Tradurre = tradire?

Discussione sul quesito “tradurre è tradire il testo originale?”, proposto da Giorgio Moio sulla sua pagina facebook.

Armando Saveriano – Quando traduco dal francese o in francese, dall’inglese o dallo spagnolo o dal latino (o viceversa dall’italiano in queste lingue) sono consapevole dei miei limiti. Ho imparato, con il tempo, a contenere il serpeggiare della frustrazione e ad accettare onorevolmente i miei sforzi. Piuttosto, trovo ridicolo che certo mondo accademico vada in visibilio per sciocche, sciatte e scempie traduzioni operate da laureati in lettere con tesi in filologia, che si autodefiniscono o vengono definiti filologi, senza aver prodotto studi personali, pubblicazioni, etc. etc.

Giorgio Moio – Vedi? Armando, questo credo sia un altro problema del tradurre: il tecnicismo. Io credo che ogni testo tradotto, come afferma Rosaria Di Donato, sia destinato ad assorbire la personalità e la preparazione del traduttore. Per questo motivo, mi sono convinto che traduttore non ci si inventa, come ha detto qualcuno, quando si tratta di tradurre testi poetici, il poeta traduce meglio.

Kiki Franceschi – Sì, inevitabilmente sempre. Ma se il traduttore fosse Ungaretti, beh allora… La traduzione ungarettiana di Blake è un capolavoro assoluto: è una scrittura altra, non una traduzione.

Federica Galetto – Se è altra, per quanto sublime, tradisce. Voglio dire che il traduttore deve rimanere sempre un passo indietro allo scrittore del testo e mai “parlargli/le sopra”. Deve farlo parlare e non parlare per lui/lei.

Giorgio Moio – È proprio questo il problema. Spesso leggo traduzioni distorte abbastanza. Un es.: la traduzione di Fortini alle poesie di Eluard.

Alfonsina Caterino – La lingua può essere definita l’anima di un popolo. È estremamente difficile, se non impossibile penetrare l’anima dell’altro. Pure è indispensabile tradurre, altrimenti l’umanità si priva della ricchezza culturale, prodotta fuori dai propri confini… Secondo me, un testo risulta ben tradotto quando avviene “il miracolo”. Trattasi del quid che, allacciando autore e traduttore, mimetizza il loro profondo sentire, come filo magico e comune… Allora il testo tradotto, anche se “diversificato” dalla stesura originale, riesce a vivere una “seconda vita” chiara e profonda, anche se adottato. Importante che il nuovo genitore abbia un’affinità con il padre naturale!… Ricordo di aver letto il poema La ballata del vecchio marinaio di S.T. Coleridge, tradotto da Mario Luzi e di sentirlo vibrante e spiritualmente ricco, nella lingua italiana, come fosse stato, il testo, di autore italiano! Talora invece, soprattutto per la letteratura americana, le traduzioni risultano nodose, impacciano l’accomodamento mentale dei significati. Questo non capitava con i grandi Cesare Pavese e Fernanda Pivano.

Kiki Franceschi – Va bene per la prosa… La traduzione della poesia è impossibile sia fedele. Sono diversi i ritmi, i timbri, le metafore sono intraducibili, i fonemi sono altri… Insomma si fa un’altra opera. I grandi poeti possono entrare in sintonia amorosa con un altro poeta, ma NON traducono mai.

Lia Aurioso – Pienamente d’accordo con Kiki Franceschi, una mera illusione la fedeltà nella traduzione di un poeta, non aggiungerei altro.

Federica Galetto – Sì, la Poesia è davvero insidiosa.

Gian Paolo Roffi – Kiki Franceschi, sottoscrivo. Non è questo il luogo per discutere in modo articolato, ma le cose stanno come tu hai detto in breve.

Giorgio Moio – D’accordo Gian Paolo e Kiki, non è questo il luogo per sviscerare l’argomento che è spigoloso e assai impenetrabile. Ma la domanda voleva essere un sassolino nello stagno, chiedendo a tutti voi una estemporanea opinione….

Gualberto Alvino – Ogni traduzione (si parla ovviamente di testi letterari) è una riscrittura. Un solo esempio: l’ultima parola della prima strofa di A Silvia – salivi – è un anagramma del nome che apre la strofa: Silvia; ciò significa che il nome abbraccia l’intera strofa iniziale: un vero e proprio inno all’amata. Questo, in traduzione, è destinato a scomparire. Come è destinata a scomparire ‒ lo dimostra magistralmente Stefano Agosti ‒ la disseminazione del fonema /t/ nella strofa (te, tu, tua, tuoi, tuo): altro inno alla destinataria del componimento.

Giorgio Moio – Quindi, l’autore di un testo letterario deve “rassegnarsi” alla diversità di fonemi o peggio ancora, ad una, sia pur più leggera, diversa semantica originale, nel momento in cui viene tradotto? Comunque, in realtà non ci perde, ovvio, in fatto di notorietà, ma basta al poeta o letterato tradotto?

Gualberto Alvino – Non c’è altro da fare se non rassegnarsi.

Eugenio Lucrezi – Caro Giorgio, il traduttore si prende cura di qualcosa che è stato scritto, in molti buoni casi, nell’inconsapevolezza. Mentre l’autore ha il diritto e il dovere di maltrattare la lingua in cui scrive, il traduttore ha l’obbligo di assisterla: è l’infermiere, a volte il rianimatore del testo scritto in lingua altra. Ed è, in ogni caso, un autore secondo, se non un inventore primo. A te un abbraccio…

Pat Stefanelli – Spesso la traduzione fa perdere il ritmo che è fondamentale in poesia. Il ritmo è didascalia poiché ci dà l’esatta percezione del segno linguistico. In poesia il contenuto è parte del linguaggio che si inanella alle figure, al suono, al ritmo. La poesia scritta in versi metrici canonici perde senz’altro qualcosa. È necessario, inoltre, conoscere a fondo la poetica e la cultura dell’autore. In poesia nulla è come sembra.

Corrado Calabrò – È vero Pat. Il problema principale è quello del ritmo.

Giorgio Moio – A tal proposito, io sono in una botte di ferro: le mie poesie che lavorano sul linguaggio, il suono e il ritmo, difficilmente possono essere tradotte. Ma quando arriverà quel giorno ‒ ammesso che arrivi ‒ sarò preparato ad “incontrare” un altro testo, figlio illegittimo del mio. Tradurre non è facile, non deve essere un’operazione superficiale: ne va di mezzo lo spirito e l’estro dell’autore tradotto. Qui, cari traduttori, andateci cauti, e cercate di non fare troppo vostro il testo che andrete a tradurre.

Pat Stefanelli – Sì, caro Corrado, il rischio è alto. Vedo molte poesie dal ritmo perfetto, innervate da fonemi, consonanze e assonanze, tradotte in prosa. Anche le figure, di cui una poesia si nutre, cambiano d’essenza. Sappiamo quanto il significante ami essere diverso dal significato. Bene, Giorgio, sono lieta del tuo lavoro.

Giorgio Moio – Qualcuno ha scritto che una poesia tradotta in una lingua diversa dall’originaria è un’opera autonoma. La traduzione, un’attività che impegnò particolarmente nel secondo Novecento Eduardo Sanguineti e Pier paolo Pasolini. Io credo che il tradurre sia un atto di egotismo da parte del traduttore. Cambiando anche una parola, cambia il ritmo; una diversa punteggiatura, poi, sposta l’equilibrio del ritmo, la sua metrica. È solo colpa della differenza di parole, del loro suono, che un testo tradotto è destinato ad essere un altro testo? Diciamolo agli autori, vediamo cosa risponderanno!

Renata Ceravolo – Tradurre una poesia significa spostare il ritmo, e per far fluire il verso bisogna lasciarlo andare, se necessario, verso una nuova forma. Per poter tradurre bisogna essere poeti. Un autore dovrebbe essere felice se in un’altra lingua dal proprio testo nasce un nuovo suono, più o meno come quando nasce un figlio. Avrà a stessa bellezza e la stessa “luce” del padre, o della madre.

Kiki Franceschi – Quando me la sento, riscrivo in inglese io stessa il testo, ma faccio un’altra poesia, inevitabilmente.

Lia Aurioso – Lingue diverse hanno inevitabilmente ritmi diversi, non è possibile tradurre letteralmente, non si farebbe un buon lavoro né un buon servizio all’autore.

Kiki Franceschi – Si può tradurre in prosa. La poesia è intraducibile. Sì, il traduttore di poesia si ispira ma tentando di tradurre fa una poesia sua. Sempre.

Ada Bianca – Un bravo traduttore, non deve eseguire il lavoro letteralmente come uno studente, ma deve percepire l’anima dello scrittore e saperla esprimere.

Giorgio Moio – Insomma: quello che voglio dire è se un traduttore deve tradurre letteralmente un testo o può farlo suo, in qualche modo, quel testo da tradurre? Il nocciolo della questione mi sembra questo.

Rosaria Di Donato – Un traduttore che traduce, lascia inevitabilmente la sua impronta… anche perché la traduzione letterale rischia di essere banale, priva di ritmo…

Tifi Odasio – Non è solo questione di gelido tecnicismo… serve il cuore “ragione & passione”.

Saggese Paolo – No. È dargli nuova vita, se si è abili e profondi.

Giorgio Moio – Sono d’accordo, Paolo. Se il traduttore non è abile e profondo non si azzardi a tradurre. Il guaio è che oggi la traduzione diventata quasi sempre un’approssimazione in mano a dei traduttori incapaci.

Saggese Paolo – Hai ragione.

Riccardo De Gennaro – Lo diceva Sanguineti.

Giorgio Moio – Lo so. Ma qual è la tua risposta?

Riccardo De Gennaro – Sì.

Caterina Gualco – In verità io ricordavo Croce e Riccardo De Gennaro Sanguineti. Ho controllato, in verità era Carl Bertrand.

Fabio Martini – Non ho capito la domanda.

Giorgio Moio – Con questo post di Fabio Martini credo si possa anche chiudere qui questa discussione. Abbiamo perso tempo, a quanto pare! Non ci siamo fatti capire!

Federica Galetto – Direi di no. Almeno non in assoluto. Tradurre fedelmente si può e si deve. Può accadere che sia necessario qualche “diversivo” (calzante però) perché alcune parole o concetti noti nella lingua di partenza non lo sono altrettanto in quella di arrivo ma anche in questo caso non parlerei di tradire. Credo che il segreto e la maggior difficoltà sia riprodurre “il passo”, “la musica”, “il colore” della narrazione, che è unica ed è forse la prova più ardua per un traduttore.

Anna Fresu – Tradurre è tradire nel senso letterale, cioè traghettare, trasportare un testo da un lingua all’altra. Il buon traduttore conosce perfettamente non solo le due lingue ma anche il contesto sociale, culturale, storico in cui l’opera si è formata. Fa da ponte fra le diversità e come ogni ponte implica la volontà di avvicinamento, in questo caso fra l’opera tradotta e il lettore. Non è mai un atto passivo. A volte, per ridare, ritmo, senso e significato il traduttore deve davvero tradire ‒ ma solo apparentemente ‒ cioè ricorrere a parole e suoni diversi che però trasmettano il senso e la musicalità profonda voluti dall’autore. Parola di Traduttore/autore.

Anna Fresu – Esistono ottimi traduttori e alcuni meno. Tradurre poesia è difficilissimo, la fedeltà richiesta è probabilmente solo la capacità di restituire la bellezza, la complessità dei versi, il mondo che essi racchiudono… Ben vengano i buoni traduttori, sicuramente indispensabili data l’impossibilità di conoscere tutte le lingue del mondo. L’ideale è leggere sempre con il testo a fronte. Anche se non si conosce perfettamente la lingua, qualcosa in più, attraverso il paragone, arriva.

Marco Marchiani Mavilla – In un certo senso si. Ma se il tradimento è di alta qualità ( come, per esempio, quello di Landolfi per Dostoevskij, Gogol, etc.) il “tradimento” si rivela il modo migliore per rendere la bellezza del testo originale.

Leopoldo Attolico – Tradurre è tradire, sempre. Anarchia creativa del proprio ego e del proprio talento (se c’è).

Beatrice Mogetta – Certo, una cosa letta in lingua originale consente di cogliere tante sfumature che, spesso, non sono traducibili… penso per esempio all’ay spagnolo. Non tutti però hanno la conoscenza delle varie lingue, e allora come non essere grati a persone magnifiche come Fernanda Pivano, senza le quali molti non avrebbero avuto accesso ad opere immortali!

Angela Ragusa – Sono d’accordo con Armando… Non si traduce… a certi concorsi di poesia nella sezione poesia in vernacolo viene chiesta la traduzione… ma Che senso ha? (bisognerebbe che l’organizzazione avesse un giurato competente per ogni dialetto…).

Armando Saveriano – È per questo motivo, Angela, che noi abbiamo escluso dalla competizione di Conza la sezione dialettale. Occorrerebbe, in giuria, un gruppo di esperti in dialetti, almeno regionali.

Angela Ragusa – Infatti… io l’ho sempre detto… perché entrare nelle parole in vernacolo è difficile… dentro c è un mondo che va oltre la semplice traduzione.

Angela Ragusa – Semplice.

Angela Ragusa – Si può tradurre Buttitta?

Armando Saveriano – Angela Ragusa, occorrono i cosiddetti!

Tonino Petrella – Parlo da quasi incompetente, ma a me pare che per ammirare un’opera letteraria nella sua completezza, grandiosa così come è stata concepita, parlando di capolavori, è ovvio, bisogna studiarla nella sua lingua originale, perché alcune parole sono intraducibili e, se lo sono, sembrano la parodia dell’originale. La traduzione, si presta, in tutti i casi, ad essere maieutica di una nuova opera.

Lia Aurioso – È inevitabilmente un “tradimento”, ne può nascere un nuovo testo mirabile, dipende dal traduttore, ma sarà sempre qualcosa di diverso rispetto alla versione originale. Eppure benedette siano le traduzioni che ci hanno dato modo di conoscere meravigliose creazioni.

Pablo Paolo Peretti – Ho scritto due sillogi una in italiano e inglese e questa ultima italiano e danese… si perde sempre qualcosa per strada… ma, credimi, sono bellissime anche se leggermente modificate… il senso rimane… quello è importante per me.

Grazia Fresu – Sicuramente il poeta traduce meglio la poesia, ma a patto di possedere un’ottima conoscenza della lingua in cui traduce e della cultura in cui il poeta tradotto ha vissuto e prodotto. Del resto senza i traduttori, che si spera siano buoni, la maggior parte della letteratura mondiale ci sarebbe estranea.

Maria Panetta – Croce non era contrario alle traduzioni, tanto è vero che egli stesso ha tradotto in italiano il Pentamerone di Basile dal dialetto napoletano (e non solo). Riteneva che compito del traduttore fosse quello di riprodurre il “tono” del testo originale. Per questo motivo, nell’eterno dilemma tra la bella e infedele e la brutta e fedele, sceglieva la bella che, sebbene in modalità diverse dal testo originale, adattate al contesto della lingua di arrivo, non ne tradisse lo spirito originario. Ovvio che parliamo comunque di due opere differenti, con differente e autonomo valore estetico.

Grazia Fresu – Un buon traduttore riesce a restituire quasi del tutto la magia del testo originale, soprattutto perché conoscendo bene la lingua in cui traduce e molto bene il poeta che traduce, sa operare le scelte giuste privilegiando ciò che il poeta stesso ha privilegiato nella sua scrittura, ritmo, suono, senso restituendocene il più possibile il processo creativo. Tradurre vuol dire interpretare e come sappiamo ogni opera “aperta” va in ogni interpretazione caricandosi di prospettive e di senso. L’osservatore, sia lettore, traduttore o critico sempre di fatto modifica l’opera, per questo oggi si considera ogni opera un cammino in itinere, un incontro tra il creatore e il fruitore dell’opera che generano insieme infiniti sensi.

Angela Caporaso – Sì… sempre… non a caso infatti quando conosciamo bene una lingua, preferiamo leggere il testo in questione nella “lingua madre”… per esempio, io conosco bene il francese e quindi, quando posso, preferisco leggere un testo francese direttamente nella lingua in cui è stato scritto, senza traduzione… solo così mi sembra di riuscire a capirlo appieno afferrandone tutte le sfumature.

Cinzia Farina – Dipende dalla sensibilità e la capacità del traduttore. Beninteso, L’opera tradotta, sia pure con grande sensibilità e capacità, è sempre un’altra cosa. Non può mai andare aldilà di una approssimazione, di una splendida “convergenza”, nella migliore delle ipotesi.

Edith Dzieduszycka – Mi sono da poco tradotto dal francese poesie scritte una cinquantina di anni fa, tra cui alcuni sonetti. Ho soprattutto cercato di conservare il ritmo e la musica. Lavoro impegnativo… Saranno pubblicate questa primavera da La Vita Felice.

Franco Piri Focardi – Penso che la traduzione di una poesia o di un testo letterario dia per forza vita ad una nuova opera. Un’opera che diventa bagaglio della lingua in cui è stata tradotta che porta con sé i sensi e le idee dell’originale, e sarà grazie alla capacità del traduttore se riuscirà a comunicare in quella lingua anche i ritmi e le sonorità racchiuse nel testo. Ma il punto essenziale sono le parole, il patrimonio fondamentale del poeta e dello scrittore, ed esse sono pezzi di storia vissuta che pesano o volano a seconda delle esperienze. ed ogni lingua ha le proprie se vogliamo simili ma certamente non uguali. E perfino i tentativi di rendere leggibile un dialetto, che pure parte da radici simili, traducendolo in lingua dimostra l’impossibilità di un’operazione tanto profonda.

Rosaria Di Donato – Un testo tradotto, per quanto fedele, è sempre un altro testo. È meglio leggere in traduzione, piuttosto che non leggere, ma il testo autentico è quello originale… Croce era contrarissimo alle traduzioni: purtroppo Croce non è più di moda!

Armando Saveriano – Sì, involontariamente. Si deve tener conto che il trasferimento del senso originale, inimitabile, non restituisce la vis evocativa di un’altra lingua o di una koinè, benché chi traduce conosca benissimo la lingua o il dialetto in questione, e sia un professionista, non un avventizio, e un bravo poeta. Per quanto riguarda la mia diretta esperienza, una sola poeta, oggi scomparsa, la lucana Assunta Finiguerra, prevalentemente dialettale, riusciva, nella versione italiana dei suoi testi in dialetto, a operare il miracolo di mantenere intatti l’attrait, il vigore, la bellezza degli originali. Provate a rintracciare i suoi libri, leggete e verificate!

Roberto Baldini – Diciamo che forse si perde un pezzetto dello spirito originale dell’autore. Consideriamo poi che le rime, in una poesia, possono essere annullate da una lingua all’altra.

Tifi Odasio – Solo la sensibilità d’un poeta può tradurre senza tradire. W la poesia e tutti i poeti.
In mezzo a tutto questo rumore comunicativo, la poesia altera si affaccia modesta. C’è un gran bisogno di parole in poesia giusto per sedare un poco di questo assordante inutile timore.

Preziosi Federico – Necessariamente è un tradimento, soprattutto in poesie. Ma è un tradimento necessario alla divulgazione.

Caterina Gualco – Benedetto Croce, da misogino, diceva che le traduzioni sono come le donne, solo le brutte sono fedeli.

Caterina Davinio II – Penso proprio di no, se hai capito a fondo quello che stai traducendo!

Caterina Davinio II – Altrimenti anche leggere è tradire, e in parte lo è!

Nicola Magliulo – Direi di sì, almeno in parte, anche etimologicamente le due parole sono affini.

Giangiacomo Amoretti – In poesia sì, tradurre è inevitabilmente tradire. In prosa non necessariamente.

Gian Paolo Roffi – La risposta è “sì”, poi il discorso sarebbe molto lungo… Qui siamo su FB!

Giovanni Nebuloni – Dipende: in generale la traduzione tecnica deve essere letterale, mentre la traduzione letteraria di una narrazione può essere anche interpretativa o anche libera.

Valter Nesti – No non è tradire se il traduttore riesce a entrare in piena sintonia con l’autore prima e col testo dopo. Quindi non si tratta di tradurre ma di “interpretare” visceralmente il testo.

Alessio Marolda – A tal proposito è illuminante l’introduzione di Caproni al libro Rene Char, poesia e prosa (Feltrinelli, 1962).

Marco De Giorgio – Al liceo mi ammonivano dicendo: “Travasa e non travisa!”

Armando Saveriano – Anche nel mio liceo. Pertanto, presentavo sempre la traduzione letterale e quella a senso; la traduzione fedele e quella libera, adattata all’italiano corrente.

Gianfranco Isetta – IN GENERALE NESSUN TESTO POETICO È TRADUCIBILE PERCHÉ PARLIAMO DI UN “OGGETTO” CHE HA UNA FORMA E UNA SOSTANZA INSCINDIBILI, SI PUÒ PENSARE DI COSTRUIRE, TRADUCENDO, UN NUOVO TESTO CHE INCONTRI, MA SOLO IN PARTE, IL TESTO ORIGINARIO PERCHÉ IL LINGUAGGIO È PARTE ESSENZIALE DI UN TESTO POETICO COSÌ COME I SUONI E IL RITMO CHE NE DERIVA.

Kiki Franceschi – Perfetto, la penso esattamente come te.

Federica Giordano – “Tradire solo per seguire più da vicino”. Bisogna avere il coraggio di sporcarsi le mani e tradire il testo solo per meglio servirlo. Quello che conta in una traduzione è che sia salvo quello che Benjamin chiamava il “Dichteriches”, ovvero il poetico. Nessun trasferimento di senso tecnicamente perfetto può, da solo, mantenere il brillio della poesia del suo originale. Tradurre significa potenziare al massimo la facoltà di ascolto di un testo e riuscire a riprodurre la frequenza per simpatia, con un altro codice. Il traduttore è il più attento lettore di un testo se ne coglie le possibilità di espansione, rottura e gemmazione. Inoltre in quanto teoricamente impossibile, è compito affidato a ciascuno, diceva Goethe.

Federica Giordano – Mario Fresa scrivi la tua.

Luther Blissett – L’osservatore disturba l’osservazione.

Mauro Dal Fior – A FEBBRAIO HO FATTO UN RECITAL SU QUESTO ARGOMENTO.  CERTO CHE È TRADIRE MA NON SOLO DALLA LINGUA STRANIERA ALL’ITALIANO O VICEVERSA MA ANCHE DALLA POESIA ALLA CANZONE O VICEVERSA.

Paola Rambaldi – Quando non conosci il testo originale non lo sai mai.

Enrico Bugli – Solo il tema è lo stesso… almeno.

Claudia Vianello – È sempre un tradimento.

Mari Luis – No!

Maurizio Brignone – Sì.


 

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