PRISCO DE VIVO, Dello scrivere di me stesso e dei poeti


I poeti feriscono e sono feriti, quindi sono in pericolo.

Essi sono chiamati alla salvezza solo quando fanno poesia.

La poesia in fondo non esiste, esistono i poeti, quindi salviamo i poeti, da chi e da cosa?

Dai creativi, dagli assessorati alle identità, dalle associazioni culturali, dai trovarobe, dagli operatori visivi e visuali, dalla politica culturale, dalle letterature di consumo, dai poeti stessi e da non so che cosa.

Allora mi domando, io chi sono se non un poeta? Forse un poeta/pittore, che meglio mi si addice, ma in fondo son un minato o illuminato?

Poi da chi e da che cosa? Dall’eterno di sicuro.

Qualcuno tempo fa mi ha tediato lasciandomi dei foglietti sulle scarpe, diceva leggendo da un giornale: «Devo dire preferisco i poeti agli artisti perché sono vicini alla follia…».

Perché? gli domandavo con nervosismo. «Perché Omero cercava di guardare il sole, Catullo si è tagliato il pene e lo ha buttato via. Empedocle è salito sull’Etna e si è buttato dentro. È qualcosa di ben diverso di affrescare chiese».

Allora ho pensato è così anche per me? L’arte non si dice si fa.

Come qualche poeta mi ha insegnato è questo il concetto.

Io son un pittore che scrive, che a furia di amare i poeti è diventato tale.

Quindi i veri poeti sono malati, sono quelli che ritrovano tutto e sempre anche quando distruggono.

In effetti, io non scrivo se non voglio scrivere, mi metto a dipingere, ad ascoltare musica o a giocare con la mia nipotina.

Come Cioran, di certo, so di scrivere solo quando sono esasperato, in uno stato di alterazione, in una condizione estremamente esplosiva. (p. d. v.)

 

* * *

 

COLETTE

                                            a  Felice  Carmine  Simonetti

 

Osservo la bruna foto di Colette.
Mi ricordo dei 13.000.000
di stelle luccicanti
e i suoi occhi.
Da ieri ad oggi
Liquide strade di sempre
ci conducono
nel cuore delle incertezze.
Colette,
severa maliziosa puttana
ti incontro sempre di notte
allo stesso inconfondibile Bar.
Caro a Felice
l’abissale poeta col suo doppio.

 

 

LIETA  PRIMAVERA

                                              a  Remo Pagnanelli

 

Il sangue del gallo
cola copioso
sulla veste monocroma
di fiori svescicati.
L’anima d’amore,
di memoria familiare
ritorna nello stomaco
del mio piccolo cane.
Tappeto di carne e peli
che s’infeltrisce
al sole e alla sua erba spocchiosa.
Il vento
è una carezza tiepida di lanugine
rinfrange sui miei occhi arrossati.
Lieta primavera
quella spenta nell’odore dei colori,
quella spenta dell’amico Remo,
quello mai conosciuto.
Il suo ricordo
pascia attraverso racconti di amici poeti,
si dice che con lui sia vissuto
“il senso dell’inappartenenza ai fiori”,
alla carne,
ad una vita infarcita di delirio.

1 Maggio 2004

 

 

GLI OCCHI DEL CUORE

                                              a Lucia Dell’Anno

 

Dedico le mie fragili parole
agli occhi
di chi conosce veramente il cuore
degli uomini,
alle sue pulite e dolci lacrime
versate agli asfalti.
Il mio occhio pensa a te,
al suono dei tuoi stenti
alle  tue  privazioni.
Ti penso ridente e sofferta,
quando cammino sulle spiagge
e recupero conchiglie sfrangiate
che stringo nel pugno delle mani.
Penso alla stazione fantasma
del paese di mia madre
a quel treno che non passa mai,
ai cespugli sulle rotaie,
a quel puzzo intenso di pneumatici
che comunque ti appartiene.

 

 

ACHERÒNZIA

Mi fermo sulla soglia
del mio cancello

la notte nelle assolute e
desertiche “assenze”
mi accoglie scaraventandomi
su radici a me profonde.

Nel silenzio so riconoscere
gli umori di una materna presenza
e lì mi guarda e non si
sposta dai gradini.

Sul letto c’è il mio pigiama
e una bianca pezzuola

Il cane con le sue lunghe ombre
si avvicina a me
soffice lana che si strofina
alle mie gambe.

“Ha visto Acherònzia
posarsi sul suo musetto
è consolato da quell’indescrivibile
presenza.

 

 

OFELIA

Per un bel morire non si è mai dolci
e evanescenti
Ofelia?
Nella fredda acqua
di piscina melmosa
c’è il tuo pallore.
La tua bianca carne
che non gonfia.

 

 

SHARON

Sui tanti sputi
piangevi
murata al vento.
Nel buco di lustrate orecchie
scivolava la tua lingua
le mani si appoggiavano ai crani
a robuste patte dei pantaloni
silenziosa impermeabile al piacere
ascoltavi
“Ihre Menschlichkeit
und die Zigarette meiner Finger”.

12 Luglio 1999


Biografia di Prisco De Vivo


 

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