comunque difendevano, era sicuramente quello della corrente guttusiana nelle arti figurative e del romanzo vernacolo-verista nella letteratura, lo spazio per i poeti praticamente non esisteva,
    Nonostante siano trascorsi molti anni è ancora difficile affrontare serenamente un discorso sulla temperie di quegli anni, la scena culturale immediatamente dopo l’armistizio e fino agli anni di piombo inquinata dai ricordi crociani e dalle insistenti premesse, non solo in Italia, di derivazione lukacsiana, che in un primo momento galopparono con l’avvento del neorealismo stemperandosi man mano con la scoperta della grande letteratura internazionale. Fu dopo l’avvento del gruppo ’63 e gli slanci rinnovatori di Anceschi che la scena, ma non solo di quella propriamente letteraria, cominciò ad aprirsi. Prima che Anceschi nel ’74 diffondesse da noi l’Aestetica di Bense, poeti come Gallina e Belloli forse sarebbero stati riconosciuti solo da una ristrettissima elite di intellettuali.

    BIBLIOGRAFIA

    1. M. Caracciolo “il gruppo futurista a Napoli “in Futurismo” n° 9 Roma 6/11/32
    2. Le lettere di Luigi Gallina in: L. Caruso “Futurismo a Napoli” Colonnese 1977
    3. L. Caruso – Futurismo a Napoli- Colonnese 1977
    4. L. Caruso e S.M. Martini – Tavole parolibere futuriste 1912-1944 – Liguori Napoli 1977
    5. Luciano Caruso – Il Colpo di Glottide- Firenze Vallecchi 1980
    6. Luciano Caruso – note e commenti “Collusioni Conclusioni” in Doedalus 13/1996-1997
    7. Matteo D’Ambrosio –il Futurismo a Napoli – ed Morra 1990
    8. Luciano Caruso in Catalogo della “Mostra della Calabria Futurista – Cosenza 1997
    9. Vittorio Cappelli – Tra Analfabetismo e Futurismo – in Calabria Futurista – Cosenza 1997
    10. Tonino Sicoli – Quei nostri Futuristi così autonomi e dissidenti- Calabria 9 1997
    11. Tonino Sicoli – La Calabria Futurista – in Gazzetta del Sud – Cosenza 19/5/97
    12. Rinaldo Longo -Futurismo – Futuro del futurismo e Luigi Gallina– 7 genn. 2009 in Bit Culturali – On Line
    13. Adriano Spatola – Max Bense, teorico della poesia concreta in “Rot” 21 (1965)

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