GIORGIO MOIO, «Uomini e Idee» e il “gesto poi/etico”

Dalla dichiarazione di stallo, di inutilità della poesia corporativa e dalla crisi dello storicismo marxista, nonché dal rapporto “turbolento” tra prassi letteraria e prassi politica, si afferma, sul finire degli anni ’60, una posizione restaurativa, stantia, che fa tabula rasa.

«Si era circondati […] da un evidente e preoccupante appiattimento di idee e posizioni politiche, prima manifestazione di una crisi delle ideologie destinata ad accentuarsi sempre più […], da una parte […] una continuità del rinnovamento e, in particolare, un superamento, in positivo, dell’esperienza neoavanguardistica, dall’altra […] forme di epigonismo neosperimentale e recuperi di tempi neorealistici che, con il loro uso strumentale del linguaggio, si andavano concretando […] poetiche idealistiche»(1),

di un crocianesimo resuscitato, tra l’altro, nei termini e modi più riprovevoli.
Non tutti ci stanno a decretare la “morte dell’arte”, propinata dall’eco lunga della letteratura neoavanguadistica e da alcuni parametri spiccioli situati alla base della contestazione giovanile del ’68, né tantomeno a relegare nel passato, come prevede il loro copione,

«avanguardie e tradizioni, tragicamente accomunate»(2).

A Napoli, dopo l’avventura di «Documento – Sud» e «Linea Sud», chi corre ai ripari è la rivista di letteratura, estetica, psicologia e arte contemporanea «Uomini e Idee», che eredita sul campo, per certi aspetti, a partire dai nn. 13-14 (ossia, dalla serie con Portolano editore), alcune tendenze delle suddette riviste.
Fondata nel 1958 da Enzo Portolano (l’editore) e da Corrado Piancastelli (direttore responsabile fino alla cessazione della rivista), dopo una prima serie (fino al n. 12) attiva come rivista scientifica, con la nuova serie (dai nn. 13-14 ai nn. 23-25) si apre decisamente alle tematiche di un nuovo modo di fare letteratura, ai metodi di critica, a un’area gradata-mente “off”, attenta al dibattito sul “nuovo” in corso un po’ in tutta la penisola (dibattito già largamente avviato negli ultimi convegni di La Spezia [1966] e di Fano [1967] del Gruppo 63 e dalle vecchie e nuove riviste alternative [«Il Verri», «Marcatré», «Quindici», «Carte Segrete»…]).
Uno dei punti fermi di «Uomini e Idee» è dato dal colloquio con la realtà (non nell’accezione zdanovistica del termine) che dev’essere senza mistificazioni, dove il rapporto arte-vita si situi al centro della poesia e sia portatore di un’utopia del nuovo. È Corrado Piancastelli(3) ad indagare in tal senso, a ricercare l’immagine originale, il vero senso delle cose, quel “materiale” rapporto umano di un vivere che vorrebbe “ricordare il tempo” più che sognarlo, violare un dato più che assoggettarlo:

Dall’inferno con speranza (3)

(vorrei ricordare il tempo
assurdo di me ovulo
in questo inferno di fuoco
questa retrocessione nel limbo
questa parte di me
nel grembo caldo di madre
crescita dilatazione e morte
solo quel tratto breve conta
ora il tronco decade
sopra radici molli e consuete).
[febbraio – maggio 1967]
(in «Uomini e Idee», anno IX, n. 9-12 (n.s.), Napoli, dicembre 1967, p. 74)

scoprire l’origine (…quando sarà passato il genocidio [ibid., p. 75]) di sé – che inquieta più che l’incerto futuro di tutti –, che logora la ragione (… la tua stessa ragione / si logora [ibid.]), la ragione di un uomo, di un’incapacità umana che non riesce ad evitare il genocidio, l’immane tragedia del mondo.
Ed è questa consapevolezza che induce il poeta ad affrancarsi dalla memoria, da una storia ambigua e avventurarsi tra le macerie, con un falso realismo, alla ricerca di un grembo caldo di madre, sancendo tutta la debolezza dell’uomo nei confronti del tempo, della storia; una ricerca d’immagine, dove il colloquio e l’indagine sulla psicologia delle cose, senza misticismi né “carezze leggere” né “galoppi con lingua schioccante”, vengono presentati ora in chiave tragica ora in chiave ironica:

(Ma l’immagine c’è
è questione di fantasia
e di credere.
È in fondo al lago coi fondali
di pece e qualche volta i ragazzi
la pescano con la rete d’oro
e lei si apre a stellamarina
si apre a ventaglio
tutta si apre e poi dorme
come l’antica fiaba
col mare troppo stanco
per trattenerla
nel bacio della rena).
(da Ricerca d’immagine, Rebellato, Padova, 1968)

«In poesia è lo scarto linguistico e mentale assieme, che viene a realizzarsi con l’accostamento di materiali (e di livelli di linguaggio) eterogenei, a suggerire uno spazio diverso, quello di una realtà “altra” appunto, per la quale sono ipotizzabili schemi mentali, comportamenti e quindi espressivi nuovi»(4) .

Ormai in «Uomini e Idee» si respira aria nuova, pur mantenendo interessanti dibattiti relativi al rapporto tra avanguardia e tradizione e la stessa redazione iniziale: Giorgio Bàrberi Squarotti, Pietro Aldo Buttitta, Piero Chiara, Enrico Crispolti, Giuliano Gramigna, Alberto Mario Moriconi e Adriano Spatola. Diviene – e non solo per questo – l’organo di stampa del gruppo di «Continuum» (foglio a redazione collettiva, di cui ci occuperemo nel prossimo capitolo), terreno fertile per un cambiamento del ripetibile e dell’esistente (che verrà poi sviluppato proprio sulle pagine di «Continuum»), la punta più avanzata dell’avanguardia a Napoli, grazie soprattutto all’impegno e alle proposte di Caruso che le darà definitivamente la propria impronta (con la stessa intelligenza con cui anima quasi contemporaneamente i neonati fogli di «Continuum») a partire dal n. 13. Ma l’imput definitivo avviene con Il gesto poetico,

«che si muove verso il miraggio della fusione delle arti (quando il bersaglio non sia imprimere un’accelerazione alla nostra mente)e che da questo miraggio ha tratto nuove energie e potenziali, cercando di realizzare soprattutto un flusso continuo di energia poietica»(5).
Con Il gesto poetico. Antologia della nuova poesia d’avanguardia(6) o “post-novissima”, che ospita situazioni e poeti trascurati dalla neoavanguardia(7), si prendono decisamente le distanze da una falsa avanguardia dei novissimi e dalla cultura come atto politico del Gruppo 63 (più precisamente dalla loro professata volontà di inserirsi nel potere economico dell’industria culturale, di scendere a patti con l’establishment), da un giacobismo “perbene” e da un’estetica tradizionale, posizione raggiungibile solo – appropriandoci di una espressione di Caruso – attraverso “una lucida vocazione del fallimento”.

«La nuova poesia in Italia, superate le forme sperimentali e di lavoro sul verbo come fenomeno esclusivo delle conventicole neoavanguardistiche, ha iniziato un processo di poesia totale: questo processo di poesia totale non ha una fine o una scadenza prevedibile (certo aspira a ridursi a semplice operazione di svecchiamento delle strutture della letteratura dominante) si nega recisamente come poesia (anzi cerca il nuovo mentale negando se stessa) – per giungere ad una zona o stadio di possibili mezzi che ha l’uomo: anche il gesto di una mano è una scrittura comunicabile»(8).

Ma c’è dell’altro:

«L’attività poetica è diventata una continua invenzione, una creazione quotidiana (re-invenzione poetica del quotidiano), la poesia tende a essere non più esercizio letterario (sui sintagmi e il linguaggio usato) ma azione, anzi gesto-a divenire sempre più scrittura oggetto. La nuova poesia in Italia …si nega recisamente come poesia (anzi cerca il nuovo-mentale negando se stessa) – per giungere a una zona o stadio di possibili intercomunicazioni – rivoluzionando con processi poetici tutti i possibili mezzi che ha l’uomo: anche il gesto di una mano è una scrittura comunicabile»(9).

Come altre riviste alternative di quel periodo, anche «Uomini e Idee» si vede costretta a interrompere le pubblicazioni della nuova serie nel 1968, dopo due anni, col numero doppio 23-25. L’azione di una cultura innovativa non riesce a trovare lo spazio in cui esistere o meglio, le viene negato! Le azioni collettive cedono il passo, come pure la pratica di “poesia totale” non ancora pronta per il “pubblico” e il concetto di gruppo affrancato dalle partite organizzate dall’oligopolio dell’industria culturale, di una letteratura “imborghesita”, divenuta merce di scambio, uso e consumo di un mercato che bada soltanto al guadagno, alla speculazione più vieta del tornaconto. La stessa operazione Il gesto poetico…, un’operazione di grosso spessore culturale, non raccoglie il riconoscimento che le è dovuto. Il programma prefissato (il progetto di notizie dai vari laboratori letterari, la produzione di libri-bianchi e il rifiuto del “mandarinismo”) viene portato avanti, in qualche modo, dalle sodali e conterranee «Continuazione A-Z»(10), busta a sorpresa di fogli di comportamenti, azioni, antiscrittura, gesti, ritualizzati, etc., a cura di L. Caruso e S. M. Martini (di cui esce una sola busta nel 1973 per le Edizioni di Continuum) e «Silence’s Wake». Anche di quest’ultima esce un solo fascicolo, nel marzo 1973, edito da Giuseppe Morra e diretto da Caruso, dove troviamo ancora Diacono (con un cliché), Martini con Caruso (Sommario dei luoghi comuni dell’ideologia delle “minoranze che esprimono il meglio del paese), Vandrepote (con due cliché), nonché Martino e Anna Oberto (Off Review. Fuori recensione), E. Piccolo (S/glossando), M. Nannucci, M. Roquet, A. Roussel, etc., e una interessante proposta di

«testi di autori tedeschi composti fra il 1969 e il 1971: circolari, volantini, lettere, interventi, manifesti, diagrammi, partiture, raffigurazioni, istruzioni per comportamenti»(11),

riuniti da Jochen Gerz sotto il titolo di Pubblic/Azioni, lavori su / con carta da Germania (RFT).

«E, proprio perché rifiutiamo il mandarinismo, sia come atteggiamento mentale che come pratica del clientelismo, (e contro il quale volgere le armi sarebbe davvero immiserire e degradare la battaglia), la peculiarità del nostro apporto [quello del gruppo continuum, una presenza costante negli organi di stampa d’avanguardia] consisterà ancora nella collettiva verifica delle idee, dei testi»(12).

Ed è palese che, per questi irriducibili e coraggiosi (è il caso di dire) artisti napoletani, le azioni mentali collettive, la poesia intesa nella sua totalità (lineare, visiva, sonora, oggettuale), il concetto di gruppo, sono tutt’altro che argomenti morti.
Dopo una lunga meditazione durata un lustro, nell’aprile 1975 «Uomini e Idee» riprende il suo discorso letterario, con un bisogno di smascherare l’ignobile ricatto del sentimento, l’istanza di morte di certi contenuti effimeri, partendo dalle rispolverate coordinate delle avanguardie storiche, dal futurismo, ad esempio (si veda Tavole parolibere futuriste(13), che a Napoli ha solide tradizioni e una straordinaria adesione. Si ripresenta, ovviamente, con una nuova redazione (Pietro P. Daniele, Stelio M. Martini, Emilio Piccolo, Felice Piemontese), diretta ancora da Piancastelli e con Caruso redattore capo. Ciò che interesserà la redazione(14) è il rifiuto di una società basata sul capitalismo, cui si oppongono proposte di linguaggi interdisciplinari, sinestetici, materiali; rafforzare il legame indispensabile tra arte e vita che l’industria culturale e soprattutto le effusioni lirico-elegiache vogliono a tutti i costi separare. E questo è possibile non solo contribuendo con testi poetici alternativi, legittimando il loro indispensabile ruolo, l’indispensabile presenza in seno ad un discorso critico (vedi «Altri Termini» di Franco Cavallo) o rifiutando una società basata sul capitalismo: ci pare indispensabile pure la contraddittorietà , la messa in discussione di ogni discorso. Un largo contributo, in tal senso, secondo i componenti di «Uomini e Idee», può derivare dalla proposta di linguaggi nuovi, sconosciuti – e per linguaggi nuovi o sconosciuti vada inteso soprattutto il lettrismo, ospitato sul n. 1 della terza serie (aprile 1975) con ampio intervento critico di Laura Marcheschi (La lettrìa: il corpo come strumento estetico) e testi creativi di Isidore Isou, Roberto Altmann, François Dufrêne, Maurice Lemaître, Roland Sabatier, etc. –, né più né meno di quello proveniente dai linguaggi rimossi di un passato non tanto remoto (quale il futurismo, appunto), postulando la realizzazione di una New Babylon.
Questa pluralità d’interventi, di scontri alternativi, continuamente ribaltata per

«determinare il reale possesso del mondo»(15),

attraverso alcune proposte significative (L’uomo come progetto di Corrado Piancastelli; Immagine e forma di Asger Jorn; Discorso sull’identità di Emilio Piccolo; L’intersegno, ovvero ciò che si trova fra il segno e il linguaggio di Alain Roussel; La normalità e la sfida di Piemontese, senza trascurare Note sull’attività estetica, la rivoluzione culturale e i situazionisti di Caruso e Martini) permette a «Uomini e Idee» di affrontare in primis l’egocentrismo di certe operazioni della cultura ufficiale. Sia pure con le innumerevoli difficoltà che una costante posizione avanguardista e sperimentale incontra quotidianamente nei labirinti arrovellati dalle problematiche di una esistenza con lo spettro di un fallimento culturale sempre in agguato dietro l’angolo, s’instaura tra i redattori la convinzione di poter superare l’arte con l’arte stessa, creando l’azione, il gesto su una serie di specifici argomenti, elaborati di volta in volta attraverso la cultura dell’hazard, di un io plurimo in forza a una corporeità e a un’allegoria alchemica del mondo.
Dunque, con la terza serie «Uomini e Idee» si avvia decisamente verso una fase di rimeditazione critica, estendendo

«la portata e il significato del lavoro di laboratorio, verificandone il clima e l’ambiente, a cominciare dalla discussione delle stesse prove e degli stessi esperimenti che si vorranno pubblicare, perché il farsi di una rivista – la quale ha sempre una funzione pubblica – non può riguardare esclusivamente il nucleo redazionale»(16).

Ciò che interessa realmente, smuovendo e allargando gli specifici della letteratura, lo stesso concetto di gruppo, di collettività, scegliendo magari

«nel fuori nulla, (…) la volontà di rimanere ignoti, opposti alla trama aliena del reale-sociale»(17),

è di evitare

«il pericolo del “discorso in circolo” e la faziosità del gruppo chiuso (cosa abbastanza abituale nelle riviste che ancora appaiono in Italia)»(18).

Si prende in esame la precaria condizione della poesia, di una certa poesia, il perché, malgrado le ritrosie che le pullulano intorno, si continua a riproporla fino all’esaurimento, in una società priva di forti richiami e non ancora pronta per ospitarla, per tollerarla, ancor meno per comprenderla:

«Ancora, la nostra azione questa volta si incentra sull’enucleazione e la trattazione di una serie di specifici problemi, che verranno affrontati in numeri speciali, in modo che la redazione si limiterà ad elaborare di volta in volta una linea di lavoro e inviterà quanti vorranno confrontarsi sia con questa linea sia con il problema proposto; questo per evitare il pericolo del “discorso in circolo” e la faziosità del gruppo chiuso (cosa abbastanza abituale nelle poche riviste che ancora appaiono in Italia)»(19).

Ma non c’è risposta (e come potrebbe esserci!): la poesia va accettata per come si presenta, non ci sono formule né etichette per comprenderla meglio. La sua lettura (o comprensione) non dipende dalla forma con cui si presenta ma (a prescindere da tutto) dalla qualità, da una buona poesia (portatrice – sempre – di novità, di mobilità) e da una cattiva poesia.
Se la situazione europea e mondiale è fonte di studio della rivista, quella italiana ha la precedenza. Col secondo numero si tenta, con scritti collettivi, di azzerare il cinema(20) da cassetta per quello sperimentale,

«tramite un rapporto diretto “con la macchina da presa” (…), liberato da ogni incrostazione ideologica e sovrastrutturale voluta dal padrone»(21);

di delineare l’écriture du mythe, di proporre artisti e poeti snobbati dalla critica ufficiale e ignorati dall’industria culturale. È il caso del grande Emilio Villa (del quale già ci siamo ampiamente occupati nel capitolo precedente). Con un numero speciale e coraggioso (nn. 2-4 del 1974, curato da Caruso e Martini, autori anche di un interessante profilo del poeta milanese), che ospita scritti e interventi creativi quasi tutti d’avanguardia, con qualche rara presenza accademica, che vanno da Adriano Spatola (Cosmogonia pubblica e privata in Emilio Villa), uno dei primi lettori di Villa (si veda la pionieristica nota sul n. 2, 1962) di «Bab Ilu», una rivista bolognese da egli stesso fondata e diretta, quella stessa rivista che nel primo numero gli pubblica il poemetto Omaggio ai sassi di Tot) a Leonardo Sinisgalli (Due parole di saluto), un altro poeta legato a Napoli, come dimostra questo testo,
Isidore Isou, Métagraphie Amos, 1952

Citta tolemaica

Si trova Napoli sghemba
eccentrica obliqua, non si sa.
Si riassume in un’immagine la città:
Napoli non si afferra né dal cielo
né da terra. Quanti spettri
operosi, quanti sposi risorti!
Tutti leggeri come morti.
Ci si sveglia tra i dirupi delle pietre,
tra i fiumi dei forni, tra i vapori di aceto.
Si corre dietro lo strepito di una trombetta.
Ogni gesto è un pensiero, il pensiero
della marionetta riflesso nell’eternità.
(questo testo è apparso per la prima volta sulla rivista barese «L’esperienza poetica», n. 5-6 del 1955, edita da Cressati e diretta da Vincenzo Bodini)

nonché una cospicua bibliografia e un’antologia di testi inediti e introvabili (Foresta ultra naturam), prodotti lungo gli anni in cui ha operato il poeta, cioè dal 1936 fino al periodo in cui esce questo numero doppio di «Uomini e Idee», si mette mano al primo riconoscimento collettaneo della grandezza di questo “appartato” poeta.
Intanto, si

«avverte in molti settori della critica (anche marxista) un tendenziale passaggio dalla militanza alla storiografia letteraria, dalle opere di punta a quelle di sistemazione, dagli interventi di rottura ai bilanci»(22),

un ragionamento che ha sempre alimentato gli astrusi discorsi dei benpensanti italici, a salvaguardia di una restaurazione e di un feticismo che s’ingrossano dell’ignoranza altrui. E in questo momento critico della letteratura italiana, in cui più che creare si fanno bilanci, non stupisca il fatto che l’accademia delle lettere abbia sempre rifiutato i fenomeni nuovi, li abbia sempre rimossi, liquidati, derisi come fenomeni da baraccone, messi al bando come se si trattasse di una malattia infettiva. Oltre che “ammutolire” le grandi novità attraverso la storicizzazione e la museificazione (basti citare, nell’ultimo periodo della nostra cultura, i novissimi e il Gruppo 63), alla parola viene ripristinato l’altare sacrale, garantito il banale a copertura di ricatti e giochi di potere al massacro, nonché un misticismo per un nuovo realismo nientificato.
Tutto questo dovrebbe indurre una rivista, specie se d’avanguardia, a rischiare, a mettersi “contro tutti”, cosa realizzabile soltanto quando non ha compromessi da rispettare. Nel caso di «Uomini e Idee», ciò che abbia contribuito al suo “silenzio”, più che un esaurimento delle idee, dei programmi, che pure c’è stato evidentemente, è stata proprio la “sistemazione” di Villa, passata inosservata, caduta nel silenzio, un boomerang che ha sconfortato non poco l’intera redazione(23).
Ancora una volta si predica nel deserto nella moderata Italia letteraria, un campanello d’allarme che preannuncia l’ennesimo esaurimento di un progetto avanguardistico, che può anche starci (non si dimentichi che il successo di un’avanguardia – posto che si possa parlare di successo quando il discorso è imperniato sull’avanguardia – sta proprio nell’esaurimento del suo progetto), ma in questo caso si tratta di un fallimento più che di un esaurimento di progetti.

 

__________________________
(1) Giuliano Manacorda, in Aa. Vv., Il movimento della poesia italiana negli anni Settanta, a c. di T. Kemeny e C. Viviani, Dedalo Libri, Bari, 1979, pp. 76-77.
(2) Ivi, p. 190.
(3) Nato a Napoli nel 1930 dove è morto nel 2014. Ha svolto attività giornalistica e si è occupato di psicologia. Operatore culturale, scrittore, giornalista e critico letterario, ha pubblicato una quindicina di volumi, oltre a monografie e articoli per riviste e quotidiani.
(4) Arturo Fittipaldi, Per manco di penetrazione, in «Uomini e Idee», anno IX, n. 9-12, Napoli 1968, p. 117.
(5) Luciano Caruso, La poesia come gest’azione mentale, in «Uomini e Idee», anno X, n. 18, Portolano ed., Napoli, novembre 1968, p. 132.
(6) Curata da L. Caruso e C. Piancastelli, ibid.
(7) Quelli di EX: G. De Bernardi, M. Diacono, L. Marcheschi, E. Villa; Ana eccetera: O. Bagnasco, M. Balzarro, U. Carrega, C. D’Ottavi, L. Matti, M. & A. Oberto, C. Piola Caselli, E. Ribulsi, R. Vitone; Linea-Sud: L. Caruso, M. Diacono, Luca, S. M. Martini, F. Visco; Tool: V. Accame, U. Carrega, L. Landi, L. Matti, R. Mignani; Marcatré: N. Cagnone, M. Mussio, G. Sandri, G. P. Torricelli, P. Vicinelli; Indipendenti: C. Belloli, A. Braibanti, G. Chiari, G. Coppini, F. De Filippi, A. Schwarz; Geiger: A. Alloatti, M. Bentivoglio, L. Ferro, A. Malavasi, N. Orengo, C. A. Sitta, A. Spatola, M. Spatola, F. Tiziano; Antipiugiù: A. Lora Totino; Ant. Ed.: C. Greppi, G. Fonio, U. Locatelli, A. Spagnoli, W. Xerra; Delta: G. Delconte, R. Natale, A. Rescio; Matrice: A. Accattino, Gioana, Quaglia, Pasinato; Post-novissimi: L. Causa, A. Fittipaldi, F. Piemontese.
(8) Luciano Caruso, La poesia come gest’azione mentale, art. cit.
(9) Ibid.
(10) La busta-contenitore di formato 25×18 cm., contiene interventi, oltre dei curatori, di Enrico Bugli, Carla Cassola, Luciano Causa, Mario Colucci, Ferruccio De Filippi, Giuliano Della Casa, Giuseppe Desiato, Mario Diacono, Françoise Dufrêne, Jochen Gerz, Ugo Locatelli, Laura Marcheschi, Claudio Parmiggiani, Emilio Piccolo, Felice Piemontese, Giovanni Polara, Timm Ulrichs, Pierre Vandrepote, Villa, Gabriele Gallina e Franco Visco autori delle foto.
(11) Jochen Gerz, Pubblic/Azioni…, in «Silence’s Wake», art. cit.
12 Editoriale di «Uomini e Idee», anno XII, n. 23-25, Portolano ed., Napoli, settembre 1970.
(13) A cura di F. Magro, L. Caruso, W. Kaufmann, in «Uomini e Idee», terza serie, anno XVII, nn. 2-4, Schettini ed., Napoli, ottobre 1975. «Affermiamo né più né meno che con la pubblicazione di questo straordinario opuscolo si può considerare segnato il destino della letteratura e delle stesse modalità tradizionali dell’estetica, viene affermata l’importanza centrale e il puro materialismo del fare estetico, e fissata una volta per tutte la sensibilità come unico criterio del mondo…» (ibid.).
(14) La rivista si presenta, dopo la serie con l’editore Portolano (nn. 13-25), con una nutrita redazione (Pietro Pasquale Daniele, Stelio M. Martini, Emilio Piccolo, Felice Piemontese, lo stesso Caruso e Manuela Piancastelli in qualità di segretaria), una nuova veste tipografica ed un nuovo editore, un vero editore (Schettini), «il quale per parte sua ha voluto riservarsi la cura della sezione specifica dell’informazione artistica e della critica d’arte» (Editoriale, in «Uomini e Idee», terza serie, anno XVII, n. 1, Schettini ed., Napoli, aprile 1975, p. 3).
(15) Cfr. Luciano Caruso-Stelio M. Martini, Note sull’attività estetica, la “rivoluzione culturale” e i situazionisti, ivi, p. 92.
(16) Editoriale, ibid., p. 3.
(17) Luciano Caruso-Stelio M. Martini-Franco Visco, etc., Idea per una storia dell’off (kulchur) in Italia, in «Ana etcetera», n. 8, Genova 1969; ora in Aa. Vv., Continuum. Contributi per una storia dei gruppi culturali in Italia – 1966-1976, a c. di L. Caruso, All’Insegna del Sapere, Napoli, 1983, p. 102.
(18) Editoriale, in «Uomini e Idee», terza serie, n. 1, cit.
(19) Ibid.
(20) Per un azzeramento del cinema: … con la macchina da presa, manifesto a c. di L. Caruso, P. P. Daniele, M. Franco, S. M. Martini, E. Piccolo, F. Visco etc., in «Uomini e Idee», terza serie, n. 2-4, cit.; ora in L’impassibile naufrago. Le riviste sperimentali a Napoli negli anni ’60 e ’70, cat. a c. di S. M. Martini, Guida, Napoli, 1986, p. 147.
(21) Ibid. L’iniziativa parte dal “Cinema Altro”, una piccola struttura messa in piedi da Mario Franco e Rosaria Mastropaolo, che diviene «ben presto un polo d’aggregazione per tutta una serie di giovani artisti e critici che tenta[no] nuove strade e nuovi linguaggi, sia per il cinema che per il teatro» (Mario Franco, Cinema sperimentale, in L’impassibile naufrago…, op. cit., p. 151).
(22) Gian Carlo Ferretti, Il mercato delle lettere, Einaudi, Torino, 1979, p. 148.
(23) Gran parte dei redattori (Caruso, Daniele, Martini, Piccolo) confluiranno in un’altra rivista napoletana, «Dettagli», edita dalla Libreria Tullio Pironti: esce un solo numero nel dicembre del ’76 che completa un po’ le tappe lasciate per strada dalle precedenti esperienze. Con una serie d’interventi critici, La rivoluzione futurista (di Caruso e Martini), L’esperienza dell’Italia Futurista (di Maria Carla Papini), Il futurismo in Catalogna (di Anna Maria Saludes i Amat) e una breve antologia di testi (J. Salvat-Papasseit, F. T. Marinetti, T. d’Albisola, F. Cangiullo…), si porta avanti il discorso di ripescaggio, lasciato in sospeso con Emilio Villa, di importanti poeti, artisti, movimenti letterari ingiustamente trascurati dalla cultura ufficiale. Il numero ospita, inoltre, un’indagine sulla poesia visiva, a firma di Lino Centi, Ketty La Rocca, Eugenio Miccini, Lamberto Pignotti…, in particolare in quel di Firenze.

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