PIERO ANTONIO TOMA, “Non ritorni” di Antonio Spagnuolo

 


Non sempre, ma qualche volta mi chiedo a che cosa e a chi serve la poesia. Scartando l’ipotesi più ovvia, quella cioè che la poesia serve a chi la scrive per vanità, per farsi bello, per darsi delle arie, senza poi pensare che, ora come ora, in certi ambienti anagrafici la poesia suscita più un’alzata di spalle, se non di peggio, e perciò andrebbe subito scartata l’idea di una poesia che in genere possa interessare chi ha trent’anni o giù di li. In un’epoca come questa sembra proprio che essa non vada più di moda e non serva a nessuno e a niente. Cosa volete che ce ne facciamo della poesia noi adusi a non perdere tempo tra sms, twitter, facebook, ipad e whatsapp? Ma questi discorsi che sembrano nati oggi sulla presunta superfluità della poesia, sono nati da quando la società, dopo la rivoluzione industriale, ha cominciato a correre e le civiltà nate sulla rive del Mediterraneo sono state spodestaste dall’emergere dei paesi del Nord. Non voglio farvela lunga per dirvi subito che davanti a queste poesie di Antonio Spagnuolo il nostro nichilismo deve arrestarsi.

Intanto la poesia serve ad ognuno di noi quando subiamo una perdita incolmabile. E questi versi sono la più alta ed esaltante prova di questa affermazione. La poesia, questa poesia, elabora e metabolizza la perdita, la mancanza, il lutto, la dipartita della persona amata. Come se il veleggiare delle parole sprigionasse l’effetto di dilatare o di accorciare il tempo, a seconda dei casi e dei versi e del nostro stato d’animo.

La poesia rievoca, lancia ponti verso la memoria, attualizza i ricordi. La poesia ci fa compagnia, è come un solitario con le carte che ci riconcilia con noi stessi, riempie i nostri vuoti, le lunghe ore di solitudine e i tormentati dormiveglia durante i quali la vita sembra assopirsi nella morte. La poesia colma l’assenza del bene. La poesia fa da lievito alla nostra capacità di ri-stare nel mondo. Inno alla sopravvivenza se riesce a occupare le terre di confine del nostro eremo. Soprattutto ‒ e questa è anche la magia di questi versi di Spagnuolo ‒ ci apre l’uscio del dialogo con chi non c’è più. Grazie a loro lei ritorna, ci basta avvicinare il cuore alla mano e la mano alla mente e lei è davanti a noi, è dentro di noi, una Euridice e un Orfeo che rimangono insieme grazie all’incantesimo del verso.

Questo è il contributo, non privato ma universale, che produce questo bellissimo e doloroso poetare di Antonio Spagnuolo. Ma certe volte la musica si ritorce contro la poesia, la solitudine prende il sopravvento, il distacco assume proporzioni che tolgono il respiro. Possibile che la vita in questi momenti abbia un peso cosi soverchio quasi da volersene disfare? «Il poeta ‒ come osservava Josè Ortega Y Gasset ‒ comincia dove finisce l’uomo».

 

Antonio Spagnuolo
Non ritorni
Edizioni Robin, 2016, pp. 120

Biografia di Pier Antonio Toma


 

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