Con la pubblicazione di «Documento Sud». Rassegna di arti e di cultura d’avanguardia (ottobre 1959, gennaio 1961), diretta da Luigi Castellano [detto Luca], artista, critico d’arte, giornalista, arredatore urbano, si soppiantano, senza mezzi termini, le forme provinciali di un neorealismo descrittivo e folcloristico, ridicolo e privatizzato, attività culturali marcatamente medioevali, di consumo, lauristiche che trovano terreno fertile in alcune riviste [1],
Si tenta di superare il vuoto e il deserto presenti, in modo spaventosamente uniforme, sul territorio letterario e artistico: “stabilire il rapporto fra civiltà e miti primordiali” dal quale derivare le immagini. Una proclamata vacuità della storia, un disconoscimento del mondo effimero, nascono su più fronti per mettere in crisi gli strumenti tradizionali ed esistenti, gli spazi poetici delimitati dalla confusione che imbrigliano l’artista e rafforzano il sistema della banalità che li partorisce: si affronta (come mai prima) la volontà di pacificazione che fa del consueto il dialogo col mondo, del consumo il suo credo, l’unica meta di certi “progetti” artistico-letterari. Le forze nuove dell’avanguardia napoletana si dissociano professando a voce alta una vena provocatoria e trasgressiva in nome di una cultura altra,
Ai sei fascicoli di «Documento Sud», rassegna di arte e di cultura di avanguardia,
collaborano attivamente i pittori del “Gruppo 58” (Guido Biasi, Luca, Lucio Del Pezzo, Franco Palumbo, Bruno Di Bello, Sergio Fergola e Mario Persico) e molti autori stranieri (tra gli altri, Edoward Jaguer e Jacques Lacomblez, rispettivamente promotore del movimento parigino “Phases” e direttore della rivista «Edda» di Bruxelles), coi quali il gruppo napoletano della giovane avanguardia instaura uno scambio d’idee, di progettazioni, sin dalla prima uscita di «Documento Sud» che diventa sempre più il suo organo di stampa. Con lo sguardo puntato oltre la soglia della propria “casa”, si allargano gli orizzonti mentali e artistici in una città congestionata, una città che Edoardo Sanguineti, all’interno di una inchiesta di quel periodo sulle attività culturali a Napoli, promossa dalla rivista milanese «Il Marcatré» (pubblicata sul n. 14-15, maggio-giugno 1964), a cura di Lea Vergine, non esita a definire
La pittura, dunque, è predominante sulle pagine di «Documento Sud», anche se si pubblica, nel primo, terzo e quinto numero, testi poetici di Sanguineti (Il palombaro e la sua amante, Alphabetum e Opus ethicum), di Marcello Andriani, pseudonimo del pittore Guido Biasi (Il gioco dura poco), di Emilio Villa, poeta e critico d’arte che influenzerà più avanti, non poco gli ambienti culturali napoletani (il terremoto che affoga nel marsala), di Stelio Maria Martini (a partire dal quarto numero) e una poesia visiva del dadaista Francis Picabia.
«Documento Sud» ha un ruolo di fondamentale importanza per la storia della poesia verbovisiva italiana, per l’interconnessione tra parola e immagine, il recupero del Futurismo che a Napoli ha avuto il suo massimo esponente in Francesco Cangiullo. E non ci pare che si possa attribuire alla casualità la rottura con la “disoccupazione mentale” circolante, che avviene grazie al lavoro sperimentale di un gruppo di pittori, guidati dall’estrosità di Luca,
in quanto, come giustamente ha affermato Baj, importante collante tra i “pittori nucleari” di Napoli con quelli internazionali, a
presentandosi come un
Nell’editoriale del primo numero, a firma di Luca, si evidenzia suubito la linea della rivista:
e più avanti,
Di «Documento Sud» escono sei numeri: n. 1 (ottobre 1959), con la scritta in copertina “scetateve guagliune ’e malavita”, ospita testi di Pierro Jorre de Saint Jorre, Ivo Michiels, Edoardo Sanguineti, M. Smith, Alexandre Henisz, Homer Rackover, Riccardo Barletta, Marcello Andriani, F.T. Marinetti, Gaston Fidèle, Francis Picabia, Mario Persico. Guido Biasi, e i clichè di E. L. T. Mesens Peverelli, Enrico Baj, Guido Biasi, Lucio del Pezzo, Bruno di Bello, Carlo Del Pozzo, Sergio Fergola, Libero Galdo, F.T. Marinetti, Luca, Francis Picabia, Franco Palumbo, Mario Persico. La rivista si avvale anche di un gruppo di corrispondenti: Enrico Baj (Milano), Edoardo Sanguineti (Torino), Jean Jacques Label (Bruxelles), Edouard Jaguer (Parigi) e Edouard Léon Théodore Mesens (Londra); n. 2, con la scritta in copertina “chi me piglia pe’ francese/ chi mi piglia pe’ spagnola/ io so nata o’ Conte e’ Mola/ mett’a’ coppa a chi vogl’io”, ospita testi di Mario Persico, Enrico Baj, Jean Jacques Lebel, Marcello Andriani, Enrico Crispolti, Barletta, Castellano, Jaguer, Guido Biasi e i clichès di Luca, Galdo, Palumbo, Trubbiani, Pollock, Alfano, Baj, Brauner, r. d’Haese, Lebel, Reuterswärd, Dubuffet, Verga, Gruppo ’58, Barisani, C. Del Pozzo, Massey, Fergola, Biasi, L. Del Pezzo, Viscardi, Freda, Di Bello, Persico, Jaguer, Colucci. L’editoriale di questo numero, ancora a firma di Luca, invita a riflettere:
Si analizzano i rapporti fra arte e comunicazione e arte e tecnologia, rendendo linguaggio artistico i sottocodici prodotti dalla civiltà industriale; n. 3, con la scritta in copertina “E bersagliere vonno / e ppenne p’ ’e cappielle… / Uh quanta capuncielle / e galle aimma spennà”, ospita testi di Andriani, Mesens, Cuomo, Jaguer, Villa, Biasi, Delau, Persico, Baj, Sanguineti, Lacomplez, Benein, Lebel e i clichès di Baj, Mesens, Copley, Ray, Klapheck, Del Pezzo, Luca, Persico, Colucci, Lacomblez, Di Bello, Brancusi, Venditti, Sonderborg, Troiano, Biasi, Trebbiani, Barisani, Del Pezzo. L’editoriale di questo numero recita:
n. 4, con la scritta in copertina “’A bbona ’e ddio! – fa isso – O moro o campo!”, ospita scritti e poesie di Luigi Finizio, Lacomplez, Mario Persico, un estratto del “Manifeste de Naples del Gruppo 58”, la rubrica L’invettiva di Guido Biasi e i clichès di Baj, Man Ray, Paolozzi, Picabia, Di Bello, Martini, Biasi, Langois, Galdo, Fergola, Bertini, Kalinowski e Cena; n. 5, che si presenta senza scritte in copertina, composto e impaginato da Mario Persico, ospita poesie di Stelio Maria Martini (che da questo numero fa il suo ingresso in redazione), Sanguineti, Lacomplez, Mesens, Andriani, la prima puntata sul senso dell’arte di Persico, un testo congiunto Baj-Mesens e i clichès di Baj, Zimmermann, Cena, Caniaris, Wetzel, Di Bello, Inios Pabi, Max Ernst, Persico, Blasi, Fahlström, Revel, Del Pezzo, Kalinowski, Copley; n. 6, anch’esso senza scritte in copertina. L’editoriale è un vero attacco alla disoccupazione mentale del quotidiano:
Ospita scritti di Sergio D’Angelo, di Thiercelin, di Biasi, di Luca e gli immancabili clichès di Mesens, Fergola, Andriani, Boucher, Max Ernst, Lucio Del Pezzo; Persico, Toyen, Petersen, Baj, Lacomblez, Biasi, Kurt Leonard.
Attraverso il Manifeste de Naples, qualche mese prima della nascita della rivista, il Gruppo lancia un forte attacco all’astrattismo, ai limiti imposti dalla forma e dai “valori puri” che esso privilegia, in favore del Movimento Nucleare milanese di Baj e Sergio Dangelo, di un’intesa diffusione di nuove idee.
servendosi degli inediti colori (e situazioni) insiti nelle tradizioni locali, nelle espressioni popolari, affrancati dalle forme a-temporali, astratte. Un solo grido si alza dal pantano:
Sprovincializzare e organizzare un nuovo modo di fare cultura diventa quasi un bisogno fisiologico. Si rafforzano i contatti e gli scambi con movimenti italiani ed europei (M.A.C. e C.O.B.R.A., soprattutto), l’entusiasmo di un cambiamento prende il posto dell’eterno vittimismo, dello stato pietoso e isolato in cui è costretto a vivere l’artista napoletano.
A livello politico l’area di appartenenza è quella del marxismo leninista, anche se è più giusto dire in una forma più estrema che si concretizza, nella maggior parte dei casi, in un’anarchia ragionata, nel senso che il contrasto con la città e i poteri forti che la controllano, avviene all’interno delle istituzioni. A livello letterario e poetico la figura referente, in particolare per i giovani quali, ad es., Luciano Caruso, Felice Piemontese, Giovanni Polara, Emilio Piccolo, etc., è quella di Luigi Incoronato, un comunista nato a Montréal da genitori emigranti, l’autore di Scala a San Potito (nel quale a fare da sfondo e protagonista è una Napoli travolta dalla miseria e dalla guerra), sua opera prima, uno scrittore che aveva partecipato alla Seconda Guerra Mondiale e in seguito alla Resistenza, per stabilirsi poi a Napoli dove si laurea in Lettere nella locale Università, discutendo una tesi sulle Operette morali di Leopardi. La “spinta in avanti” per questi giovani intellettuali più sù citati è scandagliata dalla lettura del saggio Letteratura subalterna e letteratura d’opposizione e dal romanzo Compriamo i bambine del 1963, dove, citando Martelli-Faralli, con strutture linguistiche e d’impianto nuove, connesse con l’evoluzione ideologica e culturale degli anni sessanta e con personali inquietudini di intellettuale, l’Autore affronta i problemi emergenti nella società napoletana degli anni del boom economico.
In questa nostra città –, ci informa Luca, in uno degli editoriali di «Documento Sud», – poco nota all’arte attuale, città deposito del luogo comune e del supino buon senso, ma viva per certi suoi caratteri ben riconoscibili sotto il lindore di un fauto benessere e del più vieto conformismo potremmo dire, al nostro quarto numero, che si è concretata improvvisamente quella rivolta interna, promossa e organizzata da alcuni di noi, non tanto per purgarla del detto ciarpame, ma per creare un clima favorevole al fermentare di quei suoi naturali e validi umori. Ma il bilancio, dopo cinque numeri, risulterà negativo, giacché lo sforzo prodotto dalla rivista non viene recepito, al di fuori del proprio contesto, dai giovani artisti e poeti napoletani. Pochi seguono le idee di Luca e di Emilio Villa (che da Roma è venuto in soccorso dell’amico) al di qua della barricata, ma è meglio di niente. Intanto si decide di dare più spazio alla poesia non più come fatto sporadico, grazie soprattutto all’interessamento e alla “spinta in avanti” di Villa, col quale si costruiscono le basi per un rifiuto dell’esistente, del prodotto finito, catalogato, per far largo al gesto poietico, alla provvisorietà (strumenti che avranno più tardi terreno fertile in seno al gruppo «Continuum» di Caruso e compagni), in una dimensione temporale del linguaggio, degli incontri umani.
[1] Per esempio da Nord e Sud. Diretta quasi sempre da Francesco Compagna, la sua attività sin dalla nascita (1954) «si pone sulla base della contestazione del “risveglio delle masse meridionali”, sollecitato e diretto dalle organizzazioni operaie: pur nel rifiuto di “astratte contrapposizioni”, nuovi compiti si aprono agli intellettuali di matrice liberale, e sul piano politico e sociale, e sul piano del confronto culturale con il marxismo» (David Bigalli, Nord e Sud, in Giorgio Luti-Paolo Rossi, Le idee e le lettere. Un intervento su trent’anni di cultura italiana con un repertorio delle riviste di cultura dal 1945 a oggi, Longanesi, Milano, 1976, p. 186). Dopo l’edizione mondadoriana, nel 1960 la rivista passa alle E.S.I. di Napoli, che è anche l’occasione per rifiutare esperienze di ricerca culturale, ribadire l’estraneità e l’opposizione all’ideologia comunista, per accogliere una «curvatura specificatamente meridionalistica, con un rinnovato interesse, in particolare, per Napoli e la Campania» (ibid.), sfruttare al meglio «tensioni e inquietudini di un nuovo assetto sociale» (ivi, p. 187), per una restaurazione del crocianesimo più vieto. In pratica, è su questa linea restaurativa di realtà illusorie, di un “meridionalismo di complemento”, poco legato alla società civile, che alcune riviste napoletane dell’epoca, letterarie e non, sorte dal 1944 al 1959 (per es. «Latitudine», diretta da Massimo Caprara; «Sud», diretta da Pasquale Prunas; «Aretusa», diretta da Francesco Flora; «Il Sagittario», «Città», «Delta», «Realtà», «Le Parole e le Idee») lavorano e si spostano, fino a promettere false speranze, verso soluzioni che promuovono se stesse.