PAULO LEMINSKI, Cancellando l’espressione dell’Io (introduzione e traduzione dal portoghese di Sergio Pasquandrea)

Ho scoperto per caso il nome e la stessa esistenza di Paulo Leminski (1944-1989). Del resto, a quanto ne so questo poeta è del tutto ignoto in Italia e mai tradotto nella nostra lingua.

Poi, tre anni fa, una persona mi ha riportato in regalo, dal Brasile, un libro con l’opera omnia (Toda poesia, Companhia Das Letras, São Paulo, 2013). E io me ne sono innamorato.

Leminski non è una personalità facile da incasellare. Spesso è incluso fra i rappresentanti della poesia concreta, quel movimento d’avanguardia che negli anni Cinquanta e Sessanta, in Brasile (e anche in Svizzera, pensate un po’: e non chiedetemi che cosa c’entrino) cercò di rinnovare il linguaggio poetico cancellando l’espressione dell’Io, introducendo sperimentazioni grafiche e tipografiche, giochi linguistici e metalinguistici.

Leminski è stato anche avvicinato al gruppo (di cui in realtà mai fece parte) dei poeti marginali, che rifiutavano la grande distribuzione e producevano da sé i libri che poi si passavano di mano in mano.

Leminksi, comunque – dicevo – non è facile da classificare. Se alcuni suoi libri adottano le sperimentazioni del concretismo, in lui c’è una vena più colloquiale, ironica, unita a un’apertura verso altre forme d’arte, prima fra tutte la canzone. Negli anni Sessanta stava nascendo in Brasile il tropicalismo, e Leminski ebbe modo di collaborare con Caetano Veloso, Gilberto Gil e Tom Zè. Usò spesso la forma dell’haiku.

Qualche rapido cenno biografico: nacque a Curitiba, nello stato del Paranà, da famiglia polacca, e studiò a San Paolo in un convento di benedettini. Si interessò di poesia, traduzione (parlava fluentemente francese, inglese, spagnolo, giapponese e conosceva bene il latino e il greco), critica letteraria, storia, e fu anche cintura nera di judo. Nel 1968 sposò la poetessa Alice Ruiz, che gli restò accanto per vent’anni.

Morì a quarantatré anni, di cirrosi epatica.

E, per finire, un avviso ai lettori: la poesia di Leminski è sempre metalinguistica. Gioca con il linguaggio, con le rime, i cortocircuiti del senso, spesso con la stessa forma tipografica della pagina. Ho cercato di conservare, in traduzione, almeno un’ombra della musicalità originaria, a volte forzando un po’ il senso letterale; ma consiglio, anche a chi non conosce il portoghese, di leggere sempre il testo originale.

* * *

Fechamos o corpo
como quem fecha um livro
por já sabê-lo de cor.

Fechando o corpo
como quem fecha um livro
em língua desconhecida
e deconhecido o corpo
desconhecemos tudo.

 

Chiudiamo il corpo
come chi chiude un libro
perché lo sa già a memoria.

Chiudendo il corpo
come chi chiude un libro
in lingua sconosciuta
e disconoscendo il corpo
disconosciamo tutto.

*

os dentes afiados da vida
preferem a carne
na mai tenra infância
quando
as mordidas doem mais
e deixam cicatrizes indeléveis
quando
o sabor da carne
ainda não foi estragado
pela salmoura do dia a dia

é quando
ainda se chora
é quando ainda
se revolta
é quando
ainda

 

i denti affilati della vita
preferiscono la carne
della più tenera infanzia
quando
i morsi fanno più male
e lasciano cicatrici indelebili
quando
il sapore della carne
non è stato ancora guastato
dalla salamoia del giorno per giorno

è quando ancora
si piange
è quando ancora
si rivolta
è quando
ancora

*

quem é vivo
aparece sempre
no momento errado
para dizer presente
onde não foi chamado

 

chi è vivo
appare sempre
nel momento sbagliato
per dire presente
dove nessuno l’ha chiamato

(da Quarenta clics em Curitiba – 1976. Libro d’esordio di Leminski, in cui quaranta brevi poesie erano abbinate ad altrettanti scatti fotografici).

 

* * *

a orecchio

diviso
tra il vero e il vetro
dubito

*

sillaba
me
parola
senza fine

*

luna nell’acqua
(luna nell’acqua)
qualche luna
(acqua)
luna alcuna
(luna)

(da Caprichos, 1983)

 

* * *

Aviso aos náufragos

Esta página, por exemplo,
não nasceu para ser lida.
Nasceu para ser pálidam
um mero plágio da Ilíada,
alguma coisa que cala,
folha que volta pro galho,
muito depois de caída.

Nasceu para ser praia,
quem sabe Andrômeda, Antártida,
Himalaia, sílaba sentida,
nasceu para ser última
a que não nasceu ainda.

Palavras trazidas de longe
pelas águas do Nilo,
um dia, esta página, papiro,
vai ter que ser traduzida,
para o símbolo, para o sânscrito,
para todos os dialetos da Índia,
vai ter que dizer bom-dia
ao que só se diz ao pé do ouvido,
vai ter que ser a brusca pedra
onde alguém deixou cair o vidro.
Não é assim que é a vida?

 

Avviso ai naufraghi

     Questa pagina, per esempio,
non è nata per farsi leggere.
     È nata per essere pallida,
un mero plagio dell’Iliade,
     una cosa taciuta, foglia
che torna sul ramo,
     molto dopo la caduta.

     È nata per essere spiaggia,
chissà Andromeda, Andartide,
     Himalaya, sillaba malinconica,
è nata per essere ultima
     a chi deve ancora nascere.

     Parole portate da lontano,
per le acque del Nilo,
     un giorno, questa pagina, papiro,
finirà per essere tradotta
     in simbolo, in sanscrito,
in tutti i dialetti dell’India
     finirà a dire buondì
a ciò che si dice solo in segreto,
     finirà per essere il greto
dove il bicchiere si è infranto.
     Non è così che va la vita?

(da Distraídos venceremos, 1987)

 

* * *

     um homem com uma dor
é muito mas elegante
caminha assim de lado
como se chegando atrasado
andasse mais adiante

carrega o peso da dor
come se portasse medalhas
uma coroa um milhão de dólares
ou coisa que os valha

ópios éden analgésicos
não me toquem nessa dor
ela é tudo que me sobra
sofrer vai ser minha última obra

 

     un uomo con un dolore
è molto più elegante
     cammina svicolando
come se indugiando
     si portasse avanti

     porta il peso del dolore
come se portasse medaglie
     una corona dollari a migliaia
o qualcosa che valga

     oppiacei eden analgesici
non mi toccate questo dolore
     quando tutto il resto scema
soffrire sarà la mia opera suprema

(da La vie en close, 1991)


Biografia di Paulo Leminski 

Biografia di Sergio Pasquandrea


 

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