La poesia è l’urgenza di perderci nel labirinto, la necessità di tradurre in versi le nostre mostruosità interiori ed esteriori: un tentativo di conversione dell’oscuro in bellezza, un trascinare fuori dalle tenebre infernali quel cono di luce che fin dal principio permette di osservare il mondo e il canto eterno che esso custodisce. Considero la poesia anche come un figlio: come potrebbe, dunque, non somigliarci e allo stesso tempo non essere noi? L’arte è il nostro modo di organizzare il vuoto, direbbe Lacan: questo, però, non vuol dire banalmente che la poesia esiste solo in rapporto con i fantasmi di chi la scrive (cioè che il verso sia solo la strutturazione in linguaggio del nostro inconscio), ma che proprio a partire da questa traduzione in significante della nostra interiorità si aprano spazi vuoti e sterminati di significato da riempire con tutte le possibili alterità che ci circondano, e che sono universalmente valide per tutti (Eleonora Rimolo).
* * *
Avvolta in fragranze di limoni vorrei,
tu con il maglione a quadri, in cucina
mi sorridi dall’altro capo del filo
in tasca hai tutte le piaghe del senno
piegate stanno in mezzo al fazzoletto
sopra il tavolo lucerna senza vento
aroma di caffè, disusate tenerezze
di vecchio, la luna sovrasta il tetto
non si vede che il velo dell’altro
suo volto, nei tuoi occhi,
come un vaso ornato privo di fiori:
tra i disegni e le chiacchiere
sono morti numerosi altri
idoli ma in te solo, nelle tue ossa,
io rivedo la tovaglia, le carte, le forbici
in fila indiana, la fruttiera,
in principio.
Lì dove nacqui erano già in cammino
i tuoi passi, ancora e ancora
stritolano speranze
e – solo ̶ il tuo amore fa ruggire
a me dentro tempesta.
Ci riabbracciamo qui sotto il letto,
aiuto, ho buttato via l’asso
di denari, sono stata davvero, ho fatto
proprio la mossa sbagliata: tu
batti le mani, vincitore, il vino
ti colora rughe nuove e le Erinni
finalmente
abbandonano l’estate.
*
ad A.G.
Non conosco l’uccello che vola
basso sopra il raccordo autostradale
si ferma e poi con la sua lunga ala
abbatte tutte le scene cittadine
– di molte cose non conosco il nome
ma so che oggi è finita un’epoca,
so che lui scriverà ancora ma questo
non lo salverà, so che avremmo potuto
dire di più e che nel guanto di queste
ispirazioni imperiture c’è l’estremo
tentativo di conciliare la vita
con la violenta gratitudine di morire.
E a questo punto tutte
sono ostili figure da taglio:
il povero sul ciglio, la donna in procinto
di spegnersi alla finestra
– o dentro la sacrestia, tutte le sere
e quelli che fanno della noia
il sufficiente nutrimento.
*
Ripensare ai bambini così,
molte fasi lunari da attraversare
col brillio dei piedi piccoli
diamanti della costa ornati
e alcune sere davanti
accaldati dopo il gioco poi
attratti dalla marea, a mano
a mano che monta l’estate
sereni e vuoti quei pensieri
sul pelo dell’acqua viaggiano
ed il tempo ci occorre
adesso
per gonfiare i petti e rincorrere
dalla fine dell’orizzonte
le idee che crescono:
percepire della leggerezza
la puntura, subire la letizia
senza piegarci mai.
*
Amarti è di nuovo covare
la nausea del non capire,
è l’aver smarrito
il sentiero scavato
dall’aratro, è chiederti
quanti sono i superstiti,
spegnere la luce, abbandonarsi
nel sonno alla strage.
*
Lasciatemi dire
la foglia immarcescente
la processione degli orfani e delle spose,
lasciatemi fare l’umano e capire
che non si può bastare a nessuno.
*
E saprai di quella migrazione verso
lo strisciare nella pazienza, saprai
come guaisce il piacere di uccidere
mentre leali puntiamo alla gola:
così, tenendosi allo specchio,
nascondendo le lame tra le guance,
avvicinando il naso al vetro,
sgonfiando il petto, facendo
col fiato una macchia, scrivendoci dentro la pena.
*
A noi piace il mare. Questa terra arida
putrida non la tradiamo. In via S. Giacomo
i tossici del Sud sono piccoli e quasi
scompaiono dietro uccelli di carta:
non un commento, non uno, sugli avanzi
della festa. Solo si sbucciano la pelle,
provano pietà per il cane zoppo. Qui
pure le periferie sono insignificanti,
girotondi cruciali tra quattro cortili,
paralizzate possibilità.
*
All’occorrenza il tuo cranio diventa
una sfera colorata, maiolica con la frattura:
è quello il punto esatto in cui la debolezza
abdica e tutti i manifesti volano via
angeli di carta ci premono la nuca
sul bordo tagliente della gioia.
(1) Queste poesie, scelte dall’autrice per F.P., sono tratte dal volume Temeraria gioia (Giuliano Ladolfi, 2017).