LIDIA PIZZO, Michele Perfetti. Un pensiero da lontano

Nel mondo occidentale lo sviluppo della cultura è stato determinato in massima parte dalla scrittura.

Essa è il luogo del discorso le cui parole originariamente ritmi (mare, murmure…) e poi immagini furono simboli, che rimandavano alla realtà ma non la riproducevano e quindi in se stesse erano astratte.

L’evoluzione successiva verso le scritture lineari ha fatto sì che il simbolo grafico, che rimanda ad una dimensione spaziale, e il simbolo verbale, che rimanda ad una dimensione temporale, coincidessero.

Inoltre, un codice condiviso ha determinato la struttura segnica delle parole che a loro volta producono  immagini mentali, le quali arricchiscono la realtà.

La scrittura dunque diventa mezzo per dominarla.

E qui è il punctum dolens, il nodo da sciogliere anche relativamente alla poesia visiva.

In effetti, di primo acchito, tutto sembra semplice e lineare, ma… poi uno sguardo ad un fiore, alla  forma di una roccia, all’onda che si frange, al tramonto che trascolora… ed una domanda emerge  pressante: in questa normalità del quotidiano la parola, nella sua dimensione spaziale e temporale, quale norma suggerisce? Quale lògos?

Sussisterà certamente una norma e un lògos ma all’evidenza dei fatti essi sono inafferrabili, soggetti alla legge individuale e perciò legge irregolare, subordinata all’irregolarità delle cose.

E la parola? Incontra il fenomeno e lo dice, formula un concetto. Ma, anche questo non è assoluto perché ogni volta che è pronunciato è soggettivo e singolare e si sedimenta in una scrittura singolare, in una dimensione spaziale anch’essa singolare e quindi cangiante.

E allora?

Ad una pur superficiale analisi risulterà che la parola-concetto è anch’essa fenomeno (luce=phòs del phaìnomai o in latino lux assai diversa dal lumen) che non si dispiega nella sua totale oggettività ma contiene un nucleo opaco (la lux, infatti, è la luce splendente che permette di vedere, ma non può essere vista pena l’accecamento), un non detto, un confine, che ne determina la dinamicità.

Tale confine, infatti, non è mai identico, si amplia o si restringe, si logora o si arricchisce, stabilisce relazioni, forma una rete di collegamenti.

In sintesi, parola, concetto, nucleo opaco, che possiamo indicare anche come velo, sono essenze estremamente fluide soggette alla legge individuale, onde nietzschenamente affermiamo che «non  ci sono fatti ma solo interpretazioni».

Questa legge individuale, lo ribadiamo, non è mai identicamente ripetibile, mai soggetta ad una norma totalizzante.

Ne consegue che ogni esperienza è una nuova avventura logica sempre e, aggiungiamo, se vissuta con infantile stupore. Il gioco logico è illimitato, non mira a catturare una forma ed una norma una volta per tutte, ma ad  incontrarle e poi lasciarle fluire e rifluire.

Ogni esperienza si connota, quindi, come lògos fluido, duttile ed esprime non la cosa ma la distanza, l’epochè tra sensazione e parola, tra sensazione e figurazione, tra sensazione, parola e figurazione.

Le norme scaturite non sono rigide ma, sollecitate dal vedere, dall’udire, dal sentire, sono atte a tuffarsi e rituffarsi nel fluire della vita e delle cose per riemergere e ricercare ancora le cose e il loro corpo opaco per darvi ancora forma e nomi.

È questa, a mio parere, l’avventura della poesia visiva o comunque la si voglia individuare.

È quest’avventura della forma transeunte e soggettiva che soggettivamente diventa entelechia individuale. È lei che sceglie il proprio lògos in relazione al fluire delle parole, delle forme e della vita.

Questo a posteriori mi sento di dire a proposito della poesia visiva e in particolare dell’opera di Michele Perfetti (1931- 2013) che non ho avuto la fortuna di conoscere se non attraverso i suoi lavori.

Uno sguardo velocissimo alla biografia e un pensiero nostalgico cattura la mente: «Come avrei voluto vivere quegli anni splendidi di cui Michele fu protagonista».

Uno sguardo all’oggi e un rimpianto senza fine davanti allo squallore culturale che ci assedia, allo sgomitare di chicchessia per un posto avanti (per arrivare dove?).

Ma, bando alle recriminazioni per dire che quello di Perfetti fu un periodo entrato oggi a pieno titolo nella storia della letteratura e dell’arte, perché ricchissimo di fermenti socioculturali e storico-culturali, il cui nobilissimo obbiettivo era quello di cambiare il mondo attraverso il sapere e l’arte. Nel nostro caso attraverso la poesia visiva o scrittura visuale, poesia sonora o comunque la si  voglia nominare, di cui il gruppo fiorentino formato da Spatola, Ori, che ho avuto l’onore, anni fa, di conoscere a Firenze, Miccini, Pignotti, Chiari, Bussotti, Sarenco, il nostro Perfetti ed altri divenne colonna portante.

In pratica questi poeti-visivi compresero che la nozione di poesia poteva non essere più legata alla parola solamente ma poteva diventare “arte generale del segno”. Segno non statico, ma dinamico, come ho cercato di suggerire poco sopra.

Furono anni in cui si credeva nel  potere della cultura! L’Euro era in mente dei, e nessuno si rese conto che l’Unione Europea poteva iniziare da quella culturale in atto da millenni. Chissà, oggi, come sarebbero state le cose! Lo diciamo per inciso, ovviamente.

Torniamo a Michele, all’infaticabile Michele Perfetti la cui poetica si connotò per la costante contestazione della società dei consumi mentre arrivava dal Regno Unito e dagli USA la

“carica” della Pop Art con cui si competeva e a cui ci si opponeva.

Attraverso il lavoro di una vita, l’artista visivamente mise in evidenza quel concetto che era di Pasolini sulla differenza tra evoluzione e progresso.

Infaticabile “operaio di sogni” fece dell’ironia la sua cifra espressiva.

Nei suoi lavori i corpi tipografici, i colori, gli spazi, le forme e quant’altro pongono la questione del rapporto tra il linguaggio e il mondo.

Tuttavia, per l’artista essi non sono grandezze, valori separati. Perfetti, nel “con-formare” la sua protesta contro “le fila nemiche dei mass-media”, sa che non c’è mondo senza linguaggio così come non c’è linguaggio senza mondo, mondo mutante e quindi linguaggio mutante.

Si tratta di elaborarne uno, il cui nuovo tasso di semanticità (parola mutante) riesca a scardinare il codice logico-verbale consueto, per dare vita ad un interlinguaggio in cui segni di diverse forme espressive entrino in interazione, al fine di reinventare il quotidiano, scompaginando discorsi e forme usuali, per riproporli all’attenzione secondo un sistema percettivo portatore di significati ulteriori.

Esistono nel quotidiano forme diventate icone, che Michele isola dal contesto e le fa interagire con le parole in godibilissimi collage pregne di senso in un riflusso di significati e di suggestioni dove serpeggia costante una vena ironica e dissacratoria, sottolineata in particolare dalla disarticolazione e riarticolazione dei termini, in cui il fatto verbale e quello figurale si integrano opportunamente.

E penso a “In marcia” oppure ai numerosi collage “Senza titolo” o alle poesie tecnologico-visive raccolte nel catalogo …000+1 del 1967 oppure a “In difesa dell’uomo” del 1973 che rasenta lo sberleffo e non sai chi è il vero soggetto da “difendere”.

A differenza di molte opere criptiche del periodo, quelle di Perfetti sono convenienti quanto altre mai alla comunicazione, allo scambio di pensieri con il riguardante, perché sul supporto la relazione parola-immagine è di per sé eloquente e portatrice di significati e significazioni altre.

L’artista saccheggia le icone dei mass-media utilizzando slogan e quant’altro per contestare ogni tipo di informazione, per interpretare, illustrare, criticare la società dei consumi, i riti e i miti del tempo, in cui l’immagine pubblicitaria è vista sotto la luce dissacrante dell’ironia.

 

In fondo, quello di Michele Perfetti è un messaggio simbolico-artistico che unisce in simbiosi  creativa emozione e pensiero e nello stesso tempo implicitamente interroga il riguardante, lo induce a riflettere, lo invita al senso di responsabilità nei confronti dell’attorno.

In altre parole, nelle opere del nostro artista forma e contenuto, estetica ed etica sono profondamente  interconnessi.

E mi piace chiudere, da buona siciliana, questo flash su Michele Perfetti con un pensiero che si trova sul frontespizio del teatro Massimo di Palermo che così recita: «L’arte rinnova i popoli e ne rivela la vita. Vano delle scene il diletto ove non miri a preparare l’avvenire».

*

(Concludiamo questo omaggio a Michele Perfetti con uno scritto della semiologa Rossana Apicella pubblicato qualche tempo fa)

 

ROSSANA APICELLA, Michele Perfetti

 

L’opera di Michele Perfetti presenta, come caratteristica fondamentale, una ininterrotta invenzione: di qui, una infinita possibilità di espressione, un divenire, un deflagrare del linguaggio poetico, senza soste, senza stasi, un heroico furore manifestato con una sensibilità violenta e appassionata, ma sorvegliato da un implacabile rigore razionale.

In questa dualità, in questa simbiosi di Dioniso ed Apollo, consiste la vitalità dinamica di Michele Perfetti, la sua possibilità di errore, ma, insieme, di splendide novità fantastico-razionali: Michele Perfetti è uno dei personaggi più interessanti, più imprevedibili, e insieme più futuribili dell’attuale stagione della Poesia Visiva.

La prima esperienza di Michele Perfetti presenta già, in nuce, le tematiche di alcuni filoni fondamentali che possono essere ricondotti a tre ricerche, spesso intersecantesi, che costituiscono le strutture portanti della poetica di questo operatore:

 

1) Poesia monoglossica;

2) Poesia visivo-tecnologica;

3) Poesia visivo-oggettuale.

 

Della poesia monoglossica è fondamentale Virus: è un poemetto-filastrocca nel quale ogni verso è introdotto da un ma come se contraddicesse, se proponesse una alternativa di affermazioni sottintese.

Questi versi sono collocati  in una struttura di  serialità variante all’infinito.

Infatti, il poemetto-filastrocca potrebbe interrompersi al quinto, al decimo, al vensesimo verso, o contniuare all’infinito: la contrapposizione ad una premessa taciuta genera questa risposta, questa fantasia ininterrotta di immagini e di situazioni.

Esaminato in sé, il poemetto presenta una dinamica interna di nuove contrapposizioni (oltre a  quella ipotizzata, ma non svolta, nemmeno accennata, che è presupposta dalla funzione avversativa che apre ogni verso del poemetto).

Infatti, ad una certa tipologia di azioni consuete, meccaniche, abituali, si contrappongono le azioni assurde, il gioco della fantasia che immagina personaggi inverosimili, situazioni paradossali.

Di qui, una decodificazione del verso che esprime l’azione  consueta,  il  quale,  perché  inserito  in  un contesto volutamente assurdo, diviene accentuatamente, sarcasticamente Kitsch: l’azione abituale, il luogo comune, nel contrasto con il discorso favoloso, acquistano una dimensione spietatamente ironica, divengono più assurdi dell’assurdo, sottolineando la loro banalità, il loro proporsi noiosamente abitudinario.

Il tema del luogo comune come motivo di  ironia e dissacrazione ritorna, con diverso linguaggio, non più monoglossico ma singlossico, nella Poesia visivo-tecnologica. In questa diversa esperienza, Michele Perfetti decodifica il linguaggio dei mass-media attraverso accostamenti che lo caricano di una ironia spietata.

Questa esperienza ha due diverse forme di espressione:

 

1) La Poesia Visiva rigorosamente singlossica;

2) Il Romanzo Visivo anch’esso rigorosamente singlossico.

 

Nella Poesia Visiva, la decodificazione avviene nell’interno di una immagine: l’accostamento dei linguaggi dei mass-media è irresistibilmente dissacratore, lacera la falsa compostezza dei luoghi comuni, distrugge il sentimentalismo spicciolo della presse du coeur, la magia piccolo-borghese dell’oroscopo, la sollecitazione erotica della pubblicità a sfondo porno-sessuale.

Tutti questi messaggi sono decodificati dall’accostamento a messaggi contrastanti o analoghi: l’operazione demiurga di Michele Perfetti consiste nel confrontare questi messaggi pro-

vocando così il fruitore, in modo che il fruitore stesso dissacri il messaggio, diventando così partecipe dell’azione poetica.

Accanto a questa esperienza, il Romanzo Visivo comporta una operazione più complessa: non è più la singola espressione, ma è il continuum, è il susseguirsi logico delle operazioni, è il legame interno delle espressioni. Il Romanzo Visivo introduce una nuova dimensione nella operazione di Michele Perfetti: la dimensione del tempo, e, quindi, inserisce una nuova problematica di linguaggio, perché non è più il singolo messaggio isolato, atopico, ma è il susseguirsi, lo snodarsi di un racconto.

Qui, noi troviamo anche il personaggio-chiave, anche se non si vede, se non è mai nominato, ma è come l’ipotesi inespressa contestata dal ma di Virus: esiste, è necessario, è il legame logico della vicenda, anzi, è il legame logico della illogicità, perché il personaggio del Romanzo Visivo è la commessa, la parrucchiera, la piccolo-borghese, o, magari, la casalinga di lusso, o la call-girl in fuoriserie dei quartieri alti, creature di umanità povera, lettrici di oroscopi della stampa rugiadosa, ingorde di principesse ed attrici, strumentalizzate dal sistema attraverso il monopolio dei mass-media, sacca di voti inerti destinati al fascismo in doppio petto.

Questo personaggio è ironizzato, dissacrato, distrutto, proprio dagli strumenti del suo consumismo mentale: il Romanzo Visivo di Michele Perfetti acquista, pertanto, una dimensione di denuncia etica che lo differenzia dal romanzo basato sul nonsense e sulla poetica dell’assurdo di derivazione dadaista proprio per la carica di denuncia contenta nel racconto.

È una  denuncia contro  il sistema,  attraverso quelli  che sono considerati i giudiziosi, gli equilibrati perché accettano i dogmi del sistema; gli imbecilli, le donne di casa, le professoresse di inglese sono i pilastri delle dittature striscianti o palesi.

Michele Perfetti colpisce il sistema attraverso i suoi strumenti di persuasione, e i fruitori passivi di questo strumento: denuncia la fatiscenza della piccola borghesia, la regressione, la inutilità  del suo discorso anti-storico, dissacra i miti del perbenismo, oppone alla falsa virtù i feticci dell’Eros industrializzato.

La Poesia visivo-oggettuale è l’invenzione più pregnante di Michele Perfetti, alla quale si è particolarmente dedicato in questi ultimi tempi: ed è una invenzione di deflagrante violenza.

L’operatore usa gli strumenti della Pop-Art con la duplice contestazione.

La prima contestazione è rivolta contro il tentativo di chiudere in formule fisse il linguaggio della singlossia, imponendo la bidimensionalità e il bianco-nero della tela emulsionata come fattori caratterizzanti l’operazione singlossica.

Questa contestazione è stata fondamentale ai fini dello sviluppo delle nuove tendenze che possono trovare,  in queste proposte, i  fermenti per  una nuova ricerca nella vastissima area della singlossia. Infatti, Michele Perfetti ha, tra l’altro, ultimamente iniziato a sperimentare la possibilità di realizzare dei testi di Poesia Visiva con l’ausilio di elaboratori elettronici (e si tratta della prima esperienza del genere). Ricerca che si profila d’indubbio interesse e sulla quale, per ora, lascio aper-

to il discorso, da farsi in senso specifico.

In secondo luogo, è fondamentale la contestazione della Pop-Art con i mezzi stessi usati dalla Pop-Art.

Infatti, mentre la Pop-Art si serve dell’assemblage per una denuncia di tipo viscerale e privato, ed è intersecata con le ultime, equivoche frange  del Neo-Dadaismo (esemplificato dalla partecipazione di Julius Evola a questa corrente, e dalla poetica dell’assurdo approdata, con Jonesco, alla cultura della reazione), Michele Perfetti si serve dell’oggetto, piatto, nastro, bottiglia, biglia colorata, per proporre un discorso dissacrante, ferocemente polemico, ma questo mutamento  interno degli strumenti di un messaggio, trasformato da irrazionale in iper-razionale, da privato in politico, da auto biologico in collettivo, è senza dubbio la operazione più importante del poeta-filosofo, ed indica la sostanziale senescenza non degli strumenti, ma del messaggio della Pop-Art, e che gli stessi strumenti siano utilizzati per l’espressione di un messaggio non più individuale, ma di denuncia di una civiltà, di un tempo, di un costume.

Michele Perfetti, pertanto, non ha rinnovato la Pop-Art, ma l’ha svuotata degli strumenti, rendendoli espressivi di un nuovo messaggio: quello che agisce sulla collettività ed è, pertanto, espressione e partecipazione dei polloi che affidano al poeta la loro vicenda e la loro denuncia.


Biografia di Lidia Pizzo


Biografia di Rossana Apicella


 

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