CARMEN MOSCARIELLO, “La felicità del disordine” di Dante Maffia, Maestro d’Infinito

Letture – Riletture


Ogni volta che leggiamo un testo, si sa che siamo coinvolti, di più o di meno, a seconda delle affinità emotive ed elettive che ci coinvolgono.

In questo periodo le mie letture sono state particolarmente coinvolgenti e altamente formative, a iniziare da Vivere poeticamente la terra [1] di Emerico Giachery, quest’opera riempie i miei giorni e i miei spazi più familiari della casa, dove mi rifugio per meditare. Prima di iniziare la mia giornata, leggo una pagina o un paragrafo di questo meraviglioso libro, che mi riconcilia col mondo e mi pone dolcemente, candidamente sulla traiettoria dell’Universo. Insieme a quest’opera, custodisco sulla spiaggia bianca dei miei giorni della vita la recente pubblicazione di Dante Maffia. Ho iniziato a leggere questo testo in modo didascalico, sentendo nei primi  giorni la nostalgia e la mancanza della sua grande poesia che ho amato fin da giovane. Uno dei  primi libri di poesia che ho acquistato giovanissima è stato L’educazione permanente (Edizioni Casagrande) con l’intensa prefazione di Giacinto Spagnoletti, in venti pagine ci parlava dell’uomo Maffìa e di quello che già il mondo considerava un grande Poeta.

Ritornando all’opera La felicità del disordine, man mano che leggevo e rileggevo mi sentivo attratta in questo vortice di energie, qualcosa che è difficile descrivere, Maffìa sa prendere la vita “di petto”, non sa temporeggiare, né perderebbe  tempo sui capricci dell’esistere. Tutto ci viene narrato in modo chiaro e deciso, direi travolgente “è un torrentello giovane”, mai pago, irruento, tempestoso, determinato. Consiglio questo testo a tutti, in particolare ai giovani, ma anche a chi nella vita ne ha sopportate troppe di delusioni e amarezze, che è seduto e stanco, incapace di riprendere la propria promenade. In questo testo, in verità, viene indicata come “maestra” una strada particolare: quella del disordine: «l’ordine include, impone, pretende, non permette un solo sbaglio, opprime, limita, non concede, soffoca, è recinto da cui, altrimenti si commette il delitto, si rompe la linea di demarcazione di un qualcosa che spesso è  sfociato in abusi e delitti, persino di massa. Vedete il Nazismo. L’ordine dovrebbe avere appena un’esistenza momentanea, che fa prendere visione dell’insieme, che dà la contezza di ciò che si ha davanti, ma poi dovrebbe essere sempre tradito, scacciato, vilipeso, insomma relegato al ruolo di ausiliario e non di padrone»[2]

In questo luminoso scritto, mi sono ritrovata in tutto e per tutto, in ogni pagina, ogni sillaba mi apriva spazi inesplorati della mia coscienza, mi portava oltre la memoria e mi liberava di ombre che troppo a lungo avevano annegato i mie cieli, mi rendevo conto di come l’acqua scorrendo mormora [3] e se non si trova la volontà di esplorarla, può causare molti danni.

Inconsciamente e senza razionalizzare, né  così bene esaminare, come invece fa l’Autore, alcuni aspetti della vita mi sono sembrati come il rifugio  della lucertola, che si nasconde alla luce del sole, sotto le pietre, mentre i fuochi del testo si accendevano dentro. È questo un percorso fiammeggiante che solo un genio poteva scrivere, non chiede rifugio, non conosce pericoli, esplode nella luce dei giorni e racconta di un magico confluire di una piccola particella nell’immensa scoppiettante raggiera dell’universo. Detesta la  noia, ignora qualsiasi sorte prestabilita, qualsiasi ordine umano o teocratico, sguscia e si apre a un’immensa conversazione umana che non conta ore, né tempo, sfrigola come i serpenti che cambiano veste e, più luminosi che mai, sfidano il sole.

Dunque, perché mi sono ritrovata in questo testo?

Fin da ragazza a scuola e in famiglia hanno tentato l’impossibile perché io mi mettessi “in riga”, ho pagato la mia “diversità” con molte feroci  imposizioni, rimaste sempre inosservate. Mettermi “in riga” sul piano scolastico era volermi far ripetere le frasi istituzionali, farmi imparare a memoria le prefazioni ai testi letterari, farmi ripetere ciò che di più noioso e verboso si poteva ricavare da una lettura  del Manzoni o di Tacito. Un solo professore, quello di Latino, un geniaccio, quasi pari a quello di Maffìa, un giorno della mia vita scolastica, avendo corretto un mio compito in classe, mi scrisse: »La vaghezza di questa fanciulla  affascina, la sua traduzione e tra quelle più  lontane dal testo che si possano immaginare, eppure è la più coinvolgente e precisa». Trascrissi questo “giudizio” su un mio diario di allora che ho sempre conservato e quando qualcuno prova ad assestarmi il solito pugno «non risponde ai canoni, agli ordini e alle strutture prestabilite ecc. ecc.», io mi trincero in  quelle parole…

In effetti ritornando al grande Maffia, questo libro ha una dolcissima protagonista che è la libertà.  Essa  non è un principio, un canone prestabilito, un involucro a sorpresa, un ruggito d’asino, o di leone, essa è l’unico potere per il quale vale la pena vivere. Soprattutto per lo Scrittore e il Poeta: proprio questo subbuglio, questo fluido impossibile da imbottigliare o marchiare, permette al Genio, non solo di avvicinarsi alla voci della Natura, ma essere la fragranza dell’Io che canta, ama, odia, crea.  Il  Dio di Maffìa è in primis un dio con una forza, con una volontà, con un desiderio d’infinito che nessuna tempesta, nessun nubifragio può mai placare. Esso spalanca porte, ci presenta la vita, quella vera, con i suoi entusiasmi, i suoi chiarori che inebriano, ubriacano, non pacificano, ci danno equilibrio anche se ci reggiamo su un unico dito del piede destro.

Parlo di questo libro con chiunque in questi giorni entro in contatto, in primis con le mie figlie, poi con gli insegnanti dei miei nipoti, entrati da pochi giorni, nella scuola Primaria, anch’essi non programmabili e fanno così  esordire i loro maestri: «Ora li sistemiamo noi!», in particolare con mio nipote Giuseppe, che non conosce ordine, né si piega a formalismi imposti. Poverino, lui come me, è una tempesta sul monte bianco, trasforma e modifica tutto secondo la sua fantasia. Mentre scrivo, egli ha ricostruito per intero il presepe che io da qualche mese pensavo in un certo modo, e che mi è costato giorni di lavoro; ora, ogni pastore, ogni creatura ha avuto da lui il soffio della vita e si muove nella circonferenza dell’Infinito. È questo il grande messaggio di Maffìa, evitiamo l’ordine, visto che, se ben meditiamo, può riportarci alla memoria cose orribili. Per esempio, io porto dentro di me il ricordo del campo nazista di Dachau, nel quale ha perso la vita anche un mio parente Giovanni Palatucci[4] di Montella che salvò 5000 ebrei dai campi di sterminio, dicevo, che dentro di me, porto la sofferenza di quelle mura che avevano  assorbito gli urli di dolore delle povere vittime, ma quello che mi sorprese in quei miseri, gelidi e spogli luoghi era l’ordine con cui le cose sopravvissute erano state  catalogate: davanti ai forni crematori, c’erano ben disposte e lucidate le pale con cui credo venisse raccolto ciò che rimaneva dei poveri resti degli esseri umani e le carriole erano lì, come se dovessero imbarcare altre polveri  dimenticate, pronte a essere colmate da quelle pale. Anche nelle “vetrine” apparivano bene allineati, sistemati a seconda della grandezza e numerati qualche  paio di occhiali, un portafoglio sdrucito, un orologio imbiancato, qualche foto dilaniata, un guanto senza dita. A questo potrebbe portarci una società ordinata, cronometrata per i mezzi pubblici, ma “sbroccata” sul piano umano.

Dante Maffìa, cultore dell’impossibile,  di tutto ciò che è al di là del cielo, del tempo, è Protagonista di una scuola molto particolare, posta: fra il cielo e l’acqua , dove il vento, mai quieto, ci offre la possibilità di una vita fragrante, all’ombra del più vero, protetti dai quei “quattro pioppi “del  poeta. È quest’opera un concerto di passione, fa sentire forte i tamburi di  Lohengrin[5]. il Poeta, senza retorica, né trine o altri imbellettamenti coinvolge il lettore nel suo mondo, dove la virtù, intesa come rivoluzione e ricerca, ci viene donata, con garbo, senza tatticismi e senza promesse.

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[1] Emerico Giachery,Vivere poeticamente la terra, Edizione Nuova Cultura.

[2] Dante Maffìa, La felicità del disordine, Fuori dal coro, pg 46, Luigi Pellegrini Editore.

[3] Octavio Paz, Il fuoco di ogni giorno,”Vento, acqua, pietra”, pg189, Garzanti, Milano 1992.

[4] Antonio De Simone Palatucci, Michele Bianco, Giovanni Palatucciun Giusto e un Martire cristiano,prefazione di Camillo Ruini, La scuola di Pitagora Editrice, Napoli 2012/13.

[5] Wagner, Lohengrin, rappresentato in Italia nel (1871).

 

Dante Maffia
La felicità del disordine  
Luigi Pellegrini Editore, 2019, pp. 144

Biografia di Carmen Moscariello


 

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