FRESCHI DI STAMPA
PREFAZIONE
Quella di Prisco De Vivo è una poesia raccolta dalla possibilità della speranza nella malattia.
Si può ancora sperare quando il cervello è in tutte le sue parti ferito?
Non si può far luce della vita di ogni giorno, ma di un’altra vita, di un altrove da dove spunta l’atto di creazione.
E qui c’è la follia che nel tempo rende flaccide le menti e la follia che esplode come una genesi, come un’apparizione veterotestamentaria, in tutta la sua rigidezza.
Se da un lato c’è lo zio internato e forse sdentato, senza più le forze della gioventù, colpito a vita nell’invisibile, dall’altro c’è una slavina di dediche ad autori su cui la stimmata della follia si è impressa come la falce della morte, come il segno rupestre, il grumo incancellabile, una piaga da cui sgorgano cipressi alti e scossi come fiamme nel caso di Van Gogh o fantocci sul proscenio del teatro “Alfred Jarry” messo su Artaud per creare spavento, sussulto nello spettatore.
Uno spavento che nei versi di Prisco si evidenzia come Gabriele, colui che annunciò.
Il legame tra follia e religione passa attraverso la visionarietà, l’implorazione, il misticismo delle sante che in questi versi appaiono come spettralità immanenti nella stanza del dispotismo di Sylvia Plath, a cui l’autore sembra essere molto legato.
Metafore liturgiche, sacramentali. Candelieri e oggetti votivi o talismani di crisalidi per scongiurare il precipizio senza restituzione di Orfeo.
Ma è più presente la metafora biblico-cattolica che quella pagana.
Non appare il sentimento della colpa, ma la bellezzadella sensualità nell’abbandono. Prisco resterebbe per ore ad ammirare la Teresa d’Avila del Bernini o i versi di Hölderin, che chiuse a chiave la sua mente nella Torre di Tubinga quando cominciò a farsi afasia, assenza di lingua.
In Prisco De Vivo il linguaggio scarno e variegato si adegua alla forma epigrammatica.
Non è un elogio della follia, ma un voler guardare più a fondo nel vortice, dove presenze infere si illuminano a vicenda e non tutto resta avvolto nell’assoluto del buio (Alfonso Guida).
NOTE DI LETTURA
Caro Prisco ho letto i tuoi versi. Sono come stracci bagnati con dentro pietre grezze. Ci sento una sensibilità a me congeniale. Anche i disegni mi hanno fatto questa impressione: lacerati e vitali. È vero che devi avere sofferto, ma nel dolore hai trovato una luce (Eraldo Affinati).
* * *
Caro Prisco il tuo lavoro “Il lume della follia” mi ha colpito molto per quel suo situarsi con decisione sul piano di un “neoespressionismo” assolutamente originale nonché passato al vaglio delle avanguardie. Ciò che dico vale anche per le splendide tavole che accompagnano il testo. Dalle edizioni di Franco Forte sempre novità degnissime (Sergio Lambiase).
TESTI
DAVANTI AL CANCELLO DI CASA
Quanti occhi spenti e grumosi
rivedrò risplendere nel buio?
Immagino di danzare su strade bagnate
con l’umiltà e il desiderio
di fluttuare come una piuma.
In questa malinconia
mi sento accarezzare
la nuca da una fragile Santa.
Sono fermo davanti al cancello di casa.
Ecco che arriva il vento
e gli alberi si chinano alla mia ombra.
7 giugno 2017
IL COPERTINO GIALLO
Nella buia stazione: fiori di stracci.
Un copertino giallo
copre una donna ulcerata
un piccolo corpo
di cisti e verruche.
Le mie ossa s’incollano alla ringhiera.
NELLE FREDDE MATTINE
Nelle fredde mattine
cresce in me
un immenso canto caduto.
IL LUME DELLA FOLLIA
Mi confessai alle vostre incredulità.
Gli amici della sera
mi derisero tutti
appendendomi crani e rosari d’osso al collo.
Con infinita dolcezza
tra gli sputi delle abiure
attesi nell’alba
IL LUME DELLA FOLLIA.
25 Luglio 2002
METAMORFOSI
a Franz Kafka
Il mio occhio perverso amplifica i sensi
come il fondo del suono di un piano
I miei pensieri si disegnano
filiformi e lenti
negli occhi verdi
di una santa.
Non sento in bocca
il sapore della ciliegia
guardo con nostalgia
questo mio corpo consunto
e fragile
che germoglia rami e foglie di sale.
CÉLINE
Da una vecchia foto sporca e oleata
riconosco Céline
stanco sprofonda
sul sofà della poltrona.
Lo spiluccato cane
gli riporta
il suo osso rancido
tristo e maleodorante.
I colori della notte
mi fanno pensare
ad una fiammella
che accresce
sulla sua testa.
RETICOLI INFINITI DI LINEE COLORATE
Davanti agli occhi fragili
ed inespressivi del barbiere:
La follia.
Le forbici spuntate dell’apprendista
mi tagliano capelli di lana
alla nuca.
Alla mente
reticoli infiniti di linee colorate.
10 Maggio 2002
DA UN URLO SOTTERRANEO
Da
un
urlo
sotterraneo
provengono le ferite di questi uomini
urlo che lacera passi
urlo che fracassa
frattura
sfonda
urlo dalla finestra delle stazioni
dalle fogne
dal buco del lavandino
Guardo in bocca ai malati che
rompevano con i denti
i vetri delle strade
dalle loro fauci
sbucano fiori di colore vermiglio.
8 Luglio 1999
TRASFIGURAZIONE
Sono anni
che non mi soffermo più
sull’opalescenza dei fiumi.
Come codardo cane
(non riesco a sfregiarmi la bocca)
a svuotarla da un’infinita inutilità.
Voglio nullificarmi
davanti ad antichi portoni
con i piedi bagnati
e la mente ulcerata
dai desideri.
Voglio diventare un tronco d’edera.
Maggio 2001
RETICOLI INFINITI DI LINEE COLORATE
Davanti agli occhi fragili
ed inespressivi del barbiere:
La follia.
Le forbici spuntate dell’apprendista
mi tagliano capelli di lana
alla nuca.
Alla mente
reticoli infiniti di linee colorate.
10 Maggio 2002