GIORGIO MOIO, “Boxing day”: l’ultimo lavoro poetico di Pasquale Della Ragione

In una società come quella italiana dove negli ultimi anni si è istituzionalizzato il falso, il raggiro, promesse mai mantenute, leggi ad personam, ipnotismo perenne, il tentativo – insomma – di azzerare l’intelletto in favore di un materiale interesse economico, c’è ancora chi – per fortuna! – crede nella forza propulsiva e innovativa della poesia. Evviva! Alleluia! Ma non è un compito semplice scrivere di poesia in questo periodo dove il protagonista della scena culturale è – appunto – una letteratura di consumo (a dire il vero lo è da anni), una scena dove la poesia stenta anche a trovare un posto nei cataloghi degli editori, per non parlare dell’assenza quasi totale sui quotidiani che un tempo curavano, con firme prestigiose, la cosiddetta “Terza pagina”, lo spazio dedicato alla cultura, ai libri, all’arte. La nascita della “terza pagina”, detta così perché fisicamente collocata dopo le prime due, viene attribuita al direttore del «Giornale d’Italia» Alberto Bergamini, avvenne il 10 dicembre 1901, con interventi di quattro giornalisti esperti di musica, letteratura, scenografia e mondo teatrale, che diedero risalto con le loro cronache ad un grande avvenimento del 9 dicembre 1901, la prima al teatro “Costanzi” di Roma della messa in scena della Francesca da Rimini di Gabriele D’Annunzio dalla compagnia di Eleonora Duse. Da quel giorno, un’intera pagina, con un grosso titolo a tutta pagina, unì letteratura, arte e cultura in una sola pagina quasi autonoma rispetto alle altre.

Della Ragione (a destra) con Giorgio Moio e Carlo Bugli (a sin.), in una foto di qualche anno fa, durante una riunione di redazione della rivista «Risvolti»


Diceva Italo Calvino che la poesia è l’arte di far entrare il mare in un bicchiere. Per Jorge Louis Borges, ogni «poesia è misteriosa. Nessuno sa interamente ciò che gli è stato concesso di scrivere». Intanto secondo Robert Sabatier il poeta posa delle pietre sopra il tetto del mondo; e secondo ancora Calvino la «poesia è l’arte di far entrare il mare in un bicchiere». Accidenti, in un bicchiere!


Uno che ha creduto nella forza propulsiva e innovativa della poesia è stato il poeta Pasquale Della Ragione (passato a miglior vita il 28 luglio 2023 a Pozzuoli dove era nato nel 1955), con una poesia che sembra incanalarsi – ad un primo approccio – in un tempo dispiegato tra una seconda stagione surrealista e i prodromi di una poesia “caotica”, artefatta, disordinata, febbrile, che da un lato ci corteggia e dall’altro ci inquieta. Essa si dispiega sul tempo dell’attesa che, contrariamente al pensiero calviniano, più che far entrare, tende a far uscire il mare da un bicchiere, perché Pasquale aveva il dono della sintesi, sapeva tirare fuori, per es., un titolo impeccabile da un argomento con estrema facilità, come alcuni titoli assegnati alla rivista «Risvolti». D’altronde, il tempo della poesia non è dato dall’ordinamento del significato bensì dal disordine, dall’imprevedibile, dalla variabilità, dalla contraddizione, dal caos e infine dalla complessità della polisemia, dal non-razionale, dalla sintesi, appunto. Mi sembra che in Della Ragione questo “tempo della poesia” sia ben focalizzato, superando i confini del “piacere della scrittura” per il gusto di imbattersi in quell’universo della memoria (dove spesso ci si perde), nel segno del paradosso e del riso contro la pacificazione coatta della produzione letteraria odierna. Quasi un flusso di coscienza (stream of consciousness) tra sentimenti e sensazioni, coscienza ed inconscio, realtà e sogno, una poetica portata alla sua massima espressione da James Joyce con l’opera Ulisse, poi estremizzata con Finnegans Wake, dove si tenta di riprodurre il confuso linguaggio onirico.


Io e Pasquale ci siamo conosciuti verso la fine degli anni ’80, entrambi propulsori di una poesia antagonista, sperimentale, di ricerca. E sin dal primo incontro, le nostre azione poetiche sempre più spesso si sono incontrate sulla stessa strada, quasi a divenire un unicum negli ultimi decenni, in quanto fermi assertori del lavoro collettaneo e di scambio che ci veniva ad entrambi dall’insegnamento delle avanguardie storiche (in particolare dal surrealismo), come poi si realizzò – dopo la pubblicazione di un volume – (proprio sul finire degli anni ’80), Messico 1936, che ci vide per la prima volta collaborare ad uno stesso progetto. Per circa vent’anni la nostra frequentazione fu sempre più assidua, fino a ridursi settimanalmente nell’ultimo periodo nel tentativo di continuare il discorso poetico (dopo l’uscita dalla redazione dapprima di Marisa Papa Ruggiero e poi di Carlo Bugli) della rivista «Risvolti» fino al 2017, anno della sua cessazione.

Fatto è che non è un compito semplice scrivere di poesia in questo periodo dove il protagonista della scena culturale è – appunto – una letteratura di consumo (a dire il vero lo è da anni), una scena dove la poesia stenta anche a trovare un posto nei cataloghi degli editori e sulle terze pagine dei quotidiani. E lo sapeva bene Pasquale; la sua scrittura non ha avuto una grande produzione pubblica, ma non era uno qualunque (numerose poesie sono rimaste inedite, lo so per conoscenza diretta, mentre molte altre le stava man mano sistemando e pubblicando, e io gli davo volentieri una mano, soprattutto a impaginarle). Pasquale era in grado di rinvigorire una coscienza contemporanea raggirando l’impasto insignificante che l’attanaglia e contraddirlo in tutta la sua carica simbolica, intangibile, aureolante, con «accostamenti concernono anche i significati contraddittori, nel senso in cui, ad esempio, ciò che non ha sostanza viene crivellato e ciò che non ha fibra viene sfibrato a testimonianza del fatto che, per Pasquale, l’attacco al sistema è possibile grazie all’utilizzo di paradossi con cui se il linguaggio ci intrappola, il linguaggio ci libera»(1). Ed egli, con una sensibilità ed una sintesi della parola (nonostante sin dall’inizio del suo approccio alla poesia si faceva coinvolgere dal ritmo assordante e imperioso del versus longus), carico di materialità, sia pure legata inconsciamente alla tradizione dei classici moderni e del ’900 (Hölderlin, D’Annunzio, Leopardi, Benn, Rilke, etc.), si sapeva ben elevare verso forme poetiche nuove e aperte del nostro tempo, suggerendoci che la parola nasce in primis da un’atmosfera inquietante, per accumulo di assonanze/dissonanze, tra senso e nonsenso, per cui tende a rischiare l’isolamento, ma non per questo si arrende. «La lingua si annoda con se stessa, matassa di cui si cerca un capo che non viene fuori. Ma questo ritardo o effetto-fatica finisce col rivelare il suo contrario: un correre della lingua che, ingranato, può diventare una rapida che divelle e trascina con sé non importa cosa – forme divenute informi, vaghezze che assumono somiglianza di cose. Le frasi, i movimenti delle immagini, i movimenti dei loro colori si arrotolano, si aggrovigliano fili con lamine con trucioli con polvere con bolle con gelatine e gemiti e scricchiolii di materie differenti costrette a entrare in parentele, riluttanti a vicinanze. è una finta materia plastica la lingua: non è docile, non si piega al comando. Se costretta, strema e morde; sgocciola via, non tiene, o indurisce subito restando informe beffa. In una delle migliori sue risposte ingaggia una fuga puntigliosa dalle mani del suo esecutore: può allora dare il piacere di un viaggio su giostre a diverse velocità, ruote, altezze, trabalzi»(2):

maestranza d eliso corsivo sul reale-mare ruggine salsa
dell alba flora spore ondose plorano fermagli incuneati
assordando magia cavia da fuga maciullo colt a ncora

crogiolo cubico aggrinzirsi sfiorarsi forare amputo
eruttante annegati evapora immersi ustioni matematiche
da chiappe e brodo di falsetto irrorato a melanconia

tinnire caldo a riposo slungarsi olio schiuma
c è movimento rimarcabile in ricucitura che sale
le bianche sale di zolfo d ondeggiamento laterale

(in Frammenti putjolanni, Edizioni Ripostes, 1982, p. 25)

A questo punto, prima di riprendere la lettura di Boxing day, va conosciuto un po’ più da vicino questo poeta. Oltre ad aver partecipato alla fondazione della rivista «Risvolti», di cui è stato redattore fino alla cessazione, e a diverse mostre di poesia visuale, rassegne di mail art e letture di poesie, la sua poesia è stata dibattuta in alcuni volumi di saggistica, tra cui Domenico Cara, Traversata dell’azzardo. L’illusione irrazionale nella poesia italiana degli Anni Ottanta (Forum/Quinta Generazione, 1990); La poesia a Napoli 1940-1987, a cura di M. D’Ambrosio (Nuove Edizioni Tempi Moderni, 1992); G. B. Nazzaro, Dibattito col poeta. Poesia a Napoli (Ilitia Edizioni, 1997); M. M. Gabriele, La parola negata. Rapporto sulla poesia a Napoli (Nuova Letteratura, 2004); G. B. Nazzaro, La poesia in Campania (Marcus Edizioni, 2006); Tra parole e immagini. Testi verbovisuali, a cura di G. Moio (Edizioni Frequenze Poetiche, 2022). Nel 2013, con Giorgio Moio e Carlo Bugli, ha curato l’antologia di «Risvolti» In forma di scritture (Edizioni Riccardi). Ha pubblicato: Frammenti putjolanni (Edizioni Ripostes, 1982); Imbianclinamento (id., 1983); Sunnuntai (Edizioni del Pesce Nero, 1988 – versione integrale; Youcanprint, 2015 – prosa); Messico 1936, in collaborazione con A. Carandente, G. Moio e F. Palma (Edizioni Ripostes, 1989); Fuxia gillette (Edizioni Riccardi, 1997); Locus solus. La babele capovolta, in collaborazione con C. Bugli, G. Moio e M. Papa Ruggiero (id., 2001); Timebox (id., 2004); Boxing day (Edizioni Riccardi, 2013); Dove la terra trema, con G. Moio (id. – prosa). Presente in riviste («Sorbo Rosso»; «Offerta Speciale»; «Percorsi»; «Anterem»; «La parola Abitata», «Secondo Tempo», «Il Cobold») e antologie di poesia contemporanea (La poesia in Campania, a cura di M. Sovente e B. Cepollaro, Forum/Quinta Generazione, Forlì, 1990; In my end is my beginning. I poeti italiani negli anni ottanta/novanta, a cura di A. Tesauro, Edizioni Ripostes, 1992; Compagni di strada caminando, a cura di A. Contiliano e G. Moio (Edizioni Riccardi, 2003); Una piazza per la poesia, a cura di R. De Martino ed E. Fagnano( Edizioni Il Portico, 2008); Mundus. Poesie per un’etica del rifiuto, a cura di A. D’Ambrosio e M. Grasso (Valtrend, 2008, Napoli), etc.

Per comprendere la poesia di Pasquale Della Ragione va riletto Boxing day(3) (pubblicato dopo alcuni anni di ripensamenti: l’ultima sua pubblicazione di poesia, Timebox, è del 2004), che significa il primo giorno lavorativo dopo le vacanze, nell’accezione che ne dà Virginia Woolf in Diario di una scrittrice (un’altra protagonista dello stream of consciousness molto apprezzata dal Nostro – si veda uno degli esergo a p. 5 a lei dedicato(4) –). Ogni testo (venticinque in tutto) è un racconto ai limiti del simbolico, frammentato, dove non vi è trama, non vi è soggetto, non vi sono apostrofi né punteggiatura, soltanto la parola in divenire, dilatata, che s’insinua, appunto, sulla memoria del tempo in modo quasi automatico, in una spirale diacronica e sincronica che attraversa i diversi strati della realtà.

Ma va conosciuta anche la sua propensione alla prosa (si veda il racconto in Dove la terra trema) e alla prosa poetica di Sunnuntai (sabato in finlandese, una plaquette autoprodotta una prima volta nel 1988), brevi passi, quasi dei poesimetri d’amore di una cronaca di due settimane che Della Ragione annotò (una specie di diario), giorno dopo giorno (da lunedì 9.7.84 a sabato 21.7.84), durante un suo viaggio in Finlandia. La presenza della donna amata, si manifesta in tutti i giorni del suo soggiorno finlandese e «scompiglia i pensieri e domina nella sua mente. Egli la vede levarsi dal lago di Lappeenranta (città finlandese) e spandersi intorno nella vaporosa luce solare; la scorge chiusa nei gorghi del vento fuggire lontano da lui; annulla la distanza che li separa e la risente vicina nelle notti assolate e insonni; la rende volontaria prigioniera immobilizzandola nella sua sorgente lirica. La conduce con sé, fino alla rarefazione della parola, fino al grande silenzio»(5); tra i cirri bianchi decomposti nell’acqua…; nella luce dodecafonica al fiore di rosa e bianco…; nell’alba rosata da labbra di gabbiano marino in volteggio d’amore; nell’estasi di carezze lunari

Contrariamente a precedenti volumi di poesia, Frammenti putjolanni e Imbialclinamento, Sunnuntai non esprime, in modo naturale e perentorio, quel nichilismo sovversivo del linguaggio ottimamente costruito con le opere precedenti, ma un farsi critico e metaforico di un linguaggio fluttuante e psicanalitico, diaristicamente riflessivo: il poeta cerca, affrancando l’espressività che conta, da un edonismo svuotato di significato; non tanto per spiegare o metterci di fronte a chissà quale artificio o formula astrusa, quanto di penetrare nella parte rimasta confusa del linguaggio e cominciare a rigenerarlo da dentro, dall’inconscio delle parole. Per tutta la sua attività di poetica non ha fatto altro, nel tentativo (perché di questo si tratta, di un tentativo tentabile, come tutte le scritture) di far rifluire un complesso di segni auto-educati da una praxis armoniosamente allegorica verso un significante che navighi sulla disposizione del nuovo con arbitrio e spontaneità:

Martedì, 17.7.84

La perla manticizzata è una grazia del tuo sorriso.
Il vano assemblaggio crea cumuli di rosa.
Oltrepassiamo la soglia dell’imperfetto per stagnarci in una
pazza ora d’amore, con le tue mille spighe da pettinare.
Le ore solari non concedono nessun riposo al nostro avvinghiarci
perenne.
La trasparenza del ghiaccio crea un giaciglio di magico marino
inossidabile alla fantasia degli specchi.
Rivoltiamoci in tutti i tocchi di luce per scoraggiare un
non-contatto dai profumi di primavera.
Il seme secante è uno spazio di viola che fumiga incensi d’alito
di trasporto
. (p. 15)

Della Ragione cerca di offrire alle scritture un criterium di resistenza, un barlume di lotta contro le tendenziose macchinazioni ipnotiche di fasulle certezze che vorrebbero invece riportarle verso l’ordine costituito (il cosiddetto mainstream) per tutelare il controllo totale del mercato e delle e dei suoi derivati. La poesia di questo poeta, come tutte le poesie sperimentali e di rottura, tenta disperatamente di reggersi su un terreno instabile e caduco come quello della società letteraria odierna, con nuovi moduli strutturati accuratamente in divenire (questo tempo non è pronto per accoglierla), rincorrendo il proprio valore prima che tutto converga verso il formale il già detto, il sublime, la spersonalizzazione.


Dunque, la scrittura sperimentale di Pasquale si basa sul significante, su un accumulo proliferante di elementi inventariali carichi di nuclei sonori e ritmici, dall’inizio alla fine, su uno stile polisemico -quasi polisensico, sugli accostamenti dei fonemi in modo eterogeneo che si spostano e si rincorrono con un fare musicale (in musica potremmo definirla di “anima jazz”, dove la matrice è senza dubbio la limpidezza dell’improvvisazione) estendendosi in una giustapposizione di varianti cromatiche che non cercano soluzioni né traguardi ma un dilatarsi sul foglio a rincorrere soggetti e significati fino a farli scoppiare in una fitta germinazione di segni che s’inseguono e si annullano per un continuo gioco di combinazioni. Al sacro si preferisce il profano o in via del tutto eccezionale una razionale religiosità laica; all’io lirico l’io plurimo, alla certezza la provvisorietà della scrittura. E contribuisce a tutto questo, poc’anzi detto, anche la mancanza della punteggiatura e degli apostrofi:

con un insorgere
                ante arenarsi
rannicchiata
la sillaba disegnata sulla riva
ad imitazione
              di profuga
                        ma passano le foglie
che conoscono
             la radice del mondo
della coagulazione
                  così perfetta
                               da assaporare
lo spettrale che lambicca
dall ultima nebbia
                  dove s apre
                             al senso dell ape
una figura
          che reclama dall alto
e spiuma
        nei pensieri
                    che si attuano
con la goccia
             sintesi
                    a venire
annunciata
dallo zufolare ?
delle ondine
            decapitando i secoli
                                nel meno
che lascia
il più (p. 21).

Una dissoluzione della forma in cui tutto gira nella stessa direzione, a volte con una stesura sulla pagina in modo casuale, automatico, per dare più respiro e ritmo alle parole; una specie di Calvino di Collezione di sabbia, insomma: «… per temperamento sono portato a sperimentare sempre nuove ipotesi di lavoro, e sento insoddisfazione e insofferenza per ogni forma stilistica di cui io abbia già esplorato le possibilità»(6). Di conseguenza, nella poesia di Della Ragione, intuitiva ed anti-realistica, non ci troverete mai uno sfogo emotivo, un’acquiescenza, un lirismo mieloso, una purezza assoluta e analogica, una sottomissione – insomma – a quella che solitamente si definisce poesia del “poetese”, del “kitsch”, del “costituito”. E questa sua ultima pubblicazione ne è la prova evidente.


Con questo titolo (Boxing day) egli sembra dirci che, passato l’ozio e il rilassamento delle “vacanze”, dove la poesia è stata confinata nell’anonimato, occorre rimboccarsi le maniche e ricominciare. Anche la diversa disposizione dei testi, diversificata dal metodo e dalla metrica precedenti, ingredienti che rendevano visivamente, ad un primo approccio, i suoi testi tutti uguali, direi piatti, a blocco unico (una configurazione rettangolare, insomma: d’altronde si trattava di una sorta di sonetti, disposti in 4-3-4-3-1), è una felice sorpresa che attendevamo da tempo. Il suo contributo non si ferma – ovviamente – all’esigenza di una nuova disposizione dei testi (e delle parole) sul foglio bianco, come a voler occupare tutti gli spazi nel tentativo di affrancare le parole affinché abbiano più respiro, più corposità in contrapposizione a quella acquiescenza e quel lirismo mieloso di cui prima che – ahimè – nutre gran parte della poesia italiana, dai “maestri” e “professorini” del passato recente ai nuovi adepti.

Questa di Pasquale è una poesia intuitiva, senza solipsismi, fatta di accoppiamenti – che approfondiremo più avanti – quasi automatici di significanti dove il filo legatore è dato dal ritmo e dal suono incalzanti, sorretti da un principio di contraddizione attratto da lineamenti “reali”, al limite dell’artificio che s’apre a una folgorante immaginazione, dilatazioni complesse inter-testuali, volutamente impopolari:

ampliare
        il minuto
                  è ciò
che nel lago sorprende
                       sonorità
accesa
       attrae la curva
                       terra con trama
di piuma bianca
                e piccola corda
a lambire lo strofinio
                      floreale
così s apre l alba
                  nell acido insanabile
abito da ragnatela
                   su palpebre
                              incolonnate
un soffio che sbriciola … (p. 9)

E questo tentativo, duplice, estremamente vitale, teso tra libertà e sofferenza, di affrancare la poesia dagli spazi angusti e da un linguaggio addomesticato e conservatore, “chiuso” in ampolle di falsità, in un momento storico della nostra cultura davvero difficile, è coscienziosamente perdente che però non deprime affatto il Nostro, in quanto conoscitore della lezione dell’avanguardia (tutto è destinato al fallimento): è proprio da questa lezione, dal sentimento del rischio, pur sapendo di perdere, che si rafforza la consapevolezza di scrivere, in quanto la scrittura è comunicazione e come tale ha comunque il compito di continuare ad esistere lavorando per una via d’uscita che dia costantemente alla poesia forza propulsiva e innovativa, con un nihilismo e una resistenza contro il senso comune.


Dunque, anche la disposizione a zig-zag sul foglio, visivamente accattivante (per anni, cioè da sempre, Pasquale ha disposto i suoi versi sempre allo stesso modo, cioè a blocchi, mai un verso spostato dal margine di sinistra – come gli feci notare un giorno – e siccome era uno che sapeva anche ascoltare, durante l’impaginazione di Boxing day che mi chiese di preparargli, accettò il mio suggerimento, cioè quello spaziare su tutta la superficie della pagina), ha una sua ragione d’essere (e non è soltanto un fattore estetico): rappresenta il faticoso travaglio cui è chiamata  a sostenere la poesia che non vuole accettare il senso comune, il ricatto del mercato e della codificazione. Il verso lungo degli esordi qui diviene frammento (anche di una sola parola), e vale a significare la precarietà del linguaggio, e dal punto di vista politico, la povertà del linguaggio odierno, vuoto, sterile, decrepito, scarnificato fino all’osso. Cibandosi di configurazioni allegoriche e visionarie nel rifiuto dell’immediato, dell’hic et nunc, la sua poesia s’incammina sulla strada del futuro, rispolverando l’utopia dell’impossibile che diviene possibile, lungo una linea di ricerca trentennale, dove le parole, in un incontro-scontro, per lo più paradossale e surrealista, tendenziosamente si proiettano in contraddizione sulla superficie della scrittura, capace di reggere l’appiattimento storico in cui oggi siamo costretti ad operare. Ed è una lunga discesa senza freni, con determinazione e consapevolezza storica del momento negativo in cui si opera, verso l’anacronismo del quotidiano, quasi rivoltato al contrario, ai confini del non-senso del ritmo onomatopeico:

così soleggiato dal
                   pigiare
                          di secco cratere
mirabile pus catodico
                     è
                       il grande oplà
di un secondo
             fiammata
                     di nube partoriente
il sordo numero
               gettato
                      nella veglia
con voce nuda d angelo
in graduale
            velo
                 e poi
                      d impeto riflesso
                                       defluisce
il balzo a corona
                  a cogliere il viso dipinto
con passi
         sassi
               boschivi remi
                             penetrano
nel chiaro
          spoglio
                  dell ora segnata
in forma di cerchio
                   frantumazione
del chicco
          con mano
                   annodata (p. 31)

Dicevamo della vena surrealista, ma anche realista che fuoriesce dalla poesia di Pasquale, come un Aragon dei nostri tempi. E come il poeta francese, esprimendo con estrema convinzione un’ortodossia della “realtà” – un “realismo congetturale” («per conformarsi a quel che si pretende da esso, deve basarsi, contrariamente a quanto si è sempre creduto, non sulla realtà presente ma sulla realtà futura», in La mis à mort) , ci propone un ricco campionario di autenticità, poeticità, dirottato sulle radici di una vena sì lirica ma “disincantata” che sa mantenersi “lucida” e consapevolmente “umana” tra disarticolazioni della materia verbale che sempre più spesso – appunto – si nutre di straordinaria visionarietà, di sovrabbondanze, di esplosioni all’interno del verso. Questa poesia possiamo accostarla ad un moderno barocco, una voce – seppur non nuova – che ha il suo diritto ad esistere in questo mare nostrum, in questa pacifica e «babelica corona nelle fiamme» (p. 13). Per concludere, ciò che affiora alla fine di questo breve studio, quasi ecdonico – ma non senza un alone di emotività per l’amicizia ultratrentennale e numerose collaborazioni che ci hanno visto protagonisti, insieme ad altri, ad es. i ventitré numeri della rivista «Risvolti», dal 1998 al 2017, o le ultime poesie pubblicate affidate a «Frequenze Poetiche» – sull’attività poetica di Pasquale Della Ragione è il “lasciarsi andare” dell’Autore ad una scrittura che ci consegna diverse suggestioni che agiscono nello spazio della propria memoria, alla ricerca di sensazioni per rinvigorire l’umanità, in questo presente senza identità, a vantaggio di una possible métamorphose del fare.


1) Rosa Pierno, Boxing day, in «Carte nel Vento», n. 33, gennaio 2017.

2) Rubina Giorgi, Passaggio, pref. a Frammenti putjolanni, op. cit., pp. 5-6

3) Edizioni Riccardi, 2013, pp. 52.
4) “Eppure l’unica vita eccitante è quella immaginaria”.

5) Maria Arfè, Progetto per la parola, introd. a Sunnuntai, op. cit., p. 4.

6) Sono un po’ stanco di essere Calvino, in «Corriere della Sera», Milano, 5 dicembre 1984, p. 3. Ora in Italo Calvino, Sono nato in America. Interviste 1951-1985, a cura di Luca Baranelli, Mondadori, 2012, pp. 591-596.

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