ROSSELLA FORLÈ, Mary Cinque, le avventure di un’artista tra Napoli, Addis Abeba, Londra e Los Angeles


Essere artista non è una cosa semplice. Come l’arte può modificare la nostra vita?

Cosa significa davvero essere un’artista? E come viaggiare possa avere un impatto importante sulla visione dell’arte e sul modo che si ha di fruirla.

L’ho chiesto a Mary Cinque, artista di origine napoletana, cresciuta in Etiopia che vive e lavora tra Londra e Los Angeles e che ha fatto del viaggio e dell’osservazione di luoghi e persone, la sua maggiore fonte d’ispirazione.

 

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Come hai iniziato e quando?

La risposta naturale è  da sempre perché da sempre sei un’artista, magari lo scopri dopo, cerchi di diventarlo professionalmente ma artista lo sei sempre. Nel senso che nasci con la vocazione. È un’attitudine che puoi coltivare o meno.
L’ho saputo da sin da piccola e fortunatamente ho una famiglia che mi ha sempre supportato.

Vieni da una famiglia di artisti?

No, mia madre è un’insegnante di francese e mio padre è un geologo che ama dipingere. E da geologo ha sempre usato la pittura, per la ricerca scientifica. Quando sei un geologo o un geomorfologo, disegni gli strati di terra che stai studiando. In molte scienze, il disegno aiuta a visualizzare quello che poi vai ad analizzare.
Mia madre invece, ha un’inclinazione per la letteratura e la scrittura, e questa loro sensibilità, li ha portati da sempre, ad essere genitori convinti che Legge non mi avrebbe portata più lontano dell’Accademia di Belle Arti.

La tua arte non è confinabile ad una nazione precisa. Sei cresciuta tra l’Etiopia e Napoli, hai viaggiato molto e ora vivi e lavori tra Londra e Los Angeles. Parlami un po’ di questa tua esperienza internazionale

Mi piace che tu me lo stia chiedendo e mi fa piacere che la mia arte venga percepita come non confinabile ad un unico stato, forse perché non ho mai capito la nozione di stato e di confine, viaggio da quando ho tre anni e alcune cose per me sono naturali. Sono curiosa di imparare dalle persone del posto, in qualsiasi posto io vada, e questo si riflette nella mia arte. Anche questa è una cosa che mi hanno regalato i miei genitori, viaggiare mi ha insegnato a non dare mai niente per scontato, mi ha insegnato che esistono diversi modi di vivere e di vedere le cose. E la stessa cosa succede anche nell’arte e nel modo di fruirla.
Vivo a Londra da due anni e la mia decisione di lasciare l’Italia, è stata anche legata al modo in cui l’arte contemporanea viene percepita. Vi è ancora una divisione tra arte “bassa” e arte “alta”. A me per esempio, piace molto il design e quando i miei lavori vengono utilizzati per un design set, un poster o una t-shirt mi fa piacere, ma in Italia questo è considerato un modo per ridurre l’arte e ridimensionarla a qualcosa di inferiore. Questo atteggiamento non mi piaceva, posso rispettarlo ma non lo condivido, quindi pensavo, se qui funziona così, semplicemente questo posto non fa per me.

Credi che ci sia una differenza molto grande tra il contesto artistico londinese e quello di Los Angeles?

A Los Angeles ci sono stata ancora troppo poco per poter confrontare ma sono entrambi molto stimolanti. Londra, come ti dicevo, è più aperta dell’Italia, non esiste questa divisione tra arte bassa e arte alta. Non c’è quello snobismo che caratterizza il mondo dell’arte italiana.
Los Angeles è stata per me, un’esperienza ancora più positiva. La trovo ancora più aperta di Londra, forse perché ho trovato con molta facilità e velocità, la possibilità di collaborare e lavorare. Credo sia dipeso dal fatto che a Los Angeles sono andata per due mostre e ho avuto modo di parlare della mia arte, quindi sono arrivata da artista. Mentre qui a Londra sono una persona che lavora e che fa la sua arte, e ci sta che le cose stiano viaggiando a velocità diverse, non credo che i londinesi siano meno aperti.

Credi quindi che in Italia ci sia un modo diverso di approcciarsi all’arte? Abbiamo ancora  una struttura troppo gerarchica che limita la nascita di un contesto artistico contemporaneo stimolante?

Sì, assolutamente, vi è un costante esercizio di potere in ambito artistico. Se pensi che durante il Rinascimento arte, architettura e scultura erano mischiate, creare delle categorie e suddividere l’arte in forme artistiche alte e basse, è solo un modo per esercitare un potere e avere controllo sull’accesso alle stesse.

Los Angeles si sta mostrando una tappa importante della tua carriera al momento?

Sì, da quando mi sono trasferita a Londra, “art1307”, una realtà basata tra Napoli e Los Angeles, fondata dai collezionisti Cynthia & Renato Penna che conoscevano il mio lavoro, mi hanno invitato a partecipare ad una mostra collettiva a Los Angeles, “Here’s looking at you, kid”, una delle mie prime mostre dedicate al ritratto, dove ho portato disegni e tele ispirate alla gente di Londra e ne ho un’altra in programma, “On the edge of History”, il prossimo febbraio.
L’anno scorso sono stata anche selezionata per la “Saatchi The Other Art Fair” che è andata molto bene, ho venduto molte cose. E attualmente ho in programma un’altra mostra, dedicata al caffè, anche questa si terrà a Los Angeles a breve e a Napoli il prossimo maggio. 

Dal tuo percorso sembra che le tue tele cambino costantemente, dove trovi le tue idee?

Per me è più difficile non trovarle le idee, sono costantemente ispirata da tutto. Qui a Londra preferisco viaggiare in bus piuttosto che in metro. Mi è sempre piaciuto moltissimo, perché posso guardare la gente. Mentre in Italia dipingevo molto i palazzi, qui mi sono ritrovata a dipingere e disegnare le persone. La gente mi piace tantissimo e mi piace disegnarla. Mi sembra quasi un crimine leggere un libro o guardare il cellulare, invece di disegnare.
Mi piace guardare il modo di vivere, mi piace guardare le case con le luci accese. Sono bombardata da ispirazioni al momento, forse perché Londra per me è ancora un po’ nuova, ed è come la prima volta che la vedo. 
Un’altra cosa che sto realizzando e che accade a chi esercita la pratica artistica, è come tra la stesura di un progetto scritto e la sua realizzazione, cambi molto. La mia curatrice mi chiede di scrivere il progetto, lo faccio, ma quando inizio a dipingere spesso tutto cambia.
Perché la pittura, il gesto stesso ti porta a sviluppare le cose in modo diverso.
Sto iniziando a lavorare al mio prossimo lavoro dedicato al viaggio, come dimensione personale e universale, dall’Africa attraverso l’Italia, l’Inghilterra e l’America.
E mentre dipingevo mi sono venute in mente le bandiere, da lì ho iniziato a usare il giallo e il rosso e poi ho pensato, se ci aggiungo il verde viene fuori la bandiera etiopica, se tolgo il giallo e metto il bianco quella italiana, così ho deciso che utilizzerò queste quattro bandiere, come sfondo delle tele. È stato un accidente stilistico ma anche simbolico, ed è venuto fuori mentre dipingevo.

Il linguaggio con cui ti esprimi maggiormente è la pittura, qual è la tua relazione tra l’opera e le mostre?

La pittura è il mezzo con cui mi esprimo e le mostre sono per me un momento di dialogo e di successiva riflessione. Delle mostre mi piacciono le domande, soprattutto quelle critiche, perché mi permettono di mettere in dubbio quello che faccio. Le trovo fondamentali, funzionali a creare un dialogo con l’osservatore, se non ci fosse questo scambio, non avrebbe senso per l’artista esporre, potrebbe esporre e poi distruggere, dar fuoco al proprio lavoro.

Cosa consiglieresti ad una ragazza che ha già capito di essere una pittrice?

Le consiglierei di forzarsi a fare cose le che non le piacciono, rimprovero a me stessa di essere stata troppo timida, troppo riservata. Ho pensato per lungo tempo che il gallerista mi sarebbe venuto a cercare a casa, forse complice anche l’educazione italiana. Ovviamente non è cosi. Fu un mio professore a dirmi che dovevo credere in me stessa, andare a vedere le mostre degli altri, per creare contatti e propormi, iniziando a parlare del mio lavoro. Ma non è facile.
Insomma il consiglio è credere in se stessi, perché se non lo fai tu, chi lo fa? E darsi molto da fare. Fare tutto il possibile.

Quindi alla te ventenne oggi cosa consiglieresti?

Direi, Mary devi essere meno critica, quindi mi sforzerei a mostrare di più il mio lavoro. Mi sforzerei a parlare di me e della mia arte, perché come artista ho una responsabilità che è quella di stimolare nelle persone un dialogo. Prima mi limitavo a organizzare una mostra, oggi alle mie mostre parlo della mia arte e infatti sto vedendo che le cose stanno cambiando e mi si sto aprendo a maggiori opportunità.

(L’intervista è già apparsa sul blog londinese “We Hate Pink”, una community di donne che promuove la parità di genere nell’industria creativa e tech, gestito da Rossella Forlè).


Biografia di Rossella Forlè


 

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