GIORGIO MOIO, C’è voglia di poesia, ma senza piangersi addosso!

Sul «Denaro.it» di venerdì 16 giugno, quotidiano on line con sede a Napoli, c’è un articolo di Fiorella Franchini, dal titolo Rigillo legge Spagnuolo, serata dedicata al poeta napoletano Antonio Spagnuolo, nella prima serata della rassegna “Io e tu” curata da Silvio Perrella, inserita all’interno del “Napoli Teatro Festival” in svolgimento in questo periodo in varie location della città. C’è voglia di poesia, sottolinea Fiorella Franchini: «L’interpretazione fascinosa di Mariano Rigillo si traduce in musicalità pura e passione erotica, e pare una lenta discesa di Orfeo verso l’Ade alla ricerca di Euridice. I versi ammansiscono sofferenze e inquietudini e l’ombra di lei appare nella mente degli spettatori, creando un’atmosfera di “atemporale magia” in cui è soave naufragare. […]. La parola poetica satura l’aria profumata del parco e una vertigine lambisce chi ascolta, attento a non perdere uno sguardo, una carezza che sfiori il cuore e la mente. C’è tanta voglia di poesia».

E perché se c’è voglia di poesia, la poesia di questi ultimi tempi è stata ferita a morte e non ha più voce in capitolo nel mondo culturale, costretta a sopravvivere nelle nicchie del dimenticatoio? Su facebook si pone il problema la poetessa Marisa Papa Ruggiero: «Altro che voglia di poesia, la voglia invece, sempre più irresistibile è metterla fuori gioco la poesia, rottamarla una volta per tutte!». Non ha tutti i torti la Papa Ruggiero, colpa delle grosse case editrici che non pubblicano più poesia, tranne se non si tratti di nomi notissimi, e anche in questo caso, pochi titoli e poca tiratura; colpa delle medie e piccole case editrici che pubblicano poesia (ma qualsiasi argomento) dietro compenso da parte dell’autore, sotto forma di acquisto copie (di solito non meno di 100) a copertura delle spese e qualche guadagno anticipato. Con la “pancia piena”, diciamo così, è ovvio che l’editore di turno, non ha nessun interesse a far veicolare un volume di poesia, men che meno distribuirlo o pubblicizzarlo, tranne – e non sempre – sugli store on line, che tutto sommato non è un male, a meno che non serva solo per far numero.

Dicevamo, di chi la colpa? Dei giornali, che ormai da anni hanno abolito la famosa “Terza Pagina”, dedicata alla cultura, la letteratura, con recensioni di libri e dibattiti attorno alla poesia. Addirittura si permettevano il lusso di avere un inserto di 5-6 pagine di cultura, dall’arte alla poesia. E parliamo neanche di una ventina d’anni fa. Come dimenticare l’inserto “L&A” (Libri & Arte) del «Mattino» di Napoli, dove scrivevano grandi firme della letteratura e cultura non solo napoletana. Ci trovavi recensioni di Alberto Mario Moriconi, con lo pseudonimo di “Malik”, brevi saggi di Walter Pedullà, Cesare De Seta, Filiberto Menna, Felice Piemontese, Angelo Trimarco, Michele Prisco, Valerio Caprara. Non da meno era l’inserto “Mercurio” de «La Repubblica», con testi poetici di alcuni tra i più interessanti poeti degli anni 80-90 del secolo scorso (Valerio Magrelli, Giuseppe Conte, Valentino Zeichen, Maurizio Cucchi) o il “Canto per il PCI” sulla scia di Pasolini con la discussione Poesia in forma di delusione (già si parlava di una poesia delusa dall’esistente), con interventi di affermati poeti e scrittori: Franco Fortini, Alfonso Berardinelli, Paolo Volponi, Edoardo Sanguineti, Renzo Paris, Giorgio Manacorda. Si ospitava e si discuteva di letteratura, di arte, di cinema, di libri soprattutto. Il «Corriere della Sera» si poteva permettere un inserto, Corriere Cultura, di ben dodici pagine. Anche «La Stampa» di Torino aveva un inserto settimanale di dodici pagine. A quel tempo giovani poeti e scrittori come me, potevano nutrirsi (è proprio il caso di dire) di cultura, di letteratura. Altri tempi!

La colpa di una cultura quasi da “sottobosco” o presuntuosamente “inutile”, è anche di questi giornalisti o pseudo, o di addetti ai lavori ignoranti che, pur riuscendo a comprendere la necessità della poesia, non si azzardano ad analizzare il terreno in cui si muove o dovrebbe muoversi, il perché e chi voglia rottamarla. È un po’ come il cane che si morde la coda, o come dice Costanzo Ioni, «la società cambia anche i giornalisti, ne subiscono le conseguenze, il «Denaro» è solo online e quotidiani importanti pagano una miseria i loro collaboratori; i poeti hanno il grande vantaggio di essere entrati prima in questa temperie destrutturante in cui comunque esistono spazi di gratificante confronto». Quali sono gli spazi gratificanti per la poesia? Sono organizzati solo per la divulgazione della poesia o la poesia è presa a pretesto per altre situazioni non-poetiche? Il buon Costanzo Ioni queste cose le sa, ma è l’amore per la poesia che gli fa vedere lo scenario in modo positivo.

Sulla breve discussione aperta su facebook, ha detto la sua anche Antonio Spagnuolo, il poeta protagonista della lettura di Mariano Rigillo: «Da decenni la società ha perso i valori che sostengono una cultura solida e impeccabile. La colpa è delle generazioni che hanno trasferito i loro interessi soltanto “all’apparire” e non hanno coltivato “l’essere”. La gioventù quindi è cresciuta nel vuoto assoluto, nella vertigine dei telefonini, lontani dal colloquio viso a viso, lontani dalla lettura dei classici, malamente seguiti da docenti, anch’essi poco preparati. La poesia allora non interessa, perché essa invece è sostenuta da pilastri che sono i sentimenti, la parola, la musicalità, la memoria, le libertà emotiva, e richiede un verbo ardito, polivalente, multiplo». A difesa dei docenti, e della loro preparazione, scende in campo Renato Casolaro, che ha vissuto decenni dietro una cattedra, in condizioni spesso precarie, come si è presentata la struttura scolastica di questi ultimi tempi. I docenti, «al contrario sono (con le eventuali e fisiologiche eccezioni) persone condannate a svolgere un mestiere oggi reso quasi impossibile da chi ha ridotto la scuola a scimmia delle aziende, con un’abbondanza di doveri burocratici inversamente proporzionale al tempo-scuola concesso e direttamente proporzionale al cresciuto numero di allievi da curare». La triste situazione scolastica rispecchia l’andamento della nostra società: un po’ di tutto e in fretta, per passare subito a un altro po’ di tutto e in fretta o, nella peggiore delle ipotesi, ignorare per far posto alla solitudine: quando va bene, l’insegnamento sulla poesia si ferma ai “novissimi”.

È colpa anche delle riviste, certo, come asserisce lo stesso Spagnuolo, «che gestiscono il fare poesia oggi […] le quali molto spesso sono a circuito chiuso, aperte soltanto al “do ut des”, e offrono spazi soltanto agli adepti confratelli».

Ben vengano gli internauti, che non utilizzano i social solo per mettere “mi piace” o per curiosare nelle pagine di altri. Speriamo di imbatterci in qualche poeta dignitoso, in questo mare magnum dove tutti possono definirsi poeti, in quanto non c’è un vero contraddittorio. Speriamo in una poesia che non si pianga addosso e che non sia solo dell’anima, ma anche della mente, del corpo, materialmente resistente e oppositiva alla delirante e distopica realtà. 

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