DANIELE VENTRE, Inediti


1.

Forse avevi tu stesso qualche colpa
–forse un minimo carico pendente:
inceppata la strada del progetto
–eh c’è sempre un progetto, c’è da sempre
una strada inceppata, in fin dei conti
che non tornano mai per tua misura–
inceppata la ruota al proiettore
-eh c’è sempre una ruota che ci gira:
proiezioni ce n’è fin troppe in giro
sulle facce del mondo a cui ti specchi.
Forse avevi tu stesso qualche polpa
da scarnire per dieta –qualche peso
qualche intesa nell’essere frainteso
e sconvolgere il gioco, rovesciare
la scacchiera coi pezzi, scompigliare
le tue carte –c’è sempre qualche carta
da riempirci la vita prestampata,
da colarci lo stampo in bronzo fuso
sulla colpa che sempre ti sostiene.

 

 

2.

Non si lascia davvero nulla al caso
–forse è il caso che lascia a noi del nulla
–forse è il nulla che il mondo a caso pone
–forse è un caso che questa citazione
sia citata in giudizio –forse noi
ci lasciamo nel nulla per un caso:
ci fasciamo di casi per un vizio.
Non si lascia davvero nel dettaglio
la sorpresa del nulla –nei dettagli
forse ancora c’è un dio –nei punti croce
dei distinti –tribuna per distinti
perfettini nell’abito del nulla
che ripone nel caso la fortuna.
Ma fortuna non è : magari il nulla
che sappiamo di tutto è tutto quanto
resta a noi da sapere. Il più sapiente
è chi ignora ogni caso e ne è contento:
è chi sa di ignorare in ogni caso,
ne è cosciente e non sa di sé più nulla,
se non fosse opinione –un po’ fallace
e fallita nel tempo l’opinione.
L’opinione che olface per dottrina
il sapiente che minge sull’altare
d’autorevole marmo –sull’arcano
che l’oracolo rutta a pancia gonfia
d’ogni tuo sacrificio, perfezione,
ecatombe, bambino, tofet, capra
grasso fumo nel cielo del signore
–l’opinione che puzza di dottrina
è plausibile e passa in giudicato:
ne distilli la scienza perfettina
della ruota che il caso abbraccia al nulla
se un Olimpo coi dadi si trastulla.

 

 

3.

Hai da fare per altro ciò che è giusto.
Ciò che è giusto per chi? Per altri forse.
Non per me veramente. Non per altro.
Ciò che è giusto si somma nell’ingiuria:
il diritto ha la sua ragione spuria.

 

 

4.

Poi chi meglio di te. Ma poi, chi meglio.
Altri peggio, senz’altro. Senza dubbio.
Altri senza sé stesso. Poi chi meglio.
Faccia un passo in avanti nella giostra
delle maschere gaie in bella mostra.
E due passi all’indietro nella fiera
dei sorrisi compressi a fior di cera.
Poi chi meglio di te. Senz’altro peggio
altri. Senza sé stessi. Senza dubbio.
Faccio un passo di lato a farti posto
fra i lustrini del vuoto sotto costo.
Faccio un salto da canto a farti luogo
nella fila che porta al cappio, al rogo.

 

 

5.

Tutti l’hanno con noi. C’è il conto in rosso.
Tutti arrivano qui. Non c’è più spazio.
Tutti insieme coi serpi in mezzo al fosso.
Anche il sonno è arretrato. Non c’è ratio
né ragion sufficiente. Il mare è mosso
e si vomita in busta. Non c’è dazio
che si paghi abbastanza. Resta il dosso
nel sobbalzo stradale. In fondo il sazio
ha problemi di intesa col digiuno.
Il digiuno ha problemi con la dieta.
Sono a dieta da tempo eppure ingrasso.
Tutti l’hanno col me che resto a spasso.
Tutti l’hanno con tutti e tutto è in uno,
tutto e niente, a stamparsi in terre e creta.

 

 

6.

Ma io avevo le mani un po’ legate.
Io non c’ero stavolta. Non c’entravo.
Poi non sono nemmeno uscito. Infine
Io non so di che parli. Non rispondo
d’altro che non mi tocchi. Non mi tocca
nulla in definitiva. Indefinito
anche il campo d’azione. Definita
solo qualche prebenda. Qualche plebe
prenda lei la risposta al quiz in onda.
Non si sa chi risponda poi del crollo,
della frana o del vecchio cornicione
dell’effetto farfalla in Cocincina
dell’effetto di sponda libitina:
e io avevo le mani un po’ legate
e la benda sugli occhi –niente occhiali
a correggere il gioco dello sguardo.
Io non c’ero stavolta. E poi se c’ero
certamente ero in sonno come Omero
–come un vecchio massone. E se dormivo
il mio sogno iniziatico era d’altro
nel viatico aperto al conto scaltro.

 

 

7.

Non cercare risposte troppo nette.
Non mi chiedere nulla. Nulla intendo.
Nulla attendo. Ci attende nulla al netto
della perdita secca. Lo stipendio
ha il dovere d’acquisto. Di potere
c’è rimasto l’occulto in qualche truffa.
Non cercare risposte da sapere.
Si potrebbe parlare della muffa
cumulata sul pane di sei giorni,
perché l’umido intride il truciolato.
Si potrebbe pensare della fuffa
che raccogli informandoti deforme
dal giornale fallito di partito,
mille volte fallito e poi salvato.
Si potrebbe ascoltare nella cuffia
che ti chiude all’orecchio ogni altro ascolto
del tuo voto segreto e inconfessato.
Si potrebbe inventare della scuffia
che ti ha preso del volto un po’ virtuale,
della favola bella che ti illude
che mi illude e collude e poi delude.
Si potrebbe parlare –non è molto–
dell’eletto e dell’unto e del ruffiano.
Si potrebbe incantare il nervo vago
per le vaghe aritmie che ci hai di petto
–che ti prende di petto un do di nulla.
Si potrebbe ritogliere il maltolto
e poi farne lavoro non da poco,
si potesse davvero. Si potrebbe
si dovrebbe perfino. Si vorrebbe
forse –questo non so –di questo nodo
non cercare risposte troppo nette.
Non mi chiedere nulla. Nulla imprendo.


Biografia di Daniele Ventre


 

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