MAURIZIO SPATOLA, Il martello di Faust di Giacomo Bergamini

(Con questa breve nota di Maurizio Spatola al volume Il martello di Faust, vogliamo ricordare il poeta Giacomo Bergamini. La scelta dei testi poetici è nostra)

* * *

Dopo la drammatica morte, su cui resta un alone di mistero, una cappa di silenzio è scesa sul geniale e “irregolare” poeta vicentino Giacomo Bergamini (1945-2004), autore discontinuo, talora volutamente oscuro, emotivamente coinvolto nella ricerca di nuove frontiere per la poesia e l’arte, fra riviste alternative, piccoli editori a volte umorali e frequentazioni alcoliche. Questo documento, impregnato sulla riproduzione integrale della sua raccolta di versi Il martello di Faust, pubblicata nel 1983 come supplemento al numero 33 di «Tam Tam» con la prefazione di Adriano Spatola, si propone di rompere, almeno in parte, quel silenzio, contribuendo ad approfondire la conoscenza di uno scrittore immeritatamente dimenticato: un prezioso contributo mi è stato fornito in questa direzione dall’amico genovese di antica data di Bergamini, il poeta e scrittore Elio Grasso, che ben conosco e che ringrazio, cui sono giunto attraverso la dedica di questo libro a lui destinata in esergo dall’autore. Dalle poesie e dalle prose, ma anche da alcune lettere inviate all’amico genovese emerge, di Giacomo Bergamini, la personalità complessa, in cui si intrecciano pungente ironia, curiosità intellettuale e spessore culturale, sregolata voglia di vivere unita a un pessimismo autodistruttivo percorso da una crisi identitaria: secondo Grasso, il nero che era in lui, «l’inferno che lo attraversava», trasmesso inconsciamente sulla carta con l’inchiostro rosso della sua macchina per scrivere portatile, una vecchia Antares. L’origine del “male oscuro” di Bergamini, si nasconde, forse, in un’infanzia e un’adolescenza difficili e nei tormentati rapporti con il padre e i familiari: così almeno sembra trasparire da alcune di queste lettere e soprattutto da due brevi prose, quasi pagine di diario, qui riprodotte, pubblicate postume sui numeri 80 e 82 (2010 e 2011), della rivista veronese «Anterem», fondata da Flavio Ermini e dallo scomparso Silvano Martini, periodico letterario di cui Bergamini è stato a lungo collaboratore. Fra il materiale inviatomi da Elio Grasso compaiono qui, oltre ad alcune lettere dell’amico Giacomo, una foto inedita, una sua recensione a Il martello di Faust, datata 1983 ma rimasta nel cassetto, nonché una copia della prefazione di Gio Ferri alla prima raccolta di versi di Bergamini, Hiatus (con relativa dedica in versi all’amico Elio), edita da Anterem nel 1980: un testo, quest’ultimo, di difficile lettura per i non addetti ai lavori ma egualmente utile a indagare la scrittura “disubbidiente” del poeta vicentino. Questo ricco documento è completato da un’altra recensione al libro qui riprodotto pubblicato sul numero 36/37 di «Tam Tam», del 1984, a firma di Guido Savio e da cinque poesie di Bergamini apparse su altrettanti numeri della rivista torinese «Offerta Speciale» fondata nel 1979 da Carla Bertola e Alberto Vitacchio e tuttora attiva: composizioni che s’innestano nel filone della ricerca sperimentale di nuovi linguaggi poetici assai vivaci in quegli anni e da Bergamini perseguita per tutta la vita. Non posso però esimermi dal ricordare che l’analisi più consona e anche più “malleabile” mi appare (ma non sono un giudice imparziale) quella leggibile nella prefazione alla raccolta qui proposta firmata, manco a dirlo, da Adriano Spatola, autore anche della prefazione a una seconda raccolta di versi di Bergamini, Il silenzio e il suo doppio, edita da Tam Tam nel 1986. Buona consultazione.

 

*

Lingua cavata

il verso viene frugato
esposto alla menzogna
e sprofondato
nella sua figura

l’azione si coglie dopo
le implicazioni del verbo
con tutti i segni allargati
sulla lingua che ciondola
tagliata

 

 

Sul test più ornato

il pazzo è già passato
gli almanacchi uscendo
le maschere dimenticano
e con le grida rimano
un aprile
altri rincorrono il sole
quasi sciacalli a festa

le labbra
all’aria stanca
vai risanando
e i gesti
i più deserti
ma intanto togli
dai sogni indizi
e infami
equivocando

e lo dici asciugandoti
la lingua
con la voce
a labbra chiuse
quasi gridassero
tra le cosce
vieni
sul test più ornato
di nomignoli
e di pose

(da La malattia delle parole, , Anterem Edizioni, Verona, 1997)

 

 

A spiumare

a scoronare la memoria
gli odorosi orti
a straripare sui vivai
aggrappati a un racconto
piovoso
a spargere semi
a fiumare
allargando sogni

schiudersi a un addio
alla vecchia
e ariosa casa
a deporre carne o nubi
a indossare ossa o cenere
per la notte
a spiumare covando frettolose sepolture
a coltivare i deserti
del sogno fossile uomo
che nuota dentro la pietra
con atone grida
su corde d’attesa

 

 

La pettinatura delle ombre

emigrano così le cose
come pettinando
un’ombra o medicando
trame e scenari o
graffiando stagioni
emigrano così le cose
sul greto delle occhiaie
dove basta accendere
un fantasma
e intanto indulgi e snidi
una docile collera
mentre tutto annotta

il tuo sorriso impone
orologi e trame
risuona di insulti traslati
cova passi e fughe
e non ti accorgi
dell’obiezione rotonda
che inquina tessiture
sebbene frequenti i canali
della poesia e
una tosse quasi
temendo di esistere
simuli

(Da Il martello di Faust, 1983)

“ciononostante gestirò un saluto”

e lo dice
conferendo un bisbiglio
o quasi
citando
e a falsetto
così come
a chiamarsi
a trasparenze liquide
uscendo

(da Hiatus,  1980)

 

XVIII

perfino
incorniciato
stirato sulla
tela   svilito
lo stupro di
barattoli
arpionati
spacciando
malconcia
identità di uno
spettacolo
stagnante

perfino la
stesura cosi
abile
l’impronta
diluita
l’autentico
ricatto di un
trofeo
rielabora
incarnando
perfino le
parole sotto il
torchio


 

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