MARCO MELILLO, “La resistenza dei fatti” di Titos Patrikios

Letture – Riletture


Una gran bella antologia La resistenza dei fatti di Titos Patrikios (Atene, 1928), e per diversi motivi. Il Poeta fu “scoperto” da Ghiannis Ritsos: condividevano la prigionia sulle isole di Makrònissos e Aghios Efstratios negli anni (ancora) tremendi della guerra civile seguiti poi dalla dittatura.

Il novecento greco è stato davvero feroce a lungo, e molti grandi poeti sono cresciuti alimentati da una passione politica che inevitabilmente finiva per metterli nel mirino dei torturatori.

Le “narrazioni” delle esperienze della detenzione sono tutte naturalmente molto toccanti. Ne cito tre in particolare: quelle di Vassílis Vassilikós, dello stesso Ritsos, e quella del più famoso in Italia probabilmente che è Alexandros Panagulis, ma non solo perché compagno per tre anni di Oriana Fallaci (dal 1973 quando fu liberato al ’76 in cui morì in uno “strano” incidente d’auto); forse perché Panagulis più di altri incarnava quello spirito di resistenza all’oppressione duraturo, testardo e non privo di speranza che lo rese poi sostanzialmente un eroe nazionale. Scriveva davvero col sangue, chiamava a suo modo dalla prigionia e dall’isolamento i compagni a ribellarsi affinché in luogo della dittatura dei colonnelli (finita solo nel ’74) nascesse una forma di democrazia (la sua cultura era quella comunista).

Tornando a La resistenza dei fatti di Titos Patrikios, che attraversa le varie fasi della sua esistenza (consentendo parallelamente una riflessione storica e sul ruolo degli intellettuali), aggiungendo che ‒ a differenza di Panagulis ‒ riuscì a scappare dalla Grecia per poi recarsi in Francia e in Italia, quello che mi sto chiedendo ‒ domanda figlia probabilmente di un’aspettativa fin troppo ingenua ‒ è perché all’interno di questo libro che arriva attraversando gli anni appunto della reclusione fino al 2007, mai sia menzionato Panagulis. Vi sono invece riferimenti a personaggi che come nel caso della poesia “gli amici” (in ritorno alla poesia, p. 23) abbiano condiviso questo tipo di terribili esperienze. Probabilmente parte di questa comunque difficile risposta si trova nei seguenti versi ripetuti molti anni dopo dallo stesso Patrikios (una volta fuori dalla Grecia), ed in cui dice: «Nessun verso può rovesciare i regimi / avevo scritto anni prima / e ancor oggi me lo rinfacciano… / I versi non rovesciano i regimi / ma certamente vivono più a lungo / di tutti i loro manifesti» (Atene, 30 novembre 1982; dobbiamo ancora una volta a Nicola Crocetti il lavoro meritorio di queste pubblicazioni e traduzioni, qui 2007 in Italia).

Patrikios incarna quel ruolo di intellettuale dissidente, capace di rigettare l’autoritarismo del potere e rappresenta un riferimento nella poesia contemporanea europea e tra i poeti greci.

La fiducia nella poesia come mi pare sia dimostrato (anche) in Grecia nel secolo breve aumenta, invece di affievolirsi, come lingua politica durante le persecuzioni, come accade allo stesso Ghiannis Ritsos e malgrado la censura subita. Una lingua politica certo, capace di prendere forma in questo ultimo caso anche attraverso il mito.

Secondo me però gli amanti della Poesia possono stare in questo senso sereni: la parola (poetica) è immortale e durerà almeno fino alla scomparsa della comunità umana.

 

Titos Patrikios
La resistenza dei fatti
Crocetti ed., 2007, pp. 190

Biografia di Marco Melillo


 

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