GIORGIO MOIO, L’equivoco

Aspettavo il treno per Roma nella stazione di piazza Garibaldi.

il treno sarebbe giunto verso l’una e venti.

si fa per dire.

e da quando i treni in Italia arrivano puntuali.

erano passati già tre quarti d’ora dalla mia attesa quando conobbi la signora Immacolata Fiore.

stava seduta nel bar della stazione.

pigramente raccolta in un cappotto grigio.

mentre gli altri avventori.

chi in attesa di salire sul proprio treno.

chi per ripararsi dal freddo.

mandavano giù.

uno dopo l’altro.

shottini di sambuca per riscaldarsi da quella gelida giornata.

mica gli shottini sono solo ad appannaggio dei giovani.

qualcuno sfogliava un giornale e di tanto in tanto cacciava fuori gli occhi per guardare pigramente davanti a sé.

già i giornali si sfogliano mica si leggono.

magari i titoli.

un frastuono di discorsi di grandi speranze si amalgamava a pettegolezzi ed attese snervanti.

per ripararmi a mia volta dal freddo pungente.

brrrrrrrrr vibrava il corpo dal freddo.

zhzhzhzhzhzhzhz era il rumore dei denti che sbattevano.

anche se si trattava di un rumore che sentivi solo tu.

ti sembrava che si spandesse comunque nell’aria.

entrai nel bar e ordinai un caffè.

andai a sedermi proprio di fronte a quella donna.

rilucevano gli occhi in un imbiancamento mentale-totale.

comunque una visione distorta dal fumo delle sigarette e dal vapore della macchinetta del caffè.  

pareva che il tempo gioisse nell’accompagnarsi a intensificati pensieri traboccanti.

nel tempo dell’attesa (gran parte assorbito dall’immagine di quella donna) i pensieri diventavano voci.

attesa disforica che si fissava in vari punti ma gli occhi terminavano sempre col posarsi su quella figura femminile.

soprattutto sul suo seno prosperoso.

come insetti attorno ad una luce.

o almeno così mi sembrava. il movimento degli occhi.

terminati di fissare il decolleté.

raschiava intensamente fra gli spacchi della gonna ai due lati delle cosce che la signora Immacolata tentava di nascondere al freddo e ad occhi indiscreti.

con un processo curato ma scontato.

senza convinzione alcuna.

quasi per passatempo. abitudine.

quest’atteggiamento quasi psicotico non poteva certo continuare ad impadronirsi impunemente della mia ragione.

e allora presi coraggio.

più sguardi che parole.

ma in quel momento entrò un uomo e se la portò via.

non riuscii a farmi dare il numero di telefono.

sapevo soltanto il nome.

con la speranza di incontrarla un giorno.

non mi restava che avviarmi verso il binario 12.

Il mio treno era già lì ma non lo presi.

ricevetti una telefonata telegrafica.

torna, fai presto.

Mentre facevo ritorno verso casa.

dall’autoradio una notizia agghiacciante mi fece sobbalzare di brutto.

una terribile sciagura ferroviaria si era consumata tragicamente in Puglia.

l’incidente ferroviario era avvenuto sulla tratta Corato-Andria.

uno scontro frontale tra due treni con una decina di vittime e numerosi feriti.

il primo sentimento che mi assalì fu l’indignazione.

ero indignato come moltissimi italiani per una catastrofe facilmente evitabile.

rientrata l’indignazione.

ma si fa per dire.

mi feci una domanda.

è mai possibile che alla soglia del 2020 succedono ancora scontri frontali tra due treni mietendo numerose vittime e feriti.

da intellettuale.

invece.

recuperata la calma.

come è giusto che sia.

oddio.

non è giusto ma d’altronde cosa può fare un povero cristo.

sia esso intellettuale.

operaio.

ingegnere.

in queste situazioni catastrofiche.

se non viaggiare di fantasia nella speranza che la fantasia sia migliore della realtà.

al di là dello stupore e dell’indignazione.

andando alla ricerca della causa o delle concause.

con la convinzione che qualsiasi risposta non avrebbe lenito la mia indignazione.

infatti nessuna risposta in questi casi può lenire l’indignazione anche – soprattutto ‒ nei confronti di una politica pessima nella gestione e nella proposta adeguate a migliorare  l’esistenza sociale.

stavamo meglio quando stavamo peggio.

lo speaker continuava la sua cronaca.

più continuava.

più m’indignavo e più saliva la voglia di fare qualcosa.

avrei veramente voluto fare qualcosa per quella povera gente.

potevo scrivere un articolo-denuncia che all’indomani poi scrissi ma avevo a disposizione solo un piccolo giornale on line come cassa di risonanza.

troppo poco per non cadere nell’oblio.

seppi che la linea ferroviaria in territorio pugliese era gestita da una società privata.

che l’incidente era stato provocato da un treno partito da Andria che non sarebbe dovuto partire.

poi ci aggiungiamo un inesistente ammodernamento del sistema di controllo del traffico su quella tratta.

la frittata era inevitabile.

che l’ipotesi di reato era di disastro ferroviario colposo e omicidio colposo plurimo.

che quel tratto la linea era a un solo binario.

ma questo potremmo definirlo un male minore. comune a tante altre linee presenti non solo nel Sud-Italia.

ma anche nel resto d’Europa.

che ad una prima indagine la causa del disastro fu attribuita ai due capistazione di Corato e Andria e ad un dipendente della stazione di Andria.

che quella linea era priva di un ammodernamento della stessa.

di un controllo elettronico di arresto in caso di pericolo previsto dalle norme in vigore.

di raddoppio della tratta.

nonostante dal 2008.

è sempre la voce dall’autoradio che informa.

siano stati stanziati finanziamenti europei per tutta la linea Bari-Barletta.

cui rientra quella di Corato-Andria.

da realizzarsi entro il 2015.

Il 2015 è passato da un bel po’ e i lavori non sono stati neanche iniziati.

con chi te la vuoi prendere.

con le amministrazioni che si sono succedute.

con queste attuali.

e cosa cambia.

la conosciamo l’inadempienza della politica.

la mancanza di controlli sui lavori appaltati.

i tecnici che si fanno corrompere facilmente per girare la faccia dall’altra parte.

è pur vero che ci sono ancora sparsi per l’Italia chilometri di rotaie a binario unico (Roma-Viterbo. per es.).

ma lì.

per fortuna o per volontà.

hanno installato i sistemi di sicurezza che funzionano perfettamente.

quando la burocrazia fallisce provocando disastri.

in Italia scatta il secondo sport più popolare.

lo scaricabarile.

è quello che accadde nei giorni successivi.

ho alzato io la paletta verde.

furono le prime parole di uno dei capostazione incriminati.

ma un solo errore non può avere causato tutto questo.

frase emblematica riportata dai quotidiani che ci fa capire ancora una volta quanto il cittadino italiano sia vulnerabile e alla mercé di una politica che non sa nemmeno più gestire e spendere i contributi economici europei.

i quali.

visto le numerose carenze infrastrutturali che ci ritroviamo.

a causa di una gestione che è sempre stata sorda alle esigenze e tutela del territorio, o frettolosamente con appalti territoriali da parte dello Sato da quando ha deciso di privatizzare una parte della rete ferroviaria nazionale.

anche a ditte non in grado di garantire un servizio sicuro.

sono una manna dal cielo.

già.

un errore umano non avrebbe causato questo disastro se il sistema di sicurezza fosse stato presente.

ma ora giacevano negli obitori ventitré vittime accertate che attendevano giustizia sulla dinamica e sui responsabili.

è una parola.

campa cavallo.

la verità è che siamo succubi di un capitalismo globalizzato senza scrupoli.

ora dopo tutto quello che avevo ascoltato.

qualsiasi cosa mi aspettasse a casa.

sarebbe stata una passeggiata di piacere.

la casa.

se casa si poteva chiamare.

era una specie di bettola abbellita all’esterno che mai andavi a pensare che entrandovi ti saresti trovato di fronte ad un disordine e una incuria spaventosi.

sembrava di trovarsi di fronte alla forza distruttrice dell’uragano Caterina.

ora non esageriamo.

ma il senso è quello.

che cazzo.

va bene non fissarsi troppo sulla pulizia e sull’ordine.

ma in quella casa si era oltrepassato il limite della decenza.

e il fatto che gli abitanti.

una coppia di trentenni senza figli.

lavorassero entrambi.

non giustificava tale trasandatezza.

che cazzo.

acari e germi vi avevano stabilito la loro residenza.

insomma.

era un vero porcile.

ma che ne sai tu delle faccende di casa.

mi ha sempre sottolineato la moglie.

che è mia sorella.

tu sei un poeta.

a parte che non mi piace affatto il tono con cui l’hai detto.

perché secondo te nu poeta nun sape sti ccose.

ma cosa credete che un poeta viva sulla luna.

che non sappia che la vita è una lotta continua.

che ci sono più dolori che gioie.

dobbiamo sfatare questo falso mito.

un poeta è come tutti gli altri.

non ha nulla di particolare se non la tecnica di saper scrivere qualche verso che è la sua dannazione.

aó finiamola cu sti strunzate.

l’hanno arrestato.

chi hanno arrestato.

quello stronzo di mio marito.

chi altri.

e ʼmbè.

io che c’entro.

perché mi hai fatto tornare così frettolosamente.

sempre lui ha detto al maresciallo che eri presente sul luogo del delitto.

delitto.

quale delitto.

e chi avrebbero ammazzato.

il macellaio sotto casa.

ammazzare un macellaio.

quel pezzo di pane.

che senso ha.

cose da pazzi.

ammazzare un politico corrotto.

un mafioso.

un banchiere strozzino.

avrebbe avuto più senso.

dicono che molestava le ragazzine del quartiere.

allora è tutto un altro discorso.

vuoi vedere che è arrivato il vento dei tempi nuovi.

delle denunce.

del non girare la faccia dall’altra parte.

macché.

tutto uguale.

non si muove una foglia.

stessi difetti umani.

stesse vessazioni sociali.

stessa vita di merda.

le strade non portano più tutte a Roma.

si resta soli tra la gente.

ci nutriamo di parole taciturne o di grandi discorsi senza senso.

non c’è una via di mezzo.

si parla del più e del meno.

più del meno che del più.

i grandi discorsi appartengono alla preistoria.

ora si va di fretta.

ci si saluta appena e si corre a coltivare il proprio misero orticello.

la solidarietà non sappiamo più dove abita.

l’amicizia è un optional.

l’immondizia invece è un business.

siamo soltanto delle sagome smorte su una ruota che gira senza fermarsi.

il punto è che abbiamo dimenticato come si ride e rafforzato come si odia chi ti sta vicino.

forse è la fine o un inizio della fine.

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