Nella seconda metà degli anni settanta, all’università di Milano, conobbi un anziano
professore cinese che lavorava nel laboratorio dove svolgevo la mia tesi, aveva la tipica gentilezza orientale e, cosa che trovavo curiosa, indossava sempre la divisa maoista.
Con il tempo siamo entrati in una certa confidenza e avevo trovato il coraggio di mostrargli i miei primi tentativi di traduzione dei poeti Tang, in particolare Li Bai e Wang Wei. Mi diceva sempre che, secondo lui, il maggior poeta cinese era invece Du Fu. Io pensavo, perché Du Fu, con le sue poesie di guerra, le geografie dei viaggi, le geremiadi?… mi piacevano molto di più Li Bai con le sue raffinate atmosfere o Wang Wei con i suoni del vuoto sulle vuote montagne.
Adesso che sono vecchio, e ho avuto l’occasione di leggere meglio Du Fu e gli altri poeti cinesi, penso anch’io che sia lui il più grande, non solo tra i poeti
dell’epoca Tang, ma di tutta la storia della Cina.
Rileggo dunque, dopo tanti anni Du Fu (杜甫) come se fosse un poeta contemporaneo, la sua scrittura non si avvolge aggrovigliandosi come un lungo filo di parole, sembra anzi esprimersi con una sequenza visuale di realtà che regola la concatenazione formale nello scorrere della lingua.
Nasce nel 712 dc nello Henan, da una famiglia di cortigiani di basso rango.
non superò mai i difficili esami imperiali, i kējǔ , che vinse invece Li Bai, e nei quali Wang Wei arrivò addirittura primo.
Le sue bocciature lo costrinsero per tutta la vita ad incarichi considerati di basso livello. Forse fu proprio questo che gli diede una posizione di osservazione privilegiata, proprio nel punto di frattura tra i privilegiati personaggi della corte e il resto della sfortunata popolazione cinese.
Visse durante la rivolta di Lan Lushan, una guerra civile che sterminò la popolazione cinese, abbassandola da cinquanta milioni a diciannove, la sua vita fu un continuo viaggio, per fuggire le situazioni di guerra e di fame, e per ricoprire gli incarichi che gli venivano via via assegnati,
muore nel 770 dc mentre attraversa un fiume con un traghetto.
Du Fu non fu amato dai contemporanei sebbene il suo stile sia impeccabile dal punto di vista tecnico, forse perché osservò una realtà che tutti preferivano non vedere.
Di seguito la mia traduzione di alcune sue poesie.
Le traduzioni sono sempre insoddisfacenti, cercano sempre di esprimere un concetto nelle forme tipicamente occidentali. Sopra la matrice dei caratteri spesso si costruiscono parole che non sono scritte. Questa situazione a volte è inevitabile, perché il cinese classico usa uno stile di “imprecisione voluta”, non vengono volutamente usate le particelle del discorso che aggiungono precisione ma nello stesso tempo distruggono la metrica della poesia. Tanto, i lettori contemporanei sapevano bene come decifrare e dove andava a parare il discorso. Da parte mia ho cercato di mantenere le parole originale e la laconicità dei versi mantenendomi il più possibile fedele alla matrice dei caratteri.
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Sguardo di primavera Gli imperi crollano, i monti e i fiumi restano nelle città distrutte, in primavera crescono alte erbe ed alberi i fiori schizzano lacrime odio le separazioni, sono uccelli spaventati che allarmano il mio cuore le fiamme della guerra ci hanno accompagnato per tre mesi per una notizia della mia famiglia darei diecimila denari ho i capelli bianchi e spuntati, la testa graffiata porta uno sciocco desiderio e non sopporta più spilla e capelli
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Gabbiano* Sulla riva del fiume il gabbiano canta nel freddo non ha altri luoghi, basta a sé rifiuta, riflette, rovescia ostile la giada degli onori con le penne delle ali inseguendo un desiderio d’amore, un germoglio, un cucciolo in cambio ha neve e buio e scrosci per bagnarsi Il vento cresce, sale al centro della tempesta dove solo pochi sanno l’oceano cosi dall’alto e si sente trasparente ombra, riflessa al sole di urla solitarie e desolate. *Il gabbiano di Du Fu mi appare come l’archetipo dell’albatros di Baudelaire, sceglie la libertà è può volare sopra le nubi, oltre la tempesta, questa libertà la paga con il canto freddo della solitudine e le sue urla desolate, sarebbe già qualcosa se ci fosse qualcuno a sbeffeggiarlo sulla plancia della nave.
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La neve in faccia Piangono i nuovi spettri nati dalla battaglia io vecchio e solo, in ansia, gemo con loro disordinate nuvole basse cadono sul tramonto ansiosa anche tu neve, balli e turbini nel vento getto la mia tazza di legno non più verde nella stufa rossa come il fuoco tutte le comunicazioni sono interrotte angosciato mi siedo e scrivo con la massima precisione un libro illeggibile.
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Ai confini del cielo penso a Li Bai Sale un vento freddo ai confini del cielo. Mi chiedo quali sono le tue ragioni da uomo nobile e quando arriverà l’oca selvatica se c’è un autunno così, d’acqua in grande quantità. Scrivere bene porta sfortuna. I demoni ridono della nostra sconfitta. Perché non affrontiamo assieme le offese che fanno alla lingua gettando in regalo un poema al fiume Mi Lo? Il riferimento degli ultimi versi è al poeta Quy Yuan del 200 dc, che si gettò nel fiume Mi Lo perché le sue opere e i suoi consigli erano completamente ignorati. Du Fu saggiamente preferisce gettarvi un poema piuttosto che sé stesso. Quella con Li Bai, poeta e funzionario di alto rango è un’amicizia a senso unico, Du Fu ammirava Li Bai, ma non sembra che fosse a sua volta molto considerato.
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File di carri da guerra I carri da guerra rombano I cavalli lugubri nitriscono Ci sono file di servi con archi e frecce alla vita. I padri, le madri, le mogli e i bambini li guardano passare tra la polvere sporca, che non lascia più intravvedere nemmeno il ponte Xianyang. Trascinano i vestiti, battono i piedi, ostruiscono la strada e piangono. Piangono e quel suono sale invano al cielo. Sul ciglio della via tutti li chiamano. Per i servi essere marchiati per la guerra è cosa abituale. Alcuni a soli quindici anni vengono mandati a nord a guardia del fiume Se arriveranno a quarant’anni coltiveranno i campi militari dell’ovest. Sono così giovani che il capo villaggio li deve aiutare ad aggiustarsi le bende in [testa. Se torneranno avranno le teste imbiancate dal presidiare la frontiera. Gli avamposti gettano fiumi di sangue che formano oceani perché l’imperatore di Wu vuole ancora infrangere le frontiere. Il sovrano non sente la voce della Cina oltre i monti, a est dalle duecento prefetture, nei mille villaggi, nei diecimila luoghi dimenticati, nascono ovunque spine. Sono rimaste le mogli a impugnare la zappa e l’aratro. il riso cresce nei campi alla rinfusa. come i soldati Quin che non sopportano più una guerra furibonda e sono trattati non diversamente dai cani e dalle galline. Il signore dovrebbe interrogarsi sull’odio che un padre di famiglia forzato a militare osa manifestare. Adesso che è inverno non viene dato il cambio alle guarnigioni di Guanxi ma il gabelliere con violenza esige le tasse ma le tasse da dove possono uscire? Davvero, oggi dar vita a un figlio maschio è una maledizione. Al contrario è buono nascere femmina Una figlia si può dare in sposa al vicino. Un figlio finirà insepolto tra le cento erbe. Il signore non ha ancora visto le spiagge di Qinghai Le vecchie cose bianche che nessuno raccoglie sono ossa. I nuovi spiriti sono già stanchi di essere oppressi e i vecchi spiriti piangono. Dal cielo nero la pioggia ne bagna le voci, che diventano fruscii, sussurri, sommessi [pigolii.
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Bella donna Unica fra i contemporanei a possedere il dono della bellezza in silenzio esisti in questa valle vuota figlia di buona famiglia nella sfortuna la tua vita si conforma ora all’erba e agli alberi in questo tempo critico, al centro del disordine soffri per i fratelli uccisi non ti è permesso di raccoglierne le ossa perché nel mondo ogni sentimento è cessato ogni cosa ci trasmette il senso di un lume tremolante di candela come il tuo frivolo marito ora ha una nuova sposa, giovane e splendida come giada anche la mimosa sa quand’è il tempo di chiudersi e l’anatra mandarina non passa mai la notte sola io vedo solo la nuova donna ridere la sposa del passato piange ci sono sui monti acque trasparenti che cadendo dalle montagne diventano fangose la domestica ritorna dalla vendita delle tue perle mentre tu cogli i fiori senza inserirli nei capelli raccogli rami di cipresso per riempire le mani giunte nel cielo freddo le maniche color smeraldo sono così sottili e il sole al tramonto si appoggia sulla cima dei bambù.
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Sulla via di Fengxian canto cinquecento caratteri Sono un uomo qualunque indosso vesti delle mie colline. Sono vecchio e sempre più stupido anche se consento ancora al mio corpo qualche sua follia vorrei rubacchiare come gli altri funzionari ma stranamente non mi ricevono più a corte. Incanutisco, ma la mia mano lavorerà ancora finché il coperchio di un sepolcro, com’è normale, cesserà l’ufficio. Le mie aspirazioni vengono spesso incrinate sarà un anno triste per la maggioranza di noi e il mio intestino sospira e arde. Gli altri letterati mi deridono ma il mio canto si spande sempre più intenso. Ho attraversato fiumi e mari solitario, mi accompagnano tramonti e chiari di luna. Ho dedicato la vita all’imperatore ma non sopporto i compromessi segreti del successo. Oggi la corte ha molte voci come strumenti musicali ma mancano i pilastri. Il girasole inclina verso il sole questo sostanziale carattere non può essere cancellato. Non voglio essere come i vermi e le formiche che si sforzano nel loro buco di pensare solo a sé trascurano di ammirare la bellezza della grande balena che salta e sprofonda nel mare. Ho compreso le ragioni della mia vita che sollecita solo umiliazioni e affari aridi. Per ora si sta in piedi mi trattengo dal diventare polvere morirò col rimorso di non essere un eremita. Ma sono incapace di cambiare: Amo bere per ottenere la gioia e la poesia per limitare la tristezza. Sono un tramonto che lascia cento erbe appassite un vento forte che sgretola la cima delle colline. Oggi il cielo è nuvoloso e ripido come uno straniero nella notte vado al centro della Cina. La brina fredda rompe la cintura del mio vestito Il mio dito gelato non può più indicare. Prima dell’alba supererò le montagne il trono imperiale è sul loro arcobaleno. Un luogo fantastico, il gelo riempie il cielo vuoto. Solennemente scendo a valle per scivolosi dirupi nella testa laghi profumati da paradisi caldi. Ecco le guardie imperiali in attesa di nuovi conflitti. E i cortigiani che si divertono lieti. La musica scuote l’anima come il terremoto le montagne. Solo ai più alti funzionari è concesso bagnarsi nelle terme ai banchetti le giacche corte non sono ammesse. Si distribuisce, secondo il rango, la seta rossa da portare alle donne con le case calde i loro mariti picchiano i domestici e si riuniscono per imporre tributi alle città distrutte. Se il saggio porge un canestro di grazie riempito col desiderio che la nazione rimanga viva e se il cortigiano riuscisse a cogliere questa ragione credi che il monarca spargerebbe ancora la sua seta? Molta gente riempie la corte quelli benevolenti tremano. Senti i piatti d’oro custoditi nei locali delle concubine. Al centro della casa danzano come fossero immortali. Il fumo inganna sulla giada della loro pelle. Agli ospiti pellicce di martore e sorci per restare caldi. Le tristi musiche scacciano quelle belle. Si raccomandano all’ospite zuppe esotiche la brina arancione copre la fragranza del mandarino nei magazzini vino rosso e carne sono ammassati fino a imputridire. Fuori nelle strade ci sono gelo, morte e scheletri La gloria sfiorisce molto vicino, dove il mondo è diverso. Mi sconsolo a narrare ancora disgrazie. Vado a nord in direzione dei fiumi Jing e Wei ma le guardie mi fanno cambiare strada. Una massa d’acqua scende da occidente dai picchi più alti il mio occhio torreggia. Mi sembra di essere a Kong Dong Temo di toccare il pilastro del cielo con la mano. Per fortuna il ponte sul fiume c’è ancora la pertica si rompe con un suono che sembra il lamento d’un animale ci aiutiamo reciprocamente nel passaggio del vasto fiume che dobbiamo attraversare. Mia moglie è al sicuro a Feng Xian siamo dieci bocche separate dalla tempesta. Come ho potuto non averne cura per così tanto tempo? Vado con loro a condividere fame e sete. Ho imparato a riconoscere i lamenti. Il mio figlio più piccolo è morto di fame. Cerco di non abbandonarmi al dolore e di non piangere. Ho il rimorso di non essere un buon padre perché non ho cibo da portare a casa. Non sapevo che in autunno c’è il raccolto del riso ma i poveri muoiono lo stesso di stenti. Io vivo senza pagare le tasse e non mi mandano in guerra. Nelle tracce della mia vita trovo afflizione ma le persone comuni sono molto più tormentate di me. Hanno perso tutto. Penso ai soldati morti lontano in battaglia e la tristezza mi sormonta come un’enorme caverna di cui non vedo la fine. Il canto dei cinquecento caratteri è il capolavoro assoluto di Du Fu, non esisteva prima in Cina qualcosa di simile, che mescolasse lirica e canto epico e sociale, e con questa intensità. Gli imperi crollano, i versi di Du Fu come i fiumi e le montagne restano.
Biografia di Giancarlo Locarno