MIMMO GRASSO, Ho piantato ortensie: sette poesie inedite


Dichiarazione di poetica in forma poetica

caro, mi scrivi che sono datato. / beh,  non sono mai stato nella schiera / nelle avanguardie postume. / mi definisci  «classico»  mostrando / un sorriso da protesi. la classis, / per quanto ne so e intendo, / pretende i veterani, gente esperta / adatta a sostenere in prima fila / l’urto ed il corpo a corpo con l’umano. / sono uno buono solo per costruire / la muraglia cinese ed i mattoni / li unisco con lo sputo. non mi vanto / di dichiararmi ostile a ogni potere / ma sculettando ai premi letterari / né scrivo teogonie agliuommerate. / taccio se proprio il nulla devo dire / né parlo di poesia perché la pianta / esiste prima dell’agricoltura. / la vocazione? fare il palo ai versi. / la poetica? starmene nascosto. / se brucio le poesie non grido «al fuoco!» / convocando i pompieri e la tv / (in questo sei datato tu, non trovi?). / pubblico q.b. perché sono / poeta a tiratura limitata / e preferisco (Valéry) esser letto / cento volte da uno che una volta da cento. / io sono un patafisico e, in più, napoletano: / ogni segno è una carta da tressette: / se tu bussi, ribusso; se dò carte / stà certo che rimani piombo a oro. / caro sosia, è l’uguale che divide: / tu vuoi capire come scrivo «cazzo» / ed io sapere  – tie’ – che cazzo dici (m. g.).

 

* * *

 

i sonetti di foscolo li ho scritti io.
virgilio mi ha copiato le georgiche.
octavio paz ha dato al suo tipografo
la copia delle bozze del mio libro.
sto rimettendo a posto poesie in portoghese
lasciate in un baule. ne suggerisco una
col titolo lunghissimo alla bella quingzao
ambientata in un canto (raccomando
di tradurre  “gerani”  con “gerani”,
non come l’altra volta che mi ha piantato “ortensie”
mettendo il verso un po’ fuori stagione).
ho un volo prenotato per duino.
mi devo ricordare di spedire
al dr. eucalyptos, new haven,
le incisioni che avella e sgambati
fanno al fischio del merlo che apre aurore boreali.
non ho fissa dimora ma ho molti indirizzi.
sosto assai spesso a napoli,
in via santa teresa c/o ranieri
e ho un codice fiscale: LPRGCM98H29H211C.
puzzo, ho la scabbia, divoro sorbetti
e di notte pretendo i maccheroni.
non sono folle. folle è chi si crede
napoleone. io sono tutti gli uomini.

 

*

la mano che manovra la mia mano
ha centomila pollici. la mano
ha il mondo in pugno. se apro la mano
il bosco – ecco – perde le sue foglie.
è la mano che afferra al volo l’ah!
di meraviglia e che ogni mattina
fa il primo gesto: aggiusta i miei capelli
per rimettere in ordine i pensieri.
è una mano che in tutte le maniere
mi dà una mano, fa ombre cinesi
quando mi prende la malinconia.
più veloce dell’occhio, questa mano
fa giochi di prestigio con le carte
o mi soffia parole o è sordomuta
ma se impone la mano sulla spalla
fa il miracolo: divento loquace.
questa mano ammanetta la mia ombra,
misura palmo a palmo i miei maneggi
ma è una mano che subito si stanca
quando disegna nodi sulla sabbia.

 

*

accadde come accade
un dunque od un allora
≈ conoscevo
il posto. nelle tasche
un ricordo di freddo
(forse un mazzo di chiavi od un lucchetto).

camminando (così credo) cammino.
l’udito all’erta al minimo segnale:
il battito del cuore di una lepre,
l’usta del lupo, l’eco della volpe
che grida solo prima di morire.

un fossile di suola dentro il fango.

un monaco sordo
mi seguiva appoggiandosi al braccio del sonno.

un m’mm da exultet, lo sbadiglio
di nebbia incerta o, così pare, incerta.

l’assenza di vento scolpiva
piccolissimi rombi sulla roccia.

quattro pescatori setacciano un lago
con reti negative. annuivano al mio «no».

un’acqua pentita. sulla riva,
una ragazza (i suoi occhi attraevano
l’arancione ossessivo di un ronzio) ≈

stavo dentro i miei sogni da manuale;
sono lì per un compito: braccare,
usare i miei richiami, aspettare, puntare
‒ tra me e la preda ‒  il nulla

 

*

un dì il gallo si disse: «posso volare. ho le ali».

fece migliaia dicalcoli e disegni,
elaborò la formula perfetta
e progettò la rotta del suo volo

disse le sue orazioni e, ad occhi chiusi,
si buttò da un muretto. cadde a terra

di culo, starnazzando (sghignazzo
del pollaio, applausi e richieste di bis).
tra gli uomini il poeta
a volte è come l’albatro,
le prince des nuées qui se rit de l’archer,
a volte come il gallo col culo indolenzito
che fa ridere i polli,
bipede cionco coi piedi per terra,
uccello senza volo

 

per edoardo sanguineti

«raccomando ai miei posteri un giudizio distratto
per una fine molto quotidiana e da quotidiano.
mi sognavo simile a un hoffmann in delirio
e sono il quasi sosia di un mediocre comico inglese.
sono di un ottimismo catastrofico,
sono un chierico rosso e me ne vanto.
morire, adesso, non mi serve
(morire è troppo frivolo per me, in fondo).
crai e poscrai non obietto niente
in questa eternità del nostro mai
considero la poesia uno sguardo vergine sul mondo
ma la chiarezza è come la verginità:
la puoi capire solo se la perdi.
farò allora cucù e curuccuccù:
cascato è il cavo cielo e la cometa
creste di cotte croste è cruda creta
cecato mi è il colòn cacato il cazzo
chiudi ’sta cantilena can cagnazzo.
passo e chiudo»

 

alla vela latina

a lungo ho navigato per il mare degli enti
inseguendo l’istinto della vela
adatta a calcolare ipotenuse, il vento
che scrive sulle rocce il suo “chi sono”.
le voci di sirene della siria,
il rib-rob-roab di scilla e cariddi
non furono più alte del suo canto.
cirripedi e molluschi hanno la tana
nel suo mutismo. da lei ho ereditato
scocca antenna scarroccio. ora sta lì
priva di scotte e drizze, legamenti,
arrotolata in quiete d’incerate.
lo scafo ha perso la deriva ad ala.
sono tornato all’essere, ben saldo
e coi piedi a terra –  tra noi soffia
un’intesa leggera e ora mi devo
zavorrare le tasche di paura
per non volare.

 

a mio padre cosma damiano daniel

l’attestato di buon servizio, la croce di guerra,
la foto di famiglia (catanzaro, via scalfaro.
abbiamo tutti in mano la granita di mandorle.
lui è orgoglioso per aver comprato
la coppola che ho in testa, un ricamo a mia madre,
i sandaletti nuovi a elisabetta.
è alto, biondo – una vena normanna, siciliana).
c’è il foglio militare dell’inglese che uccise a el-alamein,
lo scapolare coi santissimi cosma e damiano.
qui, dentro questo astuccio, aperto solo
quando l’ebbe in regalo dai colleghi,
la penna stilografica di marca.
in ordine, nuovissime, pagelle della scuola
e pagelline dei parenti morti.
una pietra di allume. un vangelo
(il dorso riparato con la colla di pesce
e, commentato dalla sua grafia
prefettizia e scolastica), il “discorso
della montagna”, tutto sottolineato.
la mia medaglia ai giochi studenteschi.
la treccia di rosaria e il dente che luigi
perse giocando a calcio. medicine
mai utilizzate. perché stanno qui?.
pochissime cose, il tutto-qui di una vita
messo dentro uno scatolo di scarpe.
per lui morire era andare in congedo
illimitato. lo vedo che si copre
la faccia col lenzuolo: ha vergogna
di dare fastidio e sa che il fiato
gli puzza di grisou. poi, sottovoce,
«almeno questa volta mi obbedisci?
il nome dell’inglese mettilo accanto al mio.
siete nati perché un fucile fu più veloce di un altro».
questa è l’eredità, figlio. ecco: prendi
la stilografica e che l’asciutto pennino
compili l’attestato di buon servizio,
il tutto-qui mai scritto.


Biografia di Mimmo Grasso


 

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