FEDERICO PREZIOSI, Note a margine

Versi come foto d’arte quelli di Beatrice Orsini, una voce singolare nel panorama odierno della poesia italiana. Un suono gentile e cangiante accompagna liriche dal sapore intenso, anche nel dolore e nella violenza, ed esprime un gusto ricercato seppure minimale, una maniera capace di destreggiarsi nella scomposizione degli elementi con la grazia seducente di un “caos” sapientemente ordinato. Vi è una sorta di penetrazione negli oggetti e nelle rievocazioni, le scene poetiche sono stanze e luoghi annuvolati, una coltre di sensazioni in cui si avverte un profondo senso vitale e al contempo moribondo. Nella scrittura aleggia un dualismo congegnato, è il caso di dirlo, “ad arte”, un doppio che quasi sovrasta l’io originario scomponendosi a sua volta in versi-angolature di spazi familiari eppure freddi, ostili, spazi in cui Beatrice Orsini mette in scena la propria morte-resurrezione.

In Anche l’acqua ha sete si percepisce un trauma insanabile, sullo sfondo stanno punti di rottura o profonde lacerazioni. Non c’è modo di guarirne, ma le ferite che sanguinano e i flussi corporei che parlano rappresentano testimonianze e prove dell’esistenza spirituale. È lo spettacolo di una parola martire a farsi corpo, unico depositario di un’azione percepibile, il trait d’union del doppio, la forma che contiene le anime. Qui si celebra la vita, l’esplorazione e il sesso tramite l’intermediazione di un’esperienza conoscitiva, ma al tempo stesso il corpo diventa protesi, sostegno di profonde incertezze in un florilegio di fragilità.

La poesia di Beatrice Orsini è come la body art di Gina Pane, in cui vivere il proprio corpo è un modo per scoprire non solo le proprie debolezze, ma anche il profondo senso di schiavitù di un quotidiano costellato da continue e personali mancanze o assenze. La poeta prende coscienza dei propri demoni interiori nell’atto continuo e sacrilego di sfida alla società senza dichiarazioni di guerra: l’autunno bussa alla porta, la stagione che preannuncia la fine, attraversa un passato perpetuo onorando il presente ed inscena una serie di rituali. L’autunno e i suoi colori, i suoi vuoti, come confine che si sta valicando nella consapevolezza che l’inverno (non la primavera) di una nuova stagione sta per compiersi. È un rito iniziatico in cui emerge una nuova donna, non fiera, non battagliera, ma totalmente animata dalla fiamma scoperta, fedele a una conoscenza che passa dal corpo, dalla disposizione della scena, dal movimento e dalla postura. La forma nella poesia di Beatrice Orsini è sostanza pura.

Beatrice Orsini
Anche l’acqua ha sete
Controluna, 2018, pp. 85

 

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