STEFANO TACCONE, I mille “Risvolti” della poesia(1)

Ciò che innanzi tutto colpisce nel momento in cui ci si pone a fare memoria di una rivista come “Risvolti” è il suo anno di nascita e il suo anno di morte (1998-2017), a patto naturalmente di assumere nelle opportune accezioni queste due parole, ché, in quelle più viete, implicano puntualmente qualcosa di lapidario, definitivo. I processi culturali però – lo si sa –, e tanto più quelli dotati di una certa densità – connessi al momento storico, ma insieme non meramente conformi(sti rispetto) al momento storico –, non possiedono mai un’autentica fine ed un autentico inizio: germogliano da esperienze precedenti che restano sempre e comunque incompiute, e quindi si dissolvono per confluire, almeno in parte, in altre esperienze. “Risvolti” non fa eccezione in tal senso. Prende il suo avvio grazie alle energie di soggetti formatisi al crepuscolo del lungo ciclo novecentesco delle avanguardie, tempo ancora capace di trasmettere la loro inestimabile lezione, in virtù – tra l’altro – del permanere in attività di personaggi come Luciano Caruso o Stelio Maria Martini, vere e proprie stelle polari per le generazioni immediatamente successive. Ad esse appartengono infatti Giorgio Moio (1959), che dirige la rivista lungo il corso della sua intera vita, così come Carlo Bugli (1965)2, Pasquale Della Ragione (1955) e Marisa Papa Ruggiero (1943), che collaborano alla redazione. Ma collaboratore esterno, a marcare una preziosa linea di continuità con lo storico passato prossimo, vi è per i primi quattro anni, fino alla sua scomparsa (2002), proprio Caruso. L’eredità di “Risvolti” è invece raccolta negli ultimi anni innanzi tutto da “Frequenze Poetiche”, ancora una creatura legata innanzi tutto a Moio, rivista significativamente basata prettamente sull’online, pur non eliminando la scansione in numeri e la possibilità di stamparli.

La parabola di “Risvolti” si configura insomma come una sorta di traghettamento possibile delle sorti della poesia e della impronta dell’avanguardia da un’epoca in cui la rete è ancora marginale e il cartaceo gode ancora di una discreta salute verso un’altra in cui a quest’ultimo sembra sempre più mancare il terreno sotto i piedi. Da un’epoca certo già ampiamente lambita dalle mutazioni postmoderne, piacciano o meno – a Moio e ai suoi sodali piacciono poco ed ancora oggi egli non perde l’occasione di vituperare i risvolti nefasti di tale condizione –3, ad un’altra in cui lo spettacolismo, la superficialità, l’indebolirsi, insomma, della capacità di comprensione ed articolazione del pensiero complesso e l’eclissi del sentire profondo la fanno più che mai da padrone. Parallelamente, a causa dei numerosi fattori di crisi esogene al sistema culturale – che tanto più si affacceranno sulla scena dopo il 2017 –, far uscire con una certa regolarità una rivista cartacea diviene operazione sempre meno sostenibile sul piano meramente economico.

Certo, l’online promette, almeno in potenza, di arrivare ad un numero maggiore di lettori, di sortire della nicchia, peraltro sempre meno folta, dei “lettori forti” e per questo disposti a mettere mano al portafoglio pur di leggere testi poetici, saggi critici, approfondimenti teorici etc. Ma resta da vedere, a conti fatti, quanto davvero questa potenza divenga però atto. Notoriamente Freud sostiene che il compenso per una seduta dallo psicoanalista deve essere un minimo oneroso, anche qualora il medico non abbia alcun bisogno di soldi, e ciò per il semplice fatto che in caso contrario il paziente sarebbe tacitamente indotto a non conferire troppo peso alla terapia, a non credere davvero nella sua utilità, e quindi la terapia stessa si avvierebbe verso il fallimento. Mutatis mutandis, il timore è che anche gran parte della media-piccola editoria online, di poesia e non solo, soggiaccia ad un rischio simile, che la gratuità – aggiunta peraltro ad una supposta “eternità” dell’offerta – concili, anzi consolidi, una fruizione distratta, annoiata, se non costantemente procrastinata. D’altra parte, è abbastanza difficile negare che ci troviamo ormai nella topica situazione del dentifricio che, uscito dal tubetto, non ha più modo di rientrarvi. E che cos’è in fondo l’avanguardia? Non è forse lecito ricondurre il suo sviluppo – tra l’altro – ad un costante tentativo di fronteggiare l’obsolescenza delle arti in un’epoca tecnologica?

Considerando il tempo che intercorre dalla chiusura di “Risvolti” all’apertura di quella che vuole essere, senza alcun indugio, una mostra votata alla storicizzazione – ovvero meno di un decennio – potrebbe sorprendere la celerità con la quale si procede ad una operazione del genere. Ma a ben vedere la sorpresa non ha troppa ragione di essere. Gianfranco Marelli, celebre studioso dell’Internazionale Situazionista, osserva opportunamente fin dagli anni Novanta come, dopo lunghi anni di studio, «si è sempre più consolidata in me l’opinione che il difetto delle avanguardie artistiche, intellettuali, rivoluzionarie consiste nell’invecchiare in anticipo, al punto da vivere di ricordi fin dalla nascita»4. Se questo è vero, quanto più lecita può divenire perciò la storicizzazione in un mondo che più va avanti e più corre all’impazzata, ove la resistenza autentica – ammesso che possa esisterne ancora una – finisce per apparire più simile, usando una metafora un po’ latouchana, a colui che tira il freno piuttosto che a colui che preme sull’acceleratore? E quanto più è vero questo discorso allorché ci si ponga a considerare quale mutamento tra il prima e il dopo, nel bene o nel male, ha determinato la pandemia, per quanto più che di frattura si sia trattato di un’accelerazione di processi che, tutto lascia pensare, si sarebbero comunque determinati in buona parte?

Ben venga dunque una iniziativa che parte certo dagli stessi artefici della rivista che fu, ma sceglie di imbarcare nell’impresa, conferendogli un ruolo non di secondo piano, anche qualcuno che all’attività di “Risvolti” è assolutamente estraneo – benché non gli sia estraneo il suo spirito –, che, suo malgrado, trascorre fin dall’inizio la sua esistenza nell’eterno tempo dei “post”, ma al quale mai una sola volta è capitato di sentirsi in sintonia con il proprio tempo. A questo curioso “acrionide” è stato chiesto di rendere conto tanto dei grandi nomi, autentici pionieri della poesia visiva del dopoguerra – di Caruso e Martini si è già detto; accanto ad essi bisogna porre almeno Tomaso Binga, Lamberto Pignotti, Michele Perfetti e Arrigo Lora Totino – tanto di quelli che nei decenni successivi si pongono su quella scia, fatte salve le rispettive differenze di poetica di ciascuno – se l’intero corpus di opere è una conseguenza del lento accumulo prodottosi nell’archivio di Moio negli anni di attività di “Risvolti”, gran parte di esse sono state anche pubblicate sui vari numeri. Notevole è inoltre la scelta di proporre una panoramica che non sottolinei gerarchie e preminenze, invitando lo spettatore ad immergersi nelle babeliche, proteiformi qualità della poesia visiva destinando a ciascun autore una sola opera e più o meno di dimensioni ed impegno equivalenti.

Ci si imbatte così in tavole che sfoggiano corsivi a stento decifrabili o anche al di sotto di ogni possibilità di farlo – Boschi Cermasi, Binga, Caruso, Gini, Miglietta, Papa Ruggiero, Pellegrino –, o che, al contrario, ostentano lettere in stampatello anche molto grandi e nitide, ma non per questo capaci di rendere di più facile comprensione l’economia generale del testo verbo-visivo – Diotallevi, Ferrando, Fierens, Fontana, Pavanello, Pignotti, Rizzi, Roffi, Totino, Vitacchio. Che denotano, in diverse forme, un ancoraggio con la prassi pittorica – Andolcetti, Cena, De Luca, Diotallevi, Fiorentino, Liuzzi, Papa Ruggiero, Rizzi – o, piuttosto, evocano l’ambito della musica – Dal Fior, Maggi. Vi è chi propone astruse griglie a base di lettere – Cena, Gut, Poletti – e chi punta ampiamente sul collage, magari lasciando aderire al supporto anche qualche piccolo oggetto – Albani, Baroni, Capasso, Ferrando, Fierens, Fontana, Joe, Magro, Manfredi, Martini, Pavanello, Perfetti, Roffi, Totino. Chi sfoggia sistemi segnici magari relativamente semplici da mettere a fuoco nelle loro circonvoluzioni, eppure indisponibili ad una decodifica immediata – Bertola, Blank, Dal Fior, Della Ragione, Fedi, Piri Focardi, Serafini, Warnell – e chi pare capace di innescare affascinanti cortocircuiti – Albani, Ferrando, Manfredi, Martini, Pignotti, Totino. Alcuni rendono più esplicite le implicazioni legate alla riflessione sulla poesia stessa – Boschi Cermasi, Dal Fior, Manfredi, Pignotti –, per quanto sia difficile trovare un’opera che non si faccia carico per nulla di tale compito. Fioccano infine i riferimenti-omaggi ai grandi maestri degli ultimi due secoli: Fiorentino ad Arthur Rimbaud; Gut a Stéphane Mallarmé; Poletti ad Allen Ginsberg; Serafini a Giacomo Leopardi; Andolcetti a Claude Monet.

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1 Testo di presentazione per la mostra di poesia visiva Risvolti: 20 anni di linguaggi in movimento, a cura di Carlo Bugli e Giorgio Moio, presso il “Movimento Aperto” di Ilia Tufano (Via Duomo, 290/C - Napoli), dal 13 febbraio - 28 febbraio 2024.
2 Il quale, a differenza degli altri esponenti citati, è presente a partire dal secondo numero.
3 Riporto, a mo’ di esempio, un passaggio contenuto in suo preziosissimo volume di pochi anni fa: «Se gli anni Settanta hanno sentenziato una totale trascuratezza nei confronti della “letteratura alternativa” e antagonista per far posto agli intrallazzi più vieti, a un narcisistico individualismo e ad una conversazione/restaurazione dell’immobilità, gli anni Ottanta hanno rigenerato il gusto del qualunquismo e “personalizzato” di fare letteratura. Dominio facile di ipnotizzatori televisivi, del democraxismo, della categoria del postmoderno, si è cercato di azzerare tutto in nome del dio danaro, di pacificare le azioni (le poche azioni degne di tale nome), un mutamento antropologico che ha colpito un po’ tutti», Da «Documento-Sud» a «Oltranza». Tendenze di alcune riviste e poeti a Napoli 1958-1995, Oèdipus, Salerno-Milano, 2019, p. 94.
4 G. Marelli, Prologo, Paris, novembre 1994, in Id., L’amara vittoria del situazionismo. Storia critica dell’Internationale Situationniste 1957-1972, Mimesis, Milano-Udine, 2017, p. 11.

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Paolo Albani, Cortometraggi, 2001

Fernando Andolcetti, Omaggio a Monet, 2003

Vittore Baroni, E’ facile, 2000

Carla Bertola, 300 referto, 2012

Tomaso Binga, Paesaggio di parole n. 2 , 2003

Irma Blank, Global writings, 2007

Anna Boschi Cermasi, Indagini poetiche – 2007

Franco Capasso, Senza titolo, s.d.

Luciano Caruso – Senza titolo – s. d.

Sergio Cena, Opus 3, 2001

Vitaldo Conte, Dispersione come desiderio, 1999-2001

Mauro Dal Fior, Senza titolo, s.d.

Pasquale Della Ragione, Radio Free Europe, s.d.

Michele De Luca, Nel mentre che succede, 2008

Marcello Diotallevi, Poema d’amore in un paesaggio, 2003

Fernanda Fedi, Senza titolo, 2001

Bartolomè Ferrando, S.o.s., s.d.

Luc Fierens, Senza titolo, 2023

Alfio Fiorentino, Io e-é l’altro, 2008

Giovanni Fontana, Brouillard: are you, 2023

Gino Gini, Scritture del quotidiano, 2003

Elisabetta Gut, Omaggio a Mallarmé, 1998

Emily Joe, Senza titolo, s.d.

Oronzo Liuzzi, I muri che parlano, 2008

Arrigo Lora Totino, Verbotettura, 2003

Ruggero Maggi, Senza titolo, s.d.

Franco Magro, Senza titolo, 1999

Mauro Manfredi, Poeta, 1992

Stelio Maria Martini – Omofonia: inviolabilità del volto,
invio l’abilità sul volto, invio labilità sul volto / ed altro – 2003

Enzo Miglietta, T. Visioni, 1999

Marisa Papa Ruggiero, Ciò che resta del tempo, s.d.

Giancarlo Pavanello, X, due penne a sfera vuote, 1999

Giuseppe Pellegrino, Un labirinto a sorte, s. d.

Michele Perfetti, Altre figure, al di qua della parola
al di là dell’immagine, 2000

Lamberto Pignotti, La poesia sa cosa voglio, 2003

Franco Piri Focardi, Incroci – Involuzioni, 2002

Daniele Poletti, Un urlo per Allen Ginsberg, 2002

Alberto Rizzi, Divertissement, 1994

Gian Paolo Roffi, Recovered words, 2014

Eugenia Serafini, Criptogramma per Leopardi, 1998

Alberto Vitacchio, Senza titolo, 2002

Ted Warnell, Carlo Caro Bugli, 2004


Biografia di Stefano Taccone


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