GIANCARLO LOCARNO, “Preghiera in Gennaio” di Rosaria Di Donato

Il titolo del libro di Rosaria Di Donato richiama la canzone omonima di Fabrizio De André dedicata a Luigi Tenco, è una preghiera che sembra cercare di arrivare a Dio faticosamente, fuori dai luoghi comuni dei benpensanti, dal profondo di un inferno personale che ha avuto la sua conclusione nel suicidio. Questo avveniva in un periodo in cui il diritto canonico proibiva la sepoltura religiosa anche per i suicidi, il funerale si faceva con la formula “A lume spento”, come per gli eretici Oggi con la riforma del diritto canonico del 1983 non è più così, anche loro possono avere una sepoltura religiosa, al comma 2283 si dice: «Non si deve disperare della salvezza eterna delle persone che si sono date la morte.

Dio, attraverso le vie che egli solo conosce, può loro preparare l’occasione di un salutare pentimento. La Chiesa prega per le persone che hanno attentato alla loro vita.»

In esergo è esplicitata, oltre che la dedica a De André, anche quella a Maria Grazia Lenisa, penso si riferisca in particolare al “Canzoniere Unico”, opera ultima e postuma che riassume una vita di poesia, e che ha il discorso religioso come asse portante, cito quattro versi:

Nell’aria scorre

   l’astronave divina e non c’è spazio

               per il suo atterrare

se non mi faccio deserto di ascolto.

Dunque, le dediche si riferiscono a religiosità che non temono di affrontare la morte, il deserto, la notte, di entrare in una selva oscura di dubbi, dove la religione non è un’abitudine farisea, e dove tanti possono smarrire la strada ma devozione che  mantiene un orecchio acuto e attento all’ascolto dei segnali del divino, come anche questa poesia cerca di fare.

Voglio allora partire dalla fine, con “fil rouge”, una poesia nata invano dalla notte, ma in continuo movimento, perché l’arrivo si ricongiunge e si confonde con la partenza in un ciclo infinito. Per me questa notte è la Tenebra Divina dello Pseudo Dionigi l’Aeropagita o la Notte Oscura di Giovanni della Croce, se Dio è in sé inconoscibile chi cerca ha davanti a se solo l’inadeguatezza del buio, dell’impossibile e questo può fare paura. Eppure la fede si consolida, procede anche nel buio, per sforzo individuale o magari anche per grazia, alla ricerca di un sentiero, di un pertugio che fori le tenebre e riveli un altrove assoluto, un mondo luminoso e parallelo oltre le stelle, come se queste simbolicamente fossero fori del reale che lasciano intravvedere la luce del divino al di là. Sono tante le strade che l’umanità percorre per cercare di avvicinare questa luce, che poi non è altro che la verità, una tra le possibili passa attraverso il riconoscimento che il mondo è un’apparenza, un cumulo di pensieri, come nella poesia “a dio”, arriverò a te attraverso i frantumi di un mondo apparente, come nel Buddismo. La poesia dedicata al Dalai Lama indica come empaticamente, a pelle ci possa essere un comune sentire, un corto circuito, tra il “veicolo adamantino” tibetano e il misticismo dell’occidente. Sul piano poetico mi torna in mente Montale: «Forse un mattino andando in un’aria di vetro» improvvisamente un barlume di verità lo investe, il nulla che precipita sulle spalle, alberi, case, colli sono apparenze dell’inganno consueto, una religione senza un Dio.

Ma in Rosaria questo sentiero è solo sfiorato, riconosciuto, rispettato e accennato ma non percorso.

In questa poesia c’è un afflato che è etico e nello stesso tempo ecumenico e cosmico, nella poesia “Il centro non sei tu”si raggiunge un profondo sentire unitario, il rifugio nel seno di Abramo, che è il padre di tutti, costituisce una terra comune, un fattore unificante delle tre principali religioni monoteiste, in un tempo ancestrale prima della divisione tra ebrei, islamici e cristiani.

In questa poesia accadono le cose che succedono a tutti nella vita, in forma di parabola, una poesia che, come Lazzaro muore, ma poi risorge più forte, sa che Dio non si nasconde nel mondo o nei versi con citazioni al negativo, una poesia che si avvicina e poi corre a sbirciare le arcate di luce, il mondo luminoso oltre le stelle, il senso segreto di tutte le cose col grimaldello del paradosso che ci indica come siano quelli che si perdono a trovare alla fine Dio, che è nelle cose di tutti i giorni e non si nasconde a nessuno, anche le persone semplici come Bernadette Soubirous, possono dire: in vita conobbi la città di Dio.

In questa poesia tutto è intriso del divino e tutto si fonde nel presagio e nella speranza di salvezza, e come la Veronica custodisce e mostra i segni sacri che ha avuto la fortuna di ricevere.

Forse non sono la persona più indicata, per svolgere considerazioni articolate sulla religiosità, dal momento non ho il dono della fede chiara e limpida come quella di Rosaria, ma seguo ancora i miei sentieri dubbiosi e contorti di ricerca.

Non è facile avvicinarsi alla preghiera, e considerare preghiera una poesia, bisogna saperlo fare, percepirla come un momento di colloquio e di abbandono nelle braccia del divino, per questo è necessario sentire una vicinanza e una familiarità con Dio, come se fosse appunto qualcuno di famiglia, al quale possiamo anche porre la richiesta di qualcosa che sentiamo ci manca, o una grazia che si vorrebbe scendesse come pioggia sull’umanità.

La preghiera come strumento per incidere un segno indelebile nella realtà, anche esplicitando i tanti dubbi.

Se Dio è padre e vuole il nostro bene perché la realtà è paradossale? Regnano il male e il dolore, perché il giusto e l’innocente soffrono?

Questo è anche quello che si legge tra le righe nell’inferno del “lockdown”, chiusi nelle nostre case, prede di un virus, a motori spenti e cosparse di disinfettante le mani che non si sfioreranno mai. Dopo la notte del “lockdown” viene la poesia “politica” del “padre nostro” come Dio di tutti, non solo di noi ma anche di loro, che la pace possa invadere le nazioni e arrivi il tuo regno.

Cosa dire dell’aspetto ritmico e armonico, ogni lirica non è regolata da un sistema fisso di rime, e non è supportata da un ritmo costante, fatto di accenti tonici ripetuti nei versi sulle stesse vocali; ogni verso, quando non è prosastico, ha un suo ritmo peculiare, come:

giorni d’amore vuoti

con l’accento tonico sulle tre O

o con le allitterazioni:

quasi morto mi trovò marta

il legno germoglia

come il mare che smosso

l’armonia è ottenuta dal dosaggio di versi brevi e lunghi, di versi che cominciano con parole brevi e si concludono con parole lunghe:

sii tu il nostro cibo quotidiano

che danno al verso un senso di apertura finale, e di versi che cominciano con parole lunghe e finiscono con parole brevi:

offerte in espiazione a dio

che, al contrario, fanno collidere il verso, verso un punto di conclusione.

La mancanza di maiuscole abbassa un po’ il tono come nel blues, e, per me, esprime una certa malinconia che fluisce, come un’acqua che scorre.

Ci sono anche parti veloci come inserti bebop. Il timbro dominante mi sembra quello dei fiati specie nelle parole ripetute, come inserti di sassofono.

In conclusione, una poesia in equilibrio armonico tra due forze, una che spinge verso l’analisi della propria imperfezione e inadeguatezza, l’altra che questa inadeguatezza l’abbandona come una vecchia pelle per elevarsi verso un ridestarsi nella luce: in entrambe queste fasi che, peraltro, agiscono contemporaneamente, l’invariante, quello che non manca mai, è la fede.

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Rosaria Di Donato

Preghiera in Gennaio

Macabor Editore 2021, pp. 78

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Biografia di Giancarlo Locarno

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