CARMEN DE STASIO, In progressiva variabilità. Riflessione su Cento Ahi-ku extravaganti di Giorgio Moio

 

la vita è un ahiku: troppo breve[1]

 

Nell’intendere la poesia come una scultura che l’artista incessantemente plasma come immagine mentale, non posso far a meno di ravvisare nella sua traccia visuale una reazione a un ordine figurativo consacrato. Questo il motivo per cui ritengo sia la poesia innanzitutto un territorio di conoscenze attive e rinnovabili; fabbrica, oltretutto, di esperimenti in cui convergono tanto parametri morali che strutturali. Beninteso, nel procedere incessante e composito di ricerca-verifica-valutazione, il poeta s’impegna a sondare non già sistemi adottati al mero scopo di distinguersi (sarebbe la santificazione di una ribellione che infine, non si sottrarrebbe alla formalità). Tutt’altro: egli scompone flessibili condensazioni che possano conferire alla propria morale artistica una plasticità coerente e coesa tra intenzione e configurazione senza che queste si presentino come (auto)limiti.

Un universo minimale, insomma, che inarca la scena su creatività crescenti. Questa la modulazione poetica. Evidenza di dis-equivalenze e di auto-equivalenze di memoria dalle tensioni viventi, simultanee, vibranti di una capitalità derivante dal ruolo che il quotidiano riveste nell’evolutiva esecuzione, piuttosto che aggiogarsi a mera sopravvivenza di criteri pericolosamente distrattivi (32. luna sottace | immagini distorte: si ghirigora[2]). E universo minimale è la poesia in forma di ahiku quale molteplicità di luoghi ido-semantici ed egualmente ido-grafici, generata da Giorgio Moio. Nel loro spazio mobile l’inesauribile pensiero prende forma di stravolgimento; è denotazione e affiora mediante l’esistenza declinata con l’ambiente-contesto in una meta-disposizione tropica e auto-generativa.

Nella scalfittura di territori affranti dalla reiterazione, i Cento Ahi-ku extravaganti di Moio confermano l’essere poeta alla ricerca verificatoria di variabilità dimensionali, in cui nessun carattere proprio del reale-esistenziale viene accantonato o, quel che sarebbe peggiorativo, dissuaso. Per certi aspetti si potrebbe intendere tale universo come un’esperienza diversamente proiettiva e meta-palindromica, comportando l’auto-emanazione e il dissociarsi da realtà inquiete e parimenti estranee che muoverebbero facilmente altrove. E invece il poeta-Moio elabora quell’altrove in un ritenimento implicito; valenza sostenuta da estremizzazioni linguistiche e sonorità creativo-logiche mai generiche e che, nel continuo sopraggiungere di evoluzioni-involuzioni all’interno dell’intelaiatura complessa, rinnova la modalità dello spazio parlante nel suo comportamento cinetico, energico ed esso stesso foriero di energia  (18. schizzo di rosso | zampilla sulla scena: rinnovandosi[3]). In tal senso non casuale è il numero cento degli haiku, la cui componente sillogica e neo-meta sintattica è imprinting che sollecita le potenzialità strutturali, liberandole da meccanismi di scrittura in ruolo di esteriore supporto (58. abitudine | gesto d’antico gusto: tracce limose[4]). Nella proiezione visuale la multidimensionalità dell’haiku implementa una progressiva meditazione anziché confinarla su un terreno facile e facilmente dimenticabile (2. al terminare | della sera riposa: la mente stanca[5]). Parimenti anti-concentrici e auto-confinanti sono i segni che, invece che sedimentare le consuete logiche acquisite, contribuiscono a disegnare un territorio dal quale non si distanzia il poeta e nel quale è la transitorietà ad agire in innovativo dimensionamento: 3. con agilità | la parola che si offre: ma non si stanca[6]. In questo modo l’haiku singolo e d’insieme definisce un’operazione architettonica che è fluidamente addizionale, sottrattiva e in un unico istante si decompone e simultaneamente si moltiplica in apprendimento estensivo, che pure riesce a trattenere e tramandare una specifica euritmia.

21.

senza un’allegria | le parole stonano :

acquietandosi

22.

senza grialela | leràpole nòstano :

insostacquiesi[7]

In una situazione continuamente modulata, dunque, l’haiku risponde genuinamente allaa diversificante immediatezza sensoriale, percettiva e appercettiva senza alcuna preferenza, giacché la sintesi vorticante è là (14. impertinente | il burlesco di un verso: si fa vortice[8]), visibile a dar di sé il criterio di una socialità concepita attraverso un tono-suono-situazione mai contratto nell’assoluto. Tale criterio rende merito alla natura libera e liberatoria dell’haiku in un’attualizzazione che dissolve totalmente gli irrigidimenti personalistici, che non mira a dar ambiente a inani polemiche, né, soprattutto, inneggia a un’oggettività che scardini la presenza essenziale dell’individuo nel costruire la sua poetica osservativa (4. tutta la vita | serpeggia con furore: fra i tuoi pensieri[9]). Nel rigenerare la natura storica, extra-vagante dell’haiku, Moio presenta un’epoca ravvisabile in quella che nella lettura a sensi inversi si autodetermina dalla destrutturazione-rimodulazione culturale. In essa le cose e le situazioni ritraggono un paesaggio in un’incessante metamorfosi che, nell’investire gli aspetti del sapere e del vedere vivere, consente alla molteplicità di rappresentarsi attraverso porte scorrevoli – alternative disattese operanti come ribaltamento costruttivo (dis)territorializzante rispetto a un’intelaiatura predisposta e contemplativa  dei/nei soli effetti (11. volteggia franta | nella tua inquietudine: odori freschi[10]). L’esperienza parlante oltre i limiti attrezzati di una comunicazione distorta caratterizza l’haiku moiano quale materializzazione astrattiva e anti-generica di sollecitazioni che dilatano lo scenario a coinvolgere frantumi-aspetti della realtà che il poeta-creatore rappresenta senza evocazioni: concretezza miniaturizzata, quindi, dalle nervature attenuate nella visibilità e altrettanto consistenti, eteroclite; concepite come crasi e chiosa di sensi riflessi in simultaneità senza bisogno di descrittive impalcature futuribili. Un atto di scardinamento, infine, che evita l’esportazione di significati troppo facilmente riscontrabili nel dizionario mentale costruito sulla base di una descrittività impropria e in servile copiatura (secondo i criteri assunti da Ruskin). Ancora: struttura creativa (indipendente di particolarissima epentesi), specchio deformante e di coltivazione di un sapere non cromatizzato da coperture insidiose di superficie. In tal senso l’haiku moiano vive nel sottobosco dell’inesprimibile, nell’incastro mai incauto dei particolari. Per dirla in termini aggiornati, è l’estrinsecazione di un pensiero computazionale che riprende i modelli oscillatori di una cultura antica, chiosata da brevità e da graffiti astrattivi tanto da conseguire una presenza diversamente sostanziale, che va a ricomporre la variabilità di sensazioni fatte parola e contro-sensazioni comportamentali. Una sorta di aggregazione distopica e organismo autonomo sintomatico di una nuova verticalità unificante (76. disuguaglianza | nell’albume delle albe: produce il vero[11]).

Nel vanificare l’inganno di dare un’abitazione fissativa alla poesia-raffinato esempio privo di ritardi rispetto a un tempo cronico inesistente, Moio riesce a inventare una centralità diversamente mobilitata (84. ondeggia il vento | sulle crespose maree: onde del tempo[12]) per mezzo di una conclamazione di elementi non già ristretti al campo visivo della parola, della quale, oltretutto, dissuade la bi-linearità in una sequenza di sostanze che emergono tutte intere dalla penombra. A risvegliarsi dall’oblio è dunque l’abbattimento di uno spazio esclusivamente volto a educare in senso istruzionale, che manovra a instaurare un regime pur in una luce di ribellione e ribaltamento. Un paradosso dal quale Moio si distrae: nei suoi haiku formazione e ribellione avvengono senza affatto mirare a stupore o incoraggiamento. Semplicemente «sono», e forse, frutto di delusione per gli agganci propulsivi (39. antropocentro | parolare avvizzito: nascondimento[13]). Sfatato, dunque, il ruolo qualificante delle soluzioni formali, resta concentrato lo strato tumultuoso e continuo delle opposizioni (di qualsiasi ordine: dal lemma alla grafia, dal tono allo stile, alla posizione, eccetera) nell’approssimarsi incessante di ulteriori forme che divampano dall’intonsa pagina in cui l’haiku appare isola-frammento letterario, il cui unico apparente confine è un ordine del tutto indicativo della propria individualità agente e che si rapprende in una numerazione che non detta regole e che diviene espressione  ergonomica di un’organizzazione dotata del vigore della mutevolezza

(97. lingua svanisce | sotto i sogni dormienti: percorso grigio[14]).

Evidente che nella struttura nulla vada sacrificato, né scarnificato da elementi distraesti dall’impianto immaginativo, libero di avvenire quando ad essere esaltata è la scambievolezza giocosa (imprevedibile) che, anziché distrarre, sottolinea il vincolo (il poeta costruisce il suo luogo dall’amalgama di più luoghi) e ne rimarca ulteriormente l’accuratezza immaginativa (98. lingua svinasce | sotto la gnosi detta: lucida ciulda[15]). Inoltre, dissociandosi da qualsiasi tentativo di costituire esplosive e fatue stravaganze atmosferiche, la neo-metalogica immaginativa attualizza, per il tramite dell’estroversione grafica, la sosta visuale-meditante di un automatismo culturale agitato da un sogno (finalmente) integrale.

 

8.

sotto il vento poi | l’erba piega trapela :

non si lamenta[16]

9.

sotto il tonve poi | l’arbe gapie pelatra :

non si mentala[17]

 Legati da una continuità integrale, su base volontaria, gli haiku moiani appaiono sottilmente complici nell’esplicitazione del pensiero del poeta che al loro interno vive per acquisire il volteggio di una’astrazione, con la quale trasvola e penetra a un tempo le cose e le situazioni sollecitando(si) alla nuova impresa senza tuttavia mai distrarsi dalla fabbrica totale ricomposta e alterata e mai, tuttavia, disgiuntiva (57. respira il foglio | gliofoli di ràsperi : ricchezza savia[18]). Contemporaneo è, quindi, il rimando a un insieme granitico di legami inconsueti ma esistenti, che contraddicono di volta in volta la codificazione del tempo e sopraggiungono a dare una segmentazione nuova a una curiosità composta, che rende il nucleo semantico-lemmico-strutturale vero e proprio evento. Nella sua pervicace miniaturizzazione, l’evento stabilizza l’imprevedibile come condizione esistenziale e intraprende la rotta della culturografia, ovvero la rappresentazione grafica di una ricerca (in quanto tale sempre culturale) in continua allerta (58. abitudine | gesto d’antico gusto: tracce limose[19]).

Ciò detto, in una realtà dominata dalla velocità delle informazioni e dalla precocità d’invecchiamento, carattere dominante degli haiku moiani è l’annullamento di qualsiasi fase esplicativa di un procedimento diacronico visibile, con un mutamento che avviene per trasposizione che però non condiziona il verbo pensativo (66. voce si espande | in processo poietico: altra pagina[20]). Nessuna subordinazione, né di sensi né di riferimenti: tutto avviene in reciprocità continua e dissacratoria di fissità e il poeta interviene a registrare la futilità e la fuggevolezza dei lemmi esistenziali, incastrandoli con sensibilità che ritraggono una realtà solidamente in avanguardia, in miscellanea con aspetti eterogenei e che insieme valgono per l’evoluzione culturalizzante del pensiero (83. abitudine | partita capogiro: sgretola il senso[21]).

Orbene, appare questo il luogo: i Cento haiku prospettano una lettura cinetico-cinematica che affonda le radici nella capacità osservativa dell’individuo contemporaneo, coesistente nella pluridisciplinarietà dei linguaggi, come già asserito, determinanti una scientificità in cui la cultura è univocalmente mezzo, strategia, modulazione territoriale, processo itinerante, concretizzazione di un progetto mentale e avvenimento progressivo. In questa luce, sovviene conferire agli haiku moiani una funzione anti-stigmatica che affiora prepotente già nella metà degli anni 60, quando ciascun luogo dell’azione umana è divergenza, riporta simultaneamente alla singolarità e all’insieme, all’essere e a(ll’)altro (in arte in quegli anni è Pino Pascali a rendere effettuali tali criteri). Così il poeta si ritrova rinnovato e rinnovata è la lingua che permea di comportamenti auto-generativi la vastità modulare del pensiero e viceversa, rintracciando un lessico situazionale (82. riflussi d’onde | s’incrociano riflesse: sentenze d’enze[22]), anti-iperbolico e costruttivo di sineddoche e la cui difformità appare eterno flusso di risvegli e di sfumature elevate a cromia retrostante e intuizione di neo-meta-calligrammica voce (95. mutata forma | rivendica speranza: contraddizione[23]).

Nel pieno epocale della multidisciplinarietà, i Cento ahi-ku extravaganti di Moio condensano nel carattere eteronimo la vulnerabilità non già come espressione di debolezza, quanto di manifesta abilità di concepimento cinetico, sì che nella complessità visuale si ripristini il senso articolato del dire anziché recitare; dell’immersione in primi piani, nei quali la minimalità si accorda con una sinfonica e sin-cromica agilità che interviene a conferire un ritmo labirintico privo di alterazioni succedanee, poiché l’alterazione è componente fondamentale dell’esistere-creare-inventare. Avventura comprensivo-estensiva in puro movimento. Liberamente vagante e parimenti giocoso, là dove la giocosità è espressione di libero pensare.

 

10.

la vita senza | l’imprevedibilità :

non ha mordente[24]

 

___________________

[1] G. Moio, Cento Ahi-ku extravaganti, Youcanprint Self-Publishing, Tricase (Le), 2016, p. 1.
[2] ivi, p. 24
[3] ivi, p. 17.
[4] ivi, p. 37.
[5] ivi, p. 9.
[6] ivi, p. 10.
[7] ivi, p. 19.
[8] ivi, p. 15.
[9] ivi, p. 10.
[10] ivi, p. 14.
[11] ivi, p. 47.
[12] ivi, p. 51.
[13] ivi, p. 28.
[14] ivi, p. 57.
[15] ivi, p. 58.
[16] ivi, p. 12.
[17] ivi, p. 13.
[18] ivi, p. 37.
[19] ibid.
[20] ivi, p. 41.
[21] ivi, p. 50.
[22] ibid.
[23] ivi, p. 56.
[24] ivi, p. 13.


Biografia di Carmen De Stasio


 

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