MASSIMO PAMIO, Il Flaiano di Renato Minore e Francesca Pansa

Dedico questa mia relazione a Giacomo D’Angelo, 
e al suo fedele amico Marzio Maria Cimini. 
Giacomo era malato di flaianite e forse anche 
questo morbo ha contribuito a portarlo alla tomba.

L’opera di Renato Minore e Francesca Pansa dal titolo Ennio l’alieno, sottotitolo i giorni di Flaiano, è una biografia romanzata, un romanzo saggio, c, alla stregua dei precedenti scritti su Leopardi e Rimbaud, libri celebrati, di successo, sfoggia uno sfondo linguistico e contenutistico omogeneo, originalmente poetico-realistico, per un accordo tra un lessico essenziale ed efficace, e un intenso ma giusto apporto di intimismo, di cura della localizzazione sentimentale d’una personalità interrogata nella sua esistenza, analizzata con leggerezza e profondità, con rispetto e con un obiettivo  fotografico e cronachistico a volte impietoso perché privo di orpelli, insomma un’attenzione per la verità letteraria e biografica che hanno creato uno stile inconfondibile, proprio di Minore, che potrebbe essere definito alla maniera di Flaiano, esponente di una corrente letteraria composta da un solo autore, da lui stesso, inventore di un realismo poetico che lo contraddistingue e lo rende immediatamente riconoscibile, vicenda che si esplicita solo per i grandi autori.

Ebbene, questo nuovo lavoro sortito dall’immaginazione e dal lavoro paziente di due personalità – quelle di Renato e Francesca, atomi costitutivi di un connubio familiare e letterario meritevole di notazione e di uno studio particolare, da una parte Renato, dall’altra Francesca figura non meno straordinaria, vivissima e eccentrica – questo lavoro, Ennio l’alieno, contribuisce a definire il quadro di una cornice esemplare di studiosi, di letterati finissimi, di appassionati testimoni non soltanto del loro tempo ma anche e soprattutto di quel particolare sguardo che l’umanità getta su se stessa per cercare un senso all’inganno perpetrato dalla Natura e dal Divino, e cioè la letteratura, vizio benedetto, religione profana che spinge Francesca e Renato a cercare in loro stessi, in questo libro, le ragioni e le scelte di vita di uno dei più grandi scrittori del secondo Novecento, Ennio Flaiano, che reputo tra i maggiori insieme a Alberto Savinio, Giorgio Manganelli, Tommaso Landolfi. Mi spiace per gli altri, per Gadda, Calvino, Delfini, Parise, Pizzuto, Primo Levi, quest’ultimo grandissimo, sicuramente, ma divenuto oggi un santino usato per motivi da me non bene identificati, pertanto mostrato nei suoi aspetti politicamente corretti secondo le mene di una classe intellettuale affettata e presuntuosa, ormai priva di una obiettività che forse le è mancata sempre – purtroppo la politica – qualsiasi tipo di politica – non fa che danni quando si avvicina alla letteratura, soprattutto a quella vera, imponendole e sovrapponendole maschere che non sono le sue. La letteratura è e resta una finzione e un’evasione dai canoni storici e ideologici, spesso è eversiva e surreale, inventa, irride, e soprattutto malsopporta il proprio tempo e ogni forma di società come appunto Flaiano, sostanzialmente un uomo fuori dal suo tempo pur essendone l’incauto censore, – anticomunista, antifascista, antiborghese, un anarchico socievole deluso ed esaltato, infine accecato da quella creatura a cui appartiene e il solo fatto di appartenerle, di essere anche lui un esponente dell’umana animalità, lo sconvolge, gli suggerisce di essere un alieno, appunto, un uomo estraneo a se stesso e alla sua verità.

Il romanzo di Minore e Pansa, compreso in 8 capitoli, ogni capitolo diviso in brevissime  sezioni, composti di non più di due-tre pagine, spesso veri e propri lampi, osserva un ordine cronologico, in base al quale analizza vita e opere di Flaiano avvalendosi anche degli scritti di tutti coloro che si sono misurati con lo scrittore pescarese, da Anna Longoni e Giovanni Russo a Lucilla Sergiacomo, da Giacomo D’Angelo a Vittoriano Esposito, nel libro erroneamente riportato come Vitaliano.

Il libro si legge con facilità, può essere ripreso senza il peso e l’obbligo di dover ricordare quel che è stato detto in precedenza, è omogeneo, ben strutturato e armonico, grazie a un atteggiamento di delicatezza e di soffusa poesia che ne fanno un piccolo capolavoro visivo, sì, iconico, che disegna, tratteggia, sottolinea, acquerella a tinte delicate, ma non a colori, bensì in bianco e nero, o magari con colori virati a seppia, e con delicatezza fotografa non solo una personalità d’eccezione come fu quella di Flaiano, ma tutta un’epoca, con l’intento  forse di farla in qualche modo rimpiangere. Un periodo drammatico e poi denso di speranza, e gioioso, dal fascismo fino agli anni del boom economico degli Anni Sessanta che, raccontato da Pansa e Minore, se suscita un’accorata nostalgia, ne suggerisce la densità, così diversa dai nostri tempi accelerati, distratti, frenetici, individualisti, e forse anche  per questo il libro ci commuove, ci incanta, e comprendiamo che gli scrittori ci aiutano a ricordare quel che siamo stati e che stiamo bruciando nella malattia della contemporaneità, del turbocapitalismo che sta distruggendo il nostro cuore, l’anima di un paese culla della civiltà dell’occidente. Un senso di tenerezza ci opprime e ci accora alla lettura di ogni pagina, e sentiamo vibrare parole e vicende che ancora ci appartengono e che forse dovremmo imparare a rigenerare prima che sia troppo tardi. Per tali motivi non possiamo non ringraziare gli autori di questo scritto che non è solo un romanzo biografico, ma è anche e soprattutto un monito un richiamo alla consapevolezza cosciente. Un senso buono di rivolta ci dovrebbe risvegliare dalla insulsa americanizzazione della nostra vita, poiché una civiltà che non è nostra e che non ci appartiene si sta sovrapponendo in modo invasivo e cancerogeno sulla nostra identità culturale. Stiamo assistendo impotenti a un vero genocidio culturale senza far nulla.

Vi siete mai chiesti quando un libro, un film, uno spettacolo teatrale è grande? Ebbene, un libro è grande se ci stimola a pensare, a riflettere, se favorisce il dialogo, lo spirito critico come questo libro appunto fa, in cui i capitoli si susseguono velocemente. Il capitolo che più ma ha commosso del libro si interessa della gioia immensa per la nascita della figlia e del dolore immenso per la scoperta che la bambina per tutta la vita sarà preda di una malattia invalidante. Entrambi gioia e dolore resteranno senza nome.

Uno scrittore che non può trovare le parole per dire l’intensità della gioia e del dolore è forse il tormento lo stesso che assilla ogni uomo nel sapersi vivo e nel sapersi destinato alla morte.

Nel sapersi padre della gioia e nel sapersi padre del dolore.

Nel sapersi causa agente di un dolore che non avrà mai nome.

Flaiano chi era? Flaiano era un laico. Un laico, non un intellettuale laico, il laico non è un intellettuale politicizzato, impegnato, anticlericale, bensì una persona libera che ha una visione religiosa dell’eticità, un uomo libero che riconosce nel suo prossimo i vizi e il male, pronto a metterli in luce, censurandoli dal punto di vista morale oppure ridicolizzandoli. Un fustigatore dei costumi, colui che castigat ridendo mores, un moralista – ma non becero o bigotto, bensì libero, senza divise, senza casacche, al soldo di giornali allora ancora indipendenti, con direttori illuminati, non assunti dal padrone per fare i loro interessi. Quelli che scrivevano per Il Mondo di Pannunzio o per le riviste di Longanesi rispondevano alla loro autorità, certo altra cosa rispetto agli attuali direttori di giornali, miseri lacchè.   

Flaiano a differenza di tutti gli italiani non era né guelfo né ghibellino. Apparteneva a un manipolo di pensatori che non si schieravano mai dall’una o dall’altra parte e che pertanto erano la cattiva coscienza degli uni e degli altri. La pratica della libertà è una disciplina che Flaiano esercita non solo nel mondo sociale ma anche in quello del lavoro, vagando dal giornalismo al cinema, seguendo la sua stella, i suoi innamoramenti, le sue passioni, sempre pronto a sciogliere i suoi nodi o a defilarsi, non appartenendo ad alcuna cordata ma solo a se stesso e al proprio rigore morale e filosofico.

Flaiano filosofo? Come qualcuno ha notato, egli scrive in tutta la vita una e una sola opera, uno Zibaldone di pensieri, alla stregua di Leopardi. Nello Zibaldone Leopardi esplicita la sua visione del mondo, la sua weltanschauung, e si presenta come il maggior filosofo italiano del suo tempo, mettendo insieme il panismo naturalistico con l’annuncio preveggente di quel che sarà il pensiero nichilista neopagano di Nietzsche. Flaiano è a mio avviso – e da quel che ricavo dal libro di Renato e di Francesca – un caso esemplare, tutte le sue pagine contribuiscono a formare una e una sola opera che vuole riferirci dell’essere umano e della sua fragilità, delle sue contraddizioni, dei suoi limiti, dei suoi vizi. Homo sum, humani nihil a me alienum puto, potrebbe essere il motto di Flaiano se non che egli ritiene assurdo il tentativo di raccontare l’uomo, ma pure ci prova, proprio perché vicenda spericolata, fallimentare, come sono fallimentari e cioè imperfetti tutti i capolavori del pensiero umano, da Omero a Platone, da Leopardi a Flaiano. Flaiano lo sa in anticipo, prima di scrivere, perciò è anche uno dei massimi esponenti del tedio filosofico, uno dei maghi dei tanti travestimenti e travisamenti in cui l’uomo cerca di sublimarsi, di trascendersi, ogni volta venendo sconfitto dalle sue stesse illuminazioni.

Poche pagine come queste presenti nel libro, ad esempio quella di pag. 109, ci restituiscono il genio l’estro la grandezza inopportuna e la sconfinata resa di quel che è stato uno dei più grandi scrittori e filosofi sicuramente a sua stessa insaputa del secondo novecento italiano.

Renato Minore e Francesca Pansa 
Ennio l’alieno. I giorni di Flaiano
Mondadori, 2022, pp. 228

Biografia di Massimo Pamio


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