GIORGIO MOIO, Venti punti sulla poesia visuale


  1. più che pensare a cosa caratterizza la scrittura visuale odierna, mi preme sottolineare cosa non dovrebbe caratterizzarla, per non essere fagocitata dalla pubblicità e dai mass-media: non sottomettersi alle mode e ai ricatti dei galleristi;

  1. nonostante sia d’accordo che una poesia visuale invada spazi deputati di solito ai pittori, la poesia visuale non deve diventare furberie per farsi apprezzare dal mercato dell’arte, né esclusivamente merce ornamentale, sinonimo di piacere giaculatorio, di inerzia parsimoniosa;

 

  1. essa deve restare poesia verbovisuale, scrittura critica e ideologica, messaggera d’un movimento, d’un cambiamento;

  1. per non farsi fagocitare molto facilmente dal mercato dell’arte – quindi assoggettata a ricatti e compromessi – si dovrebbe incrementare il verbale al suo interno, a volte quasi inesistente, anziché il sempre più insistente aspetto iconico-pittorico, visto che si continua comunque ad usare il termine poesia;

 

  1. quando la poesia visuale viene esposta, rischia di scontrarsi con due elementi “nocivi” per la sua esistenza: a) l’esasperazione dell’io; b) il cadere nella solitudine;

  1. la poesia visuale è uscita dai libri per incontrare la solitudine, il compromesso e il ricatto del mercante di turno? l’unica forma di esposizione che si potrebbe accettare, senza sentirsi una intrusa, mise en abîme, è quella collettiva;

 

  1. nelle esposizioni collettive la con-fusione protegge da molti sintomi narcisi e iconoclasti;

 

  1. ma per tentare di mantenere integra la sua “purezza”, il tutto deve tendere più verso una riconoscibilità segnico-linguistica-oggettiva che verso un’affermazione visuale-pittorica-soggettiva; tendere più verso un’esigenza “mobile” per dirla con Benjamin, mai in grado di soddisfare nel momento della sua composizione;

  1. l’indagine critica e plurilinguistica, apparentemente comica, giocosa, è il compito della poesia (anche quella visuale), e non può che svolgersi sul limite dell’impensato, per una moltitudine di voci, suoni, immagini, grafie che s’inseguono e si ribaltano per un linguaggio che diviene “semplice” materiale da usare e da “mostrare” “libero”, nelle sue infinite proporzioni;

 

  1. ormai i nuovi strumenti di comunicazione hanno invaso i nostri spazi sociali, il nostro modo di essere (i giovani pare che non possano fare a meno di internet, del telefonino, dell’i-pod e i-pad);

 

  1. in questa epoca ultra tecnologica, la poesia visuale è rimasta mestamente indietro rispetto ai tempi, tranne quando è terreno fertile del mondo pubblicitario, ma possono spingere in avanti la poesia visuale le tecnologie? magari sì, ma il problema, semmai, è saperli usare, non farsi attraversare in tutto e per tutto dalla loro fredda, rigida e schematica “invasione”, saper prendere da esse quel contributo che serve a velocizzare un lavoro, un’attività, un’idea;

  1. fra qualche anno, crediamo, che la maggior parte dei libri si stamperanno in digitale e quelli tipografici saranno destinati ad una ristretta nicchia di appassionati;

 

  1. auspicandoci che non accada la stessa cosa per le scritture visuali, altrimenti saremmo ‒ anche in questo caso ‒ destinati a “guardare” più litografie e immagini virtuali che opere amanuensi;

 

  1. credo che il senso e le modalità espressive tradizionali di una scrittura visuale possano ancora realizzarsi, basta non farsi influenzare più del consentito dai nuovi strumenti di comunicazione. comunque, se riusciamo a portarli dalla nostra parte, dalla parte della creatività senza farci “aggredire”, possono darci una grossa mano in fatto di divulgazione e velocizzazione dei lavori;

  1. comunque, non riesco più a immaginarmi una poesia concreta elaborata con la vecchia macchina da scrivere o con la xeros: col computer ci vogliono pochi istanti, se si possiede un adeguato programma, per creare una poesia concreta o parte di una poesia visuale sulla quale poi, successivamente intervenire con le tecniche tradizionali;

 

  1. ma che ruolo assegnare oggi alla scrittura visuale? la stessa posizione della poesia lineare di ricerca, ossia una libera espressione non vincolata ai luoghi deputati dell’arte: tuttavia, come per la poesia lineare, per potersi realizzare e “comunicare” dovrebbe tenersi lontano dall’industria culturale (dai galleristi-mercanti), magari auto-promuovendosi, affidandosi, per la sua diffusione, a circuiti più liberi;

 

  1. da più parte si sente affermare che la poesia visuale è finita! sostituita dall’asemic writing, grafie asemantiche alla portata di tutti. piuttosto il problema è trovarle altri spazi comunicativi che non siano le sole gallerie o musei: insomma più a contatto con la gente, con il lettore (e sì, con il lettore, perché la poesia visuale oltre che “vederla” si deve “leggere”);

  1. sarebbe auspicabile un maggiore accoglimento o ad un incremento da parte delle riviste alternative e di tendenza;

 

  1. creare spazi alternativi di esposizioni in spazi frequentati quotidianamente dal pubblico, p. es. le librerie, sui muri delle città;

 

  1. l’errore per cui la poesia visuale si è “dispersa” è stata la mancanza di verbalità all’atto della sua creatività, in modo da allontanarsi o distinguersi da un quadro, dalla pittura, per non diventare la sua eterna sorella povera; tutto ciò si può realizzare “esponendola” anche in luoghi diversi da una galleria: libri, pannelli pubblicitari, scuole, circoli, etc…

Le poesie visuali sono di Giorgio Moio


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