LUCIANA GRAVINA, La strategia del terrone di Gianfranco Martuscelli

Il protagonista di questo romanzo è il dandy terrone, raffinato, ironico, battuta pronta, impegnato a fingersi disincantato e decadente. Tra i livelli semantici che si intersecano nella tessitura della narrazione, sicuramente l’ironia occupa una posizione primaria come cifra  di decodificazione. D’altronde l’autore stesso ne indica la funzione guida attraverso gli ex ergo (A Marisol che già sa ridere) e un estratto da Leopardi (Grande tra gli uomini e di gran terrore è la potenza del riso:… Giacomo Leopardi, Pensieri, LXXVIII).  Non a caso la quarta di copertina vanta una nota di Maurizio De Giovanni che conclude con l’invito a leggere questo romanzo e a divertirsi perché si tratta di una scrittura “colta e frizzante”. C’è da capire qual è la funzione di questa scrittura/struttura che muove al riso e quali difese riesce a garantire al protagonista che così reagisce agli accadimenti della sua esistenza.

L’andamento confessionale ci consegna un personaggio  in apparente scacco da parte di una realtà dispettosa e malandrina. Che gli propina innanzitutto un padre disinteressato il quale, in quella quasi unica volta che lo porta con sé attraverso le sue immense proprietà terriere, rendendo felice, ovviamente, questo figlio adolescente che finalmente ha un contatto umano con lui, gli confessa che ha perso al gioco tutte le sue sostanze.  È un duro colpo per il nostro protagonista il quale comincia a rafforzare quella che sarà poi la strategia di sopravvivenza per tutta la vita: una lenta e protettiva distanza dalla vita, non nuova, perché già a scuola lo chiamavano moscione, ma sicuramente da ora in poi adottata sistemicamente e spesso sostenuta da malesseri psicosomatici e non, che lo preoccupano, ma che non estinguono, né scalfiscono il suo raffinato teatro da scettico blu.                                                                                                                 

Ma, come tutti gli attori che entrano bene nel personaggio, soffre anche, e ne condivide le emozioni. Cosicché è mammone, piange dietro gli occhiali, si innamora, è deluso dalla politica, è invidioso del suo collega bagnino, assume come punto di riferimento Aldo, il padre del suo migliore amico, adotta un cane che avrebbe voluto uccidere, producendosi così in tutte le contraddizioni possibili. Anche il calcio nel fondoschiena della sua donna per il quale il piede si è mosso autonomamente è uno di quei casi in cui il corpo pensa senza scomodare la mente. Se avesse pensato, non l’avrebbe mai fatto, lui di fatto è un mite, per cui non capisce e non capirà mai perché Miriam l’ha lasciato.                                                                                        

La narrazione prende l’avvio da un letto di ospedale dove il protagonista sa che sta morendo a causa di un infarto più severo dei precedenti, e sa che tutta la vita sta per passargli davanti. Lui sceglie di raccontare «solo una porzione della mia vita sfigata, gli ultimi diciassette anni, quelli più significativi, o meglio, meno insignificanti.» Così la narrazione si snoda attraverso una scrittura non ingenua, ma di uno che sa quella che fa. Ad esempio, uno dei filtri di maggiore efficacia è il rapporto dialettico con Aldo e con la psicologa La Morte attraverso i cui dialoghi passano fatti, persone, sentimenti, emozioni, drammi, e dai quali  fa esplicitare il proprio pensiero alternativo/oppositivo, cioè quello del suo alter ego.                                                                                                                                

La conclusione  è un colpo di coda di assoluto effetto scenico perché sposta tutto l’armamentario del romanzo. Innanzitutto il punto di vista, che con un bel salto cronologico non è più quello del protagonista, che si dà per morto, e anche questo è un elemento scenografico non proprio consueto, ma è quello del narratore.  Inoltre elabora il ribaltamento del climax disforico che percorre tutto il romanzo e sfocia in una condizione di vitalità e di giovinezza, visto che i protagonisti sono i giovani Lucio e Ranil.                                                                                                          

Un excipit di tutto rispetto nel quale il narratore ci informa che, prima di morire, Alessandro, ha avuto modo di rivelare personalmente all’adolescente Lucio che è suo figlio.                                                                                                                     

Un riscatto in punto di morte. Niente male, se è un modo di mettere al centro della vita l’amore, l’autostima e le emozioni che il protagonista aveva rincorso per tutta la vita.

Gianfranco Martuscelli
La strategia del terrone
Edizioni Dialoghi, 2021, pp. 164

Biografia di Luciana Gravina


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