MARCO PALLADINI, Creando Chaos

(Spoken Rock Poetry)

Testi poetici e voce recitante: Marco Palladini

Musiche composte ed eseguite

alla chitarra elettrica: Gianluca Mei

Registrazione, missaggio e masterizzazione:

Paolo Modugno, Studio Oasi, Roma, 2023

*

Da qualche parte conservo un fascio di vecchie lettere speditemi da Marco Palladini. (Quando ancora ci si scriveva per posta!) Una corrispondenza della metà degli anni ’90. Ormai quasi trent’anni. Marco vi citava a suggello l’immancabile Hölderlin del «ma dove è il pericolo, cresce / anche ciò che salva.» Vi definiva la propria vocazione-scelta di campo poetico come basicamente ribelle-rizomatica. Vi ribadiva la propria urgenza di una lingua nomadico-bastarda. Di un dettato anfibio-anfibologico. Di una vocazione alla rivolta contro il chaosmos postmoderno, a una guerriglia viral-totale che fosse inestricabilmente estetica, etica, noetica. Di versi che dalla pagina a stampa premono-invocano il multiverso agonico di una performance (sonora anche teatrale). Quelle lettere sono la miglior conferma – se davvero ce ne fosse bisogno – di una ostinata fedeltà intellettuale, di una carriera tutta improntata a luterana coerenza-onestà, di un’inossidabile-testarda aspirazione a rigore di prassi poietiche.

Questo mi è tornato in mente, ascoltando-godendomi i 13 pezzi nuovi di zecca che compongono il concept Creando Chaos (Zona editore, 2023): nuova e avvincente avventura di spoken poetry firmata da Marco a quattro mani con il chitarrista Gianluca Mei. Voce sola e sei corde di chitarra: un disco basico, insomma – come reclamano gli autori stessi – almeno all’apparenza.

I temi, anzitutto: quelli di sempre. Nulla di ciò che bulica-brulica nel chaos del contemporaneo resta estraneo all’etica-in-metrica di Marco. Così questi versi corrono a metter radici un po’ ovunque-novunque sul pianeta: dagli orrori totalitari di una civiltà dei muri (Ballata dei muri) all’epocale esodo dal Terzo Mondo all’Occidente e conseguenti tragiche spiagge-cimitero sul Mediterraneo (Mare non nostrum); dagli orizzonti distopici e relativi inquietanti segnali di sempre-incombenti catastrofi finanziarie globali (Default Street) al naufragio antropologico della parola-comunicazione (Palabras); dal consumismo dei corpi (L’amore d’estate) al corpo come enciclopedia universale e come virtuosismo-brivido del catalogo (Ballata del corpo); dalla colonna infame invocata per giovanissimi immigrati (I vermi in movimento) agli inquietanti psico-effetti collaterali innescati dalla recente pandemia-panicodemia narrati in sintomatico imperfetto (Ballata pandemica); dalla viralità dell’uomo-medio mostro (Siamo solo voi: trattasi in realtà, virus-poeticamente, di ammonitore voi-noi) a un paio di aperture su visioni di vertigine cosmica. Quanto al concetto palladiniano di “chaos” non si nutrano dubbi. Esso risuona ambiguo, come sempre in lui, e perciò stesso fecondamente anfibologico: chaos è certo figura-strumento principe di cui i poteri si servono per il controllo dell’umano (cella-buio-buco d’eternullité); ma anche ultima forza vitale positiva rimasta, spazio residuo per possibili rivolte e rap-presaglie riumanizzanti. Insomma, chaos come «spinta vitale, energia prorompente, verità nel riformulare i piani della realtà.»

Quanto alla lingua e allo stile (al loro graffio inconfondibilmente palladiniano) è presto detto: anche stavolta Marco si conferma sciamano della parola poetica. Onomaturgo il cui alambicco non conosce fine. Creando Chaos, infatti, scorazza e ricicla lessico e registri dagli ambiti semantici e formali più disparati e (all’apparenza) inconciliabili: dai tecnicismi dell’era digitale all’umorismo di certi aulicismi; da prestiti apertamente iperletterari al conio di neologismi. Ho preso appunti: decine di esempi, non di rado preziosi e sorprendenti. Come ogni volta, anche stavolta, Marco sfida il rischio-aborto: che, cioè, il suo castello d’ircocervi-coacervi possa non far crogiuolo, e sfaldarsi-franare, disgregandosi e consegnandosi per faglie indigeste al lettore; invece, puntuale come barocco congegno a rote dentate, la lingua (pasta e dettato) di Creando Chaos si definisce miracolosamente compatta, scevra di qual si voglia “innaturalezza” da artificio-asperità, di qualsiasi singhiozzo dello stile. Autorale, in altre parole. Anche stavolta la magia sublimante, il dono alchemico-linguistico si sono compiuti-offerti. Anche stavolta palladinianam habemus linguam. Ma è nel passaggio dalla lettura silenziosa sulla pagina all’ascolto che si fanno le scoperte più interessanti. Poiché i versi di Creando Chaos si rivelano intrinsecamente performativi, spoken poetry per “natura”, non per postura esterna o per dichiarata buona volontà. Intanto, come chioserebbe un mio vecchio caro amico nonché sodale di antica data, Marco Palladini non è Paganini. Marco (si) ripete. E in piena consapevolezza, se è vero, come è vero, che l’anafora è il procedimento principe dell’intero concept. Non finisce qui: basterà riandare alla sapida (e vorrei dire: ammirevole) primazia della rima baciata (sia chiaro: non che difetti il ricorso ad architetture rimiche altre né un elegante-frequente sincopato risuonare di rime-al-mezzo o di assonanze e consonanze, di gioielleria sdrucciola o tronca); o anche il recupero, nei pezzi più cazzuti, della forma-ritornello; o infine, per restare sulla soglia dei testi, l’evocazione, in certi titoli, di antiche forme compositive quali “canzone” o “ballata” (ripristino che meriterebbe più approfonditi inseguimenti critici).

C’è poi, ovviamente, la voce in quanto tale. Ascoltare in tal senso Creando Chaos risulta davvero istruttivo. La voce di Marco – che in più di un’occasione, coraggiosamente, si assume i propri rischi – sa imporsi aedica, artigiana e sapienziale: ritmicamente magistrale nell’arte della sillabazione (sia in battere che in levare), nella variegata cadenza delle pause, nella gestione dei tratti soprasegmentali (rarefazioni-ironie timbriche, cambi d’intonazione, falsetti, impennate dei volumi). E non andranno taciuti i numerosi casi di scollimature tra testo parlato e testo scritto. Penso a certe ripetizioni ieratiche e compulsive fino al labirinto sonoro (in qualche caso potenziate da effetti delay, trattamenti-taroccamenti vari, riverberi-sovrimpressioni, polifonie-fughe digitali), o anche a certe “innocenti” interiezioni interpolate qua e là: riportate sulla pagina risulterebbero ridondanti-entropiche, mentre nella temporalità della performance sprigionano tutto il loro potenziale ipnotico. A conti fatti, proprio la voce sembra rappresentare l’ultima casamatta resiliente, l’ultimo alveare fecondo di ribellione contro l’anomia del mondo contemporaneo. Promanando dal corpo (e traendolo con sé fin dentro le nostre orecchie, il nostro cervello, le nostre viscere) essa voce testimonia l’estrema verità: io (poeta-uomo) non rappresento; io (qui e ora) mi-presento-e-mi-rappresento. Io insomma (ancora) sono proprio perché sono-suono. A questo proposito, menzione d’obbligo va senz’altro a due splendide “chicche” di Creando Chaos: laddove, in Canzone sui kattivi pensieri e in Default Street, la voce di Marco si innalza dallo spoken prosodico al canto vero e proprio. Bravura e intensità esecutiva a parte, del primo pezzo andrà sottolineata almeno la peculiare quintessenza di parodia al quadrato (la parodia è sempre cosa da prendersi sul serio: l’ho imparato da Pasolini e non l’ho più dimenticato): una chiaroscurale variazione della Canzone del maggio di De André che a sua volta prendeva ispirazione da un canto del ’68 francese. Del secondo brano va invece rimarcata l’efficacia della scelta di comporre ed eseguire – con grinta potente e nudità punk – in lingua inglese. In chiusura. Che cosa dire della chitarra elettrica di Gianluca Mei? Che il suo è un contrappunto veramente allo stretto con la voce poetica di Marco. Senza mai esondare, senza mai ridursi a ordinario soundscape della performance testuale, essa sa dialogarvi con elegante suggestione-intensità rock: ora facendo leva «su riff più duri, sovraincisioni e ronzii “noise” – come recita la nota d’autore che accompagna il concept – ora digradata su arpeggi più dolci o su aperture da “ballad’ insinuante, ora tirata su sognanti assoli.» (Antonello Ricci)

* * *

01 - CREANDO CHAOS

Creando chaos 
come vecchi ragazzi 
col posto fisso in ultima fila 
che ogni giorno si risvegliano 
tramutati in bacarozzi neokafkiani 

Creando chaos 
sfogliando il catalogo della natura 
acqua e fuoco e terra 
e legno e metallo 
E l’aria? li contiene tutti 
e tutti eterea e impassibile 
via via li dissolve 

Creando chaos 
a fronte di quella tipologia 
all american boy 
ke cominciammo a detestare da piccini 
attirati semmai dagli Afrika Korps 
che si sfrangono gli uni contro gli altri 
in rituali guerre di savana 
o nei bordelli neri a Timbuctù 

Creando chaos 
dopo i mangiatori di oppio 
ché la polvere da sniffo 
è adesso d’uso internazional-popolare 
sia tra i damerini bolsi in villa 
sia tra i frastornati plebei della kako-moda 
che non arriveranno mai 
a lambire i set col “top della topa”  

Creando chaos 
tra le mille e mille tele-sciagattate 
smiagolanti come la cantantina 
“se non mi preghi, non te la do” 
e i videoseriali ganzi fascio-chic 
che “se mi rompi ancora, poi te la tieni” 
altalenanti tira-e-molla sessurbani 
dalla fu-vita agra alla neo-vita viagra    

Creando chaos 
per gli sfruttati & sfrattati
che rivendicano l’alto tradimento 
verso una dispatria ingrata e bieca 
mentre io mi incaponisco con Hamleto 
e i suoi fratelli del dubbio permanente 
Per morire poi domani c’è sempre tempo   

Creando chaos 
per nulla turbati dall’evasione 
degli ultragay dai prigioni 
del pregiudizio sociale 
Però quei defilés stradali di islamiche 
con l’hijab e il niqab e pure il burka 
non aprono l’orizzonte 
a un malaugurato, nuovo medioevo?  

Creando chaos  
mi domandi come ungere 
le ruote della macchina dei sogni 
forse pagando il pizzo all’onirocrate    
o distribuendo tangenti all’oniromante 
salvo poi ritrovarsi in un brutto incubo  
finire stravolti nel più tetro cauchemar   

Creando chaos 
esperimentando i dromologici effetti 
del tecno-mondo realizzato 
tra foreste di suoni distorti 
alberi contorti di note stonate 
praterie di ronzii rumotronici 
e una blogosfera sempre a somma zero 
Come muoversi ad occhi chiusi nella nebbia, 
essere ciechi in un real-virtuale senza direzione 

Creando chaos 
là dove avanza la demokratura 
e scarbura una metropolitica sinistra 
Si moltiplicano i punti di disequilibrio 
una volta inventato l’iperterrorismo 
ecco che si fanno indi si sfanno 
le geostrategiche guerre asimmetriche 
un fato minore e da minorati
con puntuale incremento di onda negentropica

Creando chaos 
si pensa solo chaos, si produce il chaos, 
si ama il chaos, si scopa con il chaos,
si crepa per il chaos 
Il demonologo che sul dio-chaos 
sogghigna e prospera, lo sa da sempre: 
emana dal multiperverso chaos 
ogni possibile, labirintica verità 
e il suo aberrante illimite è in sé 
il teurgico mistero dell’eternità

*

02 - I VERMI IN MOVIMENTO 

Che fanno e che vogliono, questi vagabondi
son loschi furfantelli e zingarelli immondi  
Chi li monta, chi li plagia questi adolescenti
sono veri demonietti e per nulla innocenti
Mettono in pericolo le nostre proprietà
e questo gran casino si chiama libertà?
Cos’è questo disordine, cos’è quest’anarchia
rispettate l’ordine e la santa gerarchia

Bambini migranti, stupidi bambini 
siete poveri illusi, non fate i cretini
fermatevi per dio, la legge, lo stato 
fermatevi per dio, il profitto e il mercato
Bambini migranti, stupidi bambini 
il mondo non lo salvano certo i ragazzini 

Li guida un messia, falso e mascalzone
incomincia così la cupa sovversione
se lasciate spazio ai piccoli animali
prima o poi saltano le regole sociali
E questo corteo chi l’ha autorizzato
ha firmato i permessi il profeta bacato?
e poi che scandalo le minorenni incinte 
bisogna reprimere le immorali spinte
 
Bambini migranti, stupidi bambini 
siete poveri illusi, non fate i cretini
fermatevi per dio, la legge, lo stato 
fermatevi per dio, il profitto e il mercato
Bambini migranti, stupidi bambini 
il mondo non lo salvano certo i ragazzini 

Vescovi e prefetti, generali e presidenti
mostri di potere non siate impotenti 
uniti in movimento gli straccioni avanzano 
banditi come pueri c’insultano e danzano
mendicanti erano, scarafaggi invisibili
adesso questi vermi sono ribelli visibili
c’accusa il loro sguardo tra speranza e demenza 
è lo specchio maligno della nostra coscienza
 
Bambini migranti, stupidi bambini 
siete poveri illusi, non fate i cretini
fermatevi per dio, la legge, lo stato 
fermatevi per dio, il profitto e il mercato
Bambini migranti, stupidi bambini 
il mondo non lo salvano certo i ragazzini 
il mondo non lo salvano certo i ragazzini 

*

03 - MARE NON NOSTRUM

Non è un mare per spiriti fragili e per corpi deboli
Ché si finisce in mano a mercanti privi di scrupoli
Poi si piange, si urla, si fanno sogni lividi e liquidi
Sulle barche improbabili ogni viaggio è una scommessa

Non è un mare nostrum, ma un mare monstrum il Mediterraneo mare 
Tra le terre e il cielo si sta al vento a penare
Le facce migranti sono le anime di piombo della miseria 
La maledetta nave-zattera si perde nel Canale di Sicilia

Non è un mare per turisti o pescatori quello che diventa
L’acquatica tomba di millanta genti senza nome 
Genti dall’Africa, dall’India, dal Pakistan, dallo Sri Lanka
Genti infine sommerse dall’onda lunga dell’indifferenza

Non è un mare per vecchi lupi di mare sulla paranza
Qui si svolge una mattanza, un genocidio a puntate 
Sotto i nostri occhi inebetiti, inerti ed impotenti 
I nostri occhi che vagano altrove, ritrosi pure alla testimonianza

Non è un mare per politici che sfuggono agli appelli dolenti
Tanto i naufragi sono reputati normali eventi frequenti 
Gli scampati hanno volti senza colore, visi impietriti di dolore
I cadaveri con l’acqua nei polmoni sono i loro compagni di destino

Non è un mare da amare se alla tragedia non si risponde
Se l’ecatombe è nella visione del barcone affondato 
Un cimitero sottomarino già incrostato di molluschi 
Uomini, donne e bambini si sono tramutati in cibo per i pesci

Non è un mare per egalité, liberté, fraternité
Ma per frammenti di un discorso odioso 
Logos razzisti di morte, distruzione e nullificazione 
Sì, la salvezza promessa si è rovesciata nell’eternullité…  

*

06 - CANZONE SUI KATTIVI PENSIERI*

Se boicottare un maggio
è un’azione a corto raggio
le apocalissi dell’altroieri
erano solo kattivi pensieri

e cadere dentro noi stessi
sembra una mossa un po’ da fessi
ma in quel buio sapremo trovare
un motivo o una luce per ricominciare
ma in quel buio sapremo trovare
un motivo o una luce per ricominciare

Se sparare a Jurij non vi dà alcuna speranza
antichi spettri urlano in questa chiusa stanza
Tu giochi un gioco a perdere lasco e mesto
io vi riconosco un sogno disonesto 
io vi riconosco un sogno disonesto 

Se papà compie cent’anni e mente per la gola
le nostre fidanzate erano una donna sola
io uscivo per incontrare la regina del sesso
lei di notte mutava pelle e diceva il tempo è adesso
lei di notte mutava pelle e diceva il tempo è adesso

e se cadere dentro noi stessi
sembra una mossa un po’ da fessi
in quel buio sapremo trovare
un motivo o una luce per ricominciare

Se la cosa ti sembra finita
e forse non è mai incominciata
ti lasceranno nudo al centro della scena
e i kuori senza cura se li mangeranno a cena
e i kuori senza cura se li mangeranno a cena

Se boicottare un maggio
è un’azione a corto raggio
le apocalissi dell’altroieri
erano solo kattivi pensieri

e cadere dentro noi stessi
sembra una mossa un po’ da fessi
ma in quel buio sapremo trovare
un motivo o una luce per ricominciare
ma in quel buco sapremo trovare
un motivo o una luce per ricominciare

* Ispirata al brano di F. De André Canzone del maggio (1973), ricavato peraltro da un canto studentesco del Maggio ’68 parigino.

* 

07 - BALLATA DEI MURI  

Muri da costruire, muri da picconare
Muri per antonomasia e muraglie epocali 
Muri a difesa da fortificare

Muri che separano, muri invalicabili
Muri della vergogna e dove mettere alla gogna
Muri con infami scritte incancellabili 

Muri interiori, muri di frontiera
Muri anti-rapina, muri anti-tutto
Muri che celano un’anima nera

Muri blindati per ville benestanti
Muri volontari per le paranoie dei ricchi
Muri da paura che proteggono i contanti

Muri di prigione, muri diroccati
Muri Maginot ancora da sfondare
Muri razzisti contro gli immigrati

Muri di lager, muri dei ghetti
Muri che sono degli immondi racconti
Muri che legittimano i peggiori sospetti

Muri invisibili che paralizzano le menti
Muri d’odio e muri palesemente odiosi 
Muri che non fermano i veri delinquenti

Muri perimetrali per anarchici writers
Muri pieni di versicolori graffiti
Muri tagliafuoco verso i cyber-hackers

Muri barriera per neo-nazionalismi
Muri che tremano, muri assediati
Muri che crollano di vecchi imperialismi

Muri grandi come il Vallo di Adriano
Muri pensati per aree militari inaccessibili
Muri feroci come il genere umano

Muri del pianto, muri senza sorriso
Muri per murales di festa e di protesta
Muri per un mondo ancora e sempre diviso

*

09 - PALABRAS

Le parole tra noi leggere o magari megere, 
e comunque mai sincere
Le parole intossicanti, reprensibili, 
per nulla promettenti
Le parole cerimoniose, zuccherose, ampollose, 
plasticose, smancerose, affettate, manierate,
finte come un orso polare nel Sahara
Le parole esequiali, imbalsamate, funeree, 
che prorompono neroturpi ed oscene
Le parole rivelate, epperò inadeguate 
a capire e a capirsi 
Le parole cervellotiche o pazzotiche, e pure 
astruse, criptiche, ermetiche, sibilline, oscure, 
giusto per non fare intendere nulla 
di quanto si va blaterando  
Le parole che si destreggiano oppure 
sinistreggiano e corrodono i margini 
del senso residuo
Le parole che tradiscono e si tradiscono 
mentre chiedono: quanto è fatale la fatalità?
Le parole con un forte gusto del macabro, 
che esprimono il crudele piacere di istigare 
alla violenza, alla mattanza
Le parole sataniste, infernali e razziste, 
che non indugiano, bensì risorgono 
nell’anima quali mostri o metastasi ferali
Le parole gravide di tutta la miseria umana, 
caduche e insieme indifferenti alla sorte 
del mondo e degli altri 
Le quattro parole messe in croce 
per dare voce a qualcosa di atroce 
Le parole assurde che assurgono 
comunque a dogma inappellabile
Le parole che ti prendono all’amo 
e che, senza parere, ti forzano 
a dire: ebbene sì, ti amo
Le parole impotenti, di congedo forzato, 
nolenti o dolenti, talora 
anche un poco indolenti 
Parole carnali, ma di carne morta, 
carne in decomposizione, davvero 
insopportabile all’odorato 
Le parole decrepite che hanno fallato: 
più Stato, meno mercato
Le parole dirute che hanno errato: 
meno Stato, più mercato
‒ dove sta lo sbaglio? 
Palabras infectadas para hombres de mierda
Palabras fallidas que cultivan su secreto
Palabras deshabitadas para vivir 
en qualquier lugar del planeta

*

012 - BALLATA PANDEMICA 

Si usciva ormai di rado dalla propria stanza
Si camminava in strada tenendoci a debita distanza

Dai balconi dirompeva un sonoro, patriottico flash-mob 
Si esorcizzava la paura con le note di una canzone pop

Ci si trastullava con il pensare comunque in positivo
Slogan che funzionava finché si poteva dire: io sono negativo

Chi affermava “Andrà tutto bene” era un saggio o un pazzo?
Ché in rete c’era poi chi strillava “Tutto bene un cazzo!” 

I capi di Stato, paonazzi, proclamavano: è come una guerra!
Sì, la gente si spegneva e il virus dilagava in tutta la terra

C’era chi s’indignava e metteva sotto accusa lo stato di eccezione
Ma poi non ci spiegava come opporsi al letale vibrione 

L’economia è andata a rotoli e ora va salvata “costi quel che costi”
In Borsa però si specula ancora, siamo dunque noi i mostri?

Più che altro il giorno non si udiva nulla, c’era un silenzio fatale
Il silenzio di un dio che non c’è, uno spietato silenzio mortale

Nel buio dell’ora tante false voci sulla pandemia
Calano le tenebre nella mente se non si sfugge alla panicodemia

Epidemiologi e virologi ancora catechizzano, disquisiscono, menano il torrone
La scienza è incerta, oscilla e ogni previsione si rovescia in contraddizione

Il dubbio era che qualcuno abbia lanciato un attacco biologico
Oppure è stata la natura che ha deciso che siamo un nemico? 

C’era chi sbarellava, chi pensava fosse la fine del mondo
Chi andava a pregare e chi si abbandonava ad un girotondo 

Era un quotidiano stillicidio il bollettino dei decessi
Il morbo infuriava e dopo essere e/o non essere più gli stessi?

Molti soggetti ‘incoronati’ in ogni caso dopo un po’ guarivano
Molti covidizzati riportavano però danni fisici che non finivano

Il contagio ha generato così malati cronici ai polmoni, cuore e cervello
Pandemonici incubi di chi non può più dire: sentirsi sani è bello

Senza dimenticare che le strategie dispiegate sul fronte del male
Hanno prodotto sul sociale un tendenziale e totalitario controllo statale

Il meglio sono stati allora, senza retorica, medici ed infermieri
La storia ci tiene in pugno e si rimpiange il tempo di ieri

Biografia di Marco Palladini


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