ROSARIA DI DONATO, “Q. e l’allodola” di Vincenzo Mascolo

Q. e l’allodolaè un poemetto in VI sezioni, arricchite da  ben due partiture musicali di Max Richter (On the nature of daylight) e di Silvia Colasanti (Lamento), in cui Vincenzo Mascolo si interroga su cosa sia la poesia, meglio ancora, su cosa sia diventata. L’interlocutore ideale dell’Autore è Raymond Queneau, spesso invocato, all’inizio dei singoli testi, con l’espressione Oh Queneau. A dire il vero, l’intera opera appare come un singolar tenzone nel corso della quale il poeta disincantato e disilluso biasima il panorama dell’editoria contemporanea, che pur di pubblicare qualsivoglia silloge, appiattisce la scrittura poetica allontanando i lettori. Che dire poi della ridondante diffusione sul WEB? L’originalità sembra essere diventata un fantasma e la poesia è svilita e svuotata nel suo fondamento civile e morale: è ridotta a mero esercizio ben lontano dal virtuosismo tecnico stilistico di Queneau.

     Soffre l’anima irata del poeta che anela a un afflato più ampio e, perché no, lirico: un ritmo e un respiro che infondano nella pagina un sentire autentico e un tenore alto d’idealità e di stile. C’è nell’invettiva di Mascolo un sapore antico e nuovo che, se da un lato, lo collega a una tradizione forte in nobiltà d’animo e fiera nell’esercizio della parola, dall’altro, lo sospinge in una galassia nuova, in un universo ancora da esplorare: «Cantami, o diva, l’ira del poeta / la sua fatica che trasuda versi. / portami il sangue della sua poesia».[1]

     Molteplici sono gli esperimenti metrici all’interno dell’opera che varia dal verso libero all’ottava, al metro alessandrino…le terzine in endecasillabi concludono il poemetto nella speranza che «nella penombra dove consumiamo/ l’attesa che l’allodola ritorni/ risponda finalmente al mio richiamo».[2] Così scrive il poeta consapevole del fatto che la poesia, oggi, sia lontana dal nitore, dalla purezza dei suoni e degli accenti dell’infanzia, dalle onomatopee, dai simboli elaborati dalla meraviglia creativa del canto puro; piuttosto, i poeti si arrovellano in una miriade di sperimentazioni tecnico-stilistiche e inseguono parole vuote che non hanno alcun potere evocativo: «Oh, Queneau/ non sono poi così sottili/ le polveri nell’aria in questo tempo/ che si posano sugli occhi dei poeti/ formando a poco a poco come un velo/ (‘la cataratta dei poeti’, / dice Guido / che Salvatore vuole a ogni costo / rimuovere dal proprio cristallino / per scorgere oltre il ferro delle grate / la fuga di una nuova prospettiva)».[3] Urge un cambiamento di rotta che allontani gli autori dalla stasi della scrittura poetica contemporanea, mero virtuosismo e omologazione, in cui non si avverte la metessi platonica tra ideale e reale; in cui non penetra la luce che rischiara il giorno, la parola e l’io; in cui non alberga la voce dei morti. «L’anima è ridotta a un segno di scrittura, a un esercizio di semiologia…»[4] e attende la liberazione: vuole essere se stessa e attende la luce di un ri-sveglio, di una ri-nascita in sintonia con la natura ma, intanto, è prigioniera della notte, della penombradell’attesa[5] nella consapevolezza, però, che la bile[6] possa trasformarsi in resurrezione.

     L’Autore si affida all’iperbole quando scrive: «(che io sia fuoco per bruciare il mondo / o sia tempesta per spazzarlo via / se non travolge tutto il me profondo / a cosa serve questa mia poesia)»[7] e si ricongiunge in questo all’antica sapienza dei Greci, a Eraclito, tanto caro a Nietzsche, che proclamò come essenza del mondo il divenire, il con-vivere eterno di ogni cosa con il suo contrario; che consacrò polemos, il combattimento, come origine di tutte le cose e venne considerato oscuro perché si esprimeva in poesia, in aforismi, e non nel linguaggio logico-deduttivo: «per quanto tu possa viaggiare, non troverai mai i confini dell’anima  e, anche, cuore/ duro combatterlo / quanto brama / lo compra / coll’anima»[8].

La poesia è anima, dai tempi più antichi, e Rilke lo ricorda nei Sonetti a Orfeo dedicati a una giovane danzatrice morta precocemente Wera Knoop; similmente Ofelia, è la creatura alla quale Mascolo vorrebbe dedicare i suoi versi nuovi, lontani tanto dalla vita quanto dalla morte, piani e sublimi come la bellezza che, se pur effimera, si nutre dell’una e dell’altra creando miti immortali che parlano a tutte le generazioni; che svelano il senso, il significato delle cose oltre l’apparenza, attingendo al dionisiaco che è in noi perché, come insegna Heidegger in Sentieri interrotti, non tutto ciò che esiste è oggettivabile e la parola poetica è il varco che ci viene concesso.

XXIX

Tacito amico delle molte lontananze, senti
come lo spazio accresci ad ogni tuo respiro.
Con le fosche campane nella cella oscillando
rintocca anche tu. Ciò che ti consuma

diverrà forza grazie a questo cibo.
Tu entra ed esci dalla metamorfosi.
Qual è la tua esperienza che più duole?
Se t’è amaro il bere, fatti vino.

In questa notte in cui tutto trabocca
sii magica virtù all’incrocio dei tuoi sensi,
dei loro strani incontri sii tu il senso.

E se il mondo ti avrà dimenticato,
di’ alla terra immobile: Io scorro.
All’acqua rapida ripeti: Io sono.[9]

     È a questo punto che lallodola ha la meglio su Q. che, nel corso dell’opera non parla mai,e lo sconfigge, lo annienta nel momento in cui l’Autore comprende che la parola si fa Poesia non quando de-scrive né quando spiega, bensì quando accoglie il reale e l’irreale, la misura e la dis-misura, la luce e l’ombra, la quiete e la tempesta, la vita e la morte, la preghiera e il canto in un unicum che non è stato mai diviso ma che, sempre, ha danzato, danza e danzerà insieme: «Il miracolo della poesia sorge in pienezza quando nei suoi istanti di grazia ha trovato le cose su questo fondo ultimo, le cose nella loro peculiarità e nella loro verginità; le cose rinate dalla loro radice. Ormai l’uomo, l’esistenza umana, la sua angoscia, la sua problematicità, sono stati annullati. La poesia annulla il problema dell’esistenza umana, là dove si manifesta. Ormai l’uomo è solo voce che canta e manifesta l’essere delle cose e di tutto. L’uomo che non si è arrischiato a essere se stesso, l’uomo perduto, il poeta, possiede tutto nella sua diversità e nella sua unità, nella sua finitezza e nella sua infinitezza. Il possesso lo colma; trabocca di tesori chi non si è ostinatamente impegnato a afferrare la propria vacuità, chi per amore non ha saputo chiudersi a nulla. L’amore l’ha fatto uscire da sé, senza che potesse mai più riaccogliersi; ha perso la sua esistenza e ha guadagnato la totale epifania, la gloria della presenza amata».[10]

La parola poetica è l’allodola, che giunge inaspettata come un dono;è la dimora del canto:  «… Poesia è una casa: il luogo dove l’uomo e la donna possono risiedere; la sede dell’immaginazione e del pensiero; la culla della fantasia e della realtà; la dimora dell’essere e deltempo; la fucina del possibile e dell’impossibile; le parole mutate in ritmo sonoro; il punto di convergenza dei sentieri interrotti; la cura e l’oblio; il trasumanar e l’esser-ci. »[11]

A Casa[12]

Il mare non ha canti,
il vento non si ricorda di te,
la luna non capisce
niente.

Anche la tua paura e la tua avversione
vanno assolutamente
bene.

Che tu pianga o non pianga
non fa differenza.

Lascia perdere –
siamo già
a casa.

Roma, 9 Gennaio 2022

___________________________________

Vincenzo Mascolo
Q. e l'allodola
Mursia Editore, 2018, pp. 80

[1]  V. Mascolo, Q. e l’allodola, Milano 2018, p. 6.

[2]  V. Mascolo, Op. cit., p. 68.

[3]  Ivi, pag.11.

[4]  Ivi, p. 30.

[5]  Ivi, p. 68.

[6]  Ivi, pp. 12, 13, 44, 46, 49, 53.

[7]  Ivi, p. 51.

[8]  Eraclito, I Frammenti, Viterbo, 1992, p.  63.

[9]  R. M. Rilke, Sonetti a Orfeo. Poesie 1907 – 1926, Torino, 2014.

[10]  M. Zambrano, Filosofia e poesia, a c. di P. De Luca, Bologna, 2005, p. 116.

[11]  R. Di Donato, https://rebstein.wordpress.com/2010/10/19/poesia-e-filosofia/

[12]  B. Abbinando, Quando tutto è detto, trad. it. a cura di L. Candiani, Milano, 2006, p. 147.


Biografia di Rosaria Di Donato


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Una risposta a “ROSARIA DI DONATO, “Q. e l’allodola” di Vincenzo Mascolo”

  1. Ringrazio Giorgio Moio per aver pubblicato queste mie suggestioni su “Q. e l’allodola” di Vincenzo Mascolo. E’ un testo stimolante che invita a riflettere sul dono della poesia.
    Un cordiale saluto,
    Rosaria Di Donato

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