CARMEN MOSCARIELLO, “Tra sogno e finzione” di Giorgio Moio

«Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica

non libertà prevale nella civiltà industriale avanzata,

segno di progresso tecnico».[1]

La non libertà, l’apparente levigata libertà, la pseudo libertà degli ingannati, la libertà dei politici  nell’illuderci, nel  fregarci e prendersi tutto. L’uomo è disilluso: ormai sofferentemente cinico è il protagonista dei quattro racconti di questo libro. Un’improbabile oggettività mascherata da finzioni che lo scrittore sbudella per rendercele nel loro putrido odore di promiscuità assordanti. Una malattia fatta di rigurgiti, dove il primo protagonista è un poeta disincantato, che nonostante sia predisposto ad aspettarsi tutto o il contrario di tutto dalla realtà che sbardella, è sbalzato fuori da se stesso dalla crudeltà sociale, il tutto espresso in un linguaggio potentemente rivoluzionario in un bilinguismo fluido e bene accordato con se stesso e con i racconti e con i personaggi che vivono nell’opera, l’unico linguaggio possibile per raccontare le sorprese crudeli alle quali una società incivile, popolata da politici zozzi e indifferenti, ci obbliga a vivere. Un anarchico bollore di rabbia contro chi piega le vite degli uomini, divorandosele, vedi l’ultima parte dell’opera “La Costituzione” intesa ironicamente e con dovizia di particolari sconvenienti, ma veri, come una baldracca che ha tradito tutto e tutti che sventola un vessillo, seppur putrido, che urla “ora basta”.

Quest’opera di Giorgio Moio per un aspetto è esilarante, graffiante, violenta, crudele, per l’altro una finestra aperta, pietosamente aperta su una umanità abbandonata, depredata da chi invece dovrebbe proteggerla. Ma l’autore è ben lontano dal voler fare la “morale” a qualcuno o tantomeno a se stesso, come Herbert Marcuse, ci dice che in quest’oggi bilioso, non c’è niente di cui essere fiero, tantomeno il poeta si sente come gli altri in uno stato reattivo ben peggiore dei lazzari. Niente è stratificato, anche se lo scrittore è alla finestra e osserva questo teatro di nani e ballerini che vivono nel loro quotidiano brusio di non idee, di nessuna speranza, di cattiverie, di sfruttamento, a tutti i livelli, del più debole da parte del più forte. Non si salva nessuno: non si salva la chiesa, non c’è “trippa per gatti” per i politici che hanno in testa solo “la topa pelosa”, non si salva l’uomo comune con le sue ossessioni che non va da nessuna parte. In quest’opera non ci sono sentieri, nemmeno “Il sentiero dei nidi di ragno”[2], c’è solo una ragnatela fitta dove gli uomini e le cose sono tenuti prigionieri. La libertà degli ingannati, c’è un forte riferimento a  chi ci ha venduto una vita che non è la nostra, che ci ha resi schiavi, neghittosi, che non conosciamo la lotta contro il male (un preciso riferimento alle mafie) un demandare un non so bene a chi mentre i treni si scontrano, i ponti crollano nel bayram quotidiano senza che niente venga fatto per un Paese che ormai è come “Il cavaliere inesistente”, ha una bella armatura bianca che scintilla al sole, col suo cimiero di crine multicolori, ma «quello è un cavaliere che non c’è… Ma come non c’è l’ho visto io c’era. Cos’hai visto? Ferraglia… è uno che c’è senza esserci, capisci, pivello».[3]

È questo che ci dice Giorgio Moio con la sua scrittura innovativa-oggettiva, amara velenosa, furente, con i suoi contenuti scandalosi, con il suo sogno che non è sogno, ma crudele realtà. Egli è come Agilulfo che è alle spalle dei cavalieri e li osserva, così lo scrittore è alla sua finestra, da qui legge nella testa degli uomini e delle donne i loro desideri scandalosi e impudichi, il loro non dire, crogiolandosi in una vita piatta lineare, sconvolta solo dalle tragedie, sembra che esse soltanto portino una scossa. I pseudopercorsi sono quelli privilegiati del denaro, del potere, qui è il disonore, l’abiura di uno Stato che una volta toltagli la celata del cavaliere inesistente, puoi trovare solo il Nulla. 

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[1] Herbert Marcuse, L’uomo a una dimensione, Piccola Biblioteca, traduzione di Gianni Gallino, Einaudi, Torino, 1964.

[2] Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, Einaudi, Collana i Coralli, 1947.

[3] Italo Calvino, Il cavaliere inesistente, A. Mondadori, 1993, p. 29.

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Giorgio Moio

Tra sogno e finzione

Robin Editore, 2020, pp. 96

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