MATTEO D’AMBROSIO, In opera (per Franco Cipriano)


«l’immagine … può arrivare ad  avere  funzione

metalinguistica, in ordine ai  codici  messi in  opera:

le immagini nel testo danno un’immagine del testo»

G. P. Caprettini

 

«l’immagine è un modo di conoscere

e non solo di riflettere un fenomeno»

V. Sklovskij

 

1 – Testo / messaggio / smarrimento del codice 

In un testo visivo il fatto che il messaggio non si manifesta completamente e/o sufficientemente realizzato, in una forma estrema riconoscibile come compiuta, stabilita, definitiva, non implica la scomparsa di ogni possibilità di riscontrarvi la presenza di un sistema di costrizioni del linguaggio, quindi di un codice; di quest’ultimo l’artista gestisce almeno parzialmente un tempo di esplicitazione, arrivando a fissare un insieme di elementi (dal codice regolati e perciò resi possibili) che intrattengono fra di loro rapporti di cui si dovranno riconoscere e definire le caratteristiche. Ancora, il codice presiede all’istituirsi dell’implicita dialettica esistente tra la texture e i suoi elementi costitutivi esplicitati.

Nelle opere di Cipriano, in cui è particolarmente basso, il grado di comunicabilità dell’assetto testuale permette di rilevare, ma con accresciuta difficoltà, la presenza di questo “elemento astratto” dello stato linguistico dell’opera. Un metodo di rilevamento dei codici convogliati nell’opera è costituito dalla descrizione dei meccanismi di regolazione dei processi di inferenza che, nella forma dell’opera (nelle particolarità della sua forma), hanno espresso le relazioni stabilite, l’applicazione e la sua messa in opera di criteri che caratterizzano la composizione e l’anatomia del messaggio. La nozione di codice viene, nelle opere di Cipriano, sottoposta ad un continuo processo di dissoluzione, di dispersione, in cui si intersecano comunque più livelli e diversi tipi di produzione semiotica.

 

2 – Poetica 

Proprio la presenza di particolari elementi di quella tipologia esprime le determinazioni di una poetica che prevede  una capacità pragmatica solo parziale di passare all’attività comunicativa, ma non per questo intende ipotizzare un congedo del fruitore. Disinteressata a gestirne una applicazione concreta, un esaurimento sistematico di funzionalità che fanno di ogni (e anche di questa forma di) rappresentazione una operazione compilatoria di selezione e pertinentizzazione con implicite, precise modalità realizzative.

 

3 – Pittura del margine

In questo senso molte opere di Cipriano sembrano in primo luogo il risultato di una pittura del contorno, del bordo e del rilievo, che solo indirettamente appartengono all’oggetto in questione e innanzitutto partecipano di un certo tipo di operazione pragmatica, compiuta separando ogni particolare segno dallo sfondo e dalla superficie, mettendolo in rilievo nel suo rendimento percettivo, come dato sensibile e spessore pittorico.

 

4 – Superficie / profondità: stratificazione

L’enigma della profondità dell’opera è qui riprodotto, prescindendo da ogni possibile illusionismo, nel simulacro della superficie, il piano prospettico nei cui linguaggi l’artista la connota, per interposizioni, ombreggiature e prospettive. Essi ipotizzano l’opera non soltanto come la scrittura di questo spazio; la configurazione della superficie è infatti soprattutto stratificazione, rapporto irregolare (a volte persino irreversibile) di profondità tra strati: lontananze, discordanze, dislocazioni. Nelle superfici di ampie dimensioni di Cipriano la stratificazione evita di sconnettere le immagini della texture dal movimento dell’opera, dai moti (che provvederanno ad attrarle e a comporle) della sua superficie, a cui le immagini non vengono sottratte, restando così coestensive, benché risultato di diverse azioni temporali. Si prospetta in questo senso una situazione in cui il fruitore è invitato a considerare i problemi della percezione non in relazione alla meccanica dei processi sottostanti o retrostanti ma in base alla costituzione interna degli oggetti dell’esperienza, così come essa è percepita nella loro osservazione. L’avvenuta sovrapposizione (riscontrabile facendo attenzione proprio alla tipologia dei margini[1], ai rapporti tra i contorni, alle ingerenze, alle invasioni, agli occultamenti) rende ancora più chiaramente percettibili le distanze; Cipriano fa come trasparire oggetti-simboli, forme, forme astratte, sagome, parole, strutture di definizione dello spazio, eventi linguistici in ordine sparso, senza connessioni convenzionali né alcun legame narrativo[2]. Queste stratificazioni sono fisiche, psicologiche, simboliche e storiche, nonché direttamente relazionabili alle strutture di senso. In questo sistema pluri-codificato avvengono le trasformazioni e si precisano le qualificazioni semantiche di ogni elemento, analizzabile da solo, in relazione al contesto e insieme a tutti gli altri nel relativo equilibrio dell’economia linguistica dell’opera, il cui spazio visivo va anche considerato come evento altamente dinamico. La stratificazione si presenta come una delle qualità della significazione dell’opera (una seconda appartiene ai dati immaginativi, all’intensità e alla distribuzione dell’energia linguistica delle metafore, nelle quali si riversa la memoria esperienziale e culturale dell’artista), che viene istituita dall’eterogeneità percettiva di materiali e tecniche (sottili tracce di grafite, smalti, olio, acrilico), dalla generale pluralità di un testo stratificato e insieme almeno parzialmente integrato. Esiste, certo, una dialettica tra questi livelli, che è poi l’ambiguità tra le varie letture possibili. L’opera è il segno visibile e sensibile di una cultura, garantito nel suo “esserci” dai tempi di lettura della sua durata e dalla durata della sua lettura.

 

5 – Zone / Geometrismo

La disposizione regolata delle zone di interventi lasciati incompiuti trova spesso il massimo di complicazione al centro dell’opera: si vedano, a mo’ d’esempio, In extremis under skin (1980) e Sacrifice in corpore of the work (1981); queste zone sono a volte concentriche, una nell’(sull’) altra, predisposte con varie tecniche, con forti contrasti ed accostamenti cromatici; altre volte conservano lo stesso colore, anche se sono diverse per tipo di materiale, e quindi per spessore fisico ed effetto luminoso (si osservi, ad esempio, la parte superiore dell’opera Tre ferite (1980) e Aura geometrica (1980). Le zone di tipo geometrico assicurano, anche con squadrature interne alla loro superficie (cfr. L’oro di K. Marx (1980), la penetrazione e l’assorbimento delle altre e la sovrapposizione di quelle che esse nascondono; in particolare, quelle triangolari, che hanno forti differenze di scala, dettagliano ogni volta un alone, o un contorno unitario, o un contorno incompleto e spezzato (cfr. ancora Tre ferite e Antropological surface (1981). The Sharpering, l’acutizzazione è però massima nel caso di una collocazione eccentrica nel campo visuale; la tensione del geometrismo è invece relativa in presenza di un rettangolo o ancor più di un quadrato, che «costituisce una dichiarazione visuale positiva che esprime chiaramente la propria definizione, i suoi caratteri e le sue qualità»[3]. Le linee diagonali, a loro volta, fissano il campo, le sue dimensioni (ampiezza, lunghezza, ecc.). Si veda Lo sguardo doppio dell’opera (1981); qui la geometria formalizza caratteristicamente la rappresentazione e serve innanzitutto ad immettere i segni nella loro profondità. Si tratta di un geometrismo semplice, con ricorrenti precisazioni interne, fatto di triangoli e di quadrati soprattutto, che gestisce, nella composizione delle proprie zone, campi visuali indipendenti in dialettico e dinamico rapporto di direzionalità, di orientamento, di “segnalazione” con tutto il resto. Questi elementi geometrici, spesso solo accennati, vengono continuamente contrapposti a tracce figurative, a frasi e frammenti di discorso. A volte i contorni, che qualificano lo spessore dello strato[4], sono rinforzati da zone di grumi informali di altra sostanza e diversa posizione nella scala cromatica, anche con minime variazioni, piccoli spostamenti –  bianco vs sabbia, bianco vs ocra – mentre le linee tratteggiate squadrano, delimitano, separano, isolano con estrema precisione[5]. L’esattezza dei motivi e delle forme geometriche non sempre significa però valori razionalmente assoluti. Le frecce, molto ricorrenti, funzionano come segnali e indici di direzionalità (anche della struttura complessiva); sono spesso bidirezionali, e portano verso l’esterno dell’opera, o aggrediscono certi particolari; con altre stilizzazioni ed indicazioni supplementari (cancellature, annullamenti…) partecipano alla sua scenografia.

 

6 – Colore

Dal punto di vista cromatico, Cipriano esaspera il conflitto tra bianco e nero (in cui la critica ha voluto individuare i due versanti alchemici dell’albedo e della nigritudo[6], entrambi adatti a facilitare la rivelazione dei segni dell’opera: se il nero intenso funziona come un velo che oscura i significati, esso convoglia anche le differenze minime garantite dalla sovrapposizione di nero su nero; nei bianchi chiarissimi, invece, la luce investe l’opera e ne rivela ancora meglio l’assetto materiologico. Sono questi, del resto, i due poli del lavoro per immagini: l’oscuramento e la rivelazione, al cui centro si insinua l’imperfetta sintesi degli opposti cromatici garantita dal grigio, in cui i segni si adagiano come in stagnazione nel lividore della calce e del gesso. Sul fondo generalmente unitario, nelle opere di Cipriano s’intrecciano molte variabili cromatiche, molte modificazioni degli attributi di tonalità, saturazione e chiarezza; in particolare, ricorre il gioco della contrazione degli elementi scuri su fondo chiaro e dell’espansione degli elementi chiari sul fondo scuro: particolari incidenze della luce assicurano solo in parte l’immagine alla percezione[7]. Le scale cromatiche spesso degradano per perdita di intensità e per scarto di tonalità, come succede in ricorrenti, sottili tracce parallele. Insomma, si evidenzia qui che il colore assicurato dall’impiego di una tecnica (e/o di un particolare materiale) non può essere reso dagli altri; si possono così istituire le differenze tra opaco e lucido, chiaro e scuro, caldo e freddo, emergente e assorbito. All’analisi, il cromema vede sempre riconosciuta la sua valenza: per spessore di corpo e per complicazione, oppure per profondità, reiterazione e accumulo. L’oro, colore e condizione materica, assicura anche il massimo di rifrazione; il suo uso allusivamente simbolico connota la preziosità: nelle opere di Cipriano lo ritroviamo soprattutto negli inserti verbali, a valorizzare la differenza di materiale, di colore e forma, ad evidenziare la stratificazione e una forte determinazione di profondità.

 

7 – Simbolo / Mito

I segni derivati dagli archetipi chiedono e permettono il recupero e un dispiegamento assiomatico dei valori simbolici: l’impronta di una mano[8], un teschio, il gladio[9], la sagoma di un corpo disteso[10], di una figura umana, il profilo di una testa, l’ermafrodito; il mito evocato è sempre chiaramente precisato, e possiede forti connotazioni.

 

8 – Informale

La parte informale delle opere di Cipriano presenta con regolarità[11]  e simmetria di disposizione una cosmetica e un modellamento del corpo dell’opera, per sbalzo, spessore, ruga, crosta, grumi, tracce, trasmutazioni e apparizioni di forme ectoplasmiche e ameboiche, come se la materia fosse stata lasciata libera di occupare il massimo dell’estensione di cui ha bisogno per defluire, sciogliersi, conquistando, come espone ogni forma diffusiva, nuove localizzazioni.

 

9 – Scrittura

Nelle opere di Cipriano gli inserti verbali, a volte irregolarmente disposti da un procedimento di inversione da destra verso sinistra[12],  assemblano termini-chiave e temi della poetica dell’artista, indicazioni di incognite, messaggi cifrati sintetici, sintagmi orientativi, sottili insinuazioni, sospetti di tracce argomentative, ipotesi interpretative, in una strana lingua   di enigmatici reperti verbali provenienti da vari linguaggi, che l’autore spesso conserva come titoli delle opere (Mistero antico dell’opera, For the exhibition of aurae, In extremis under skin, Typical trance, …)[13].

 

10 – Processo / Opera / Pittura 

Ogni opera di Cipriano espone (in termini discorsivi) il suo palinsesto, la sua serie di operazioni (da cui è costituita, qualificata, giustificata, definita), in cui la descrizione costituisce «una complessa figura sententiae, quella dell’evidentia, che può esprimersi nella loci descriptio o topografia, cioè nell’‘esposizione dei dettagli’, comportando una simultanea testimonianza visiva»[14].

L’opus chiama in campo tutti i suoi materiali (pittorici, formali, simbolici, culturali, psicologici) ad esibire, nella composizione, il processo di costruzione-invenzione artistica; essa è ogni volta occasione di recupero della ricerca precedente e sforzo di controllo di quel processo.

In questa pittura di evocazione, che lega tra di loro i suoi elementi in un coagulo di relazioni di contiguità irriducibili a qualsiasi ordinamento compiutamente sistematico, i segni si compongono da una loro lontananza ed eterogeneità, per manifestarsi nella sincronia dei corpi pittorici; essi possono offrire complicazioni simultanee dentro dimensioni pittoriche molteplici; la distanza fra di essi non è strettamente spaziale, ma comprende i tempi della loro formazione e di questa ri-velazione, promossa dall’artificio e dalla tecnica, che permettono l’investigazione delle loro proprietà: gli elementi che compaiono nel campo della tela non obbediscono alla logica del segreto, o della cifra volontariamente nascosta[15]; del resto, ogni segno ha varie esistenze, nel senso che possiede vari livelli, riconoscibili sulla base delle competenze relative a codici diversi. Ma tutti i rapporti fra le segniche sembrano qui destituiti di ogni intenzionalità comunicativa, e le combinazioni dei vari elementi sono diventate lo strumento espressivo privilegiato. Bisogna riaffermare come anche qui l’opera si presenti sempre «nello spaccato della sua materialità», e come Cipriano avverta il condizionamento, oltre che degli elementi e delle tecniche, proprio delle particolarità dei materiali, che nelle sue opere ora si precisano con esatta chiarezza, ora sfuggono, ora stanno come abbandonati in posizione di riposo in un limbo incerto, offrendo quasi una sensazione di galleggiamento. In tempo reale pare quasi che la materia si muova nell’opera e vi appaia per frammenti. Chiaramente, i valori simbolici del materiale utilizzato incidono comunque sulla maniera in cui esso è apparso, si è manifestato come fenomeno. Infatti quello che  vediamo non è in senso stretto l’opera, ma innanzitutto un processo che «vi si presenta nel segno dominante della sua finalità transitiva»[16]. Una volta giunti ad un certo passaggio problematico la convergenza dei materiali viene infatti sospesa, la loro formazione per assimilazione arrestata, lasciata a presentare i suoi dispositivi interni, l’intreccio e l’incrocio tra l’oggettività analizzabile e la soggettività dell’artista, espressasi attraverso i codici della sua sensibilità e del suo sapere.

Cipriano concepisce dunque l’opera come un processo, «nel corso del quale», come ha scritto Antonio Del Guercio, «l’artista ricerca ‒ senza averne a priori una chiave, una traccia programmatica ‒ come possano fra di loro catalizzarsi e dunque trasmutarsi, i diversi materiali che entrano in reciproco rapporto»[17]. Inevitabile (ed altresì inoppugnabile) la conclusione che ne discende: «La pittura – come luogo non di enunciati ma di relazioni analogiche e paralogiche tra materiali eterogenei – è l’argomento di questa pittura»[18]. Certo ogni critica pratica, ogni riflessione sullo statuto della pittura, esperita dall’interno del lavoro di produzione, implica una forte capacità e padronanza metalinguistica e quindi, nell’accertamento, un controllo dei codici.

La riflessione sull’arte spinge Cipriano ad indagare e definire continuamente sempre nuovi spazi mentali e fisici, avendo deciso di fare a meno di una logica unica e unificante dei processi di pensiero, di realizzazione e di percezione; questa attitudine comporta sospensioni dell’intervento e soluzioni parziali, e tentativi e verifiche di accostamenti, giustapposizioni, giunture e connessioni; da qui le evidenti “incongruenze” e il relativo senso di provvisorietà, e spesso di ingiustificabilità della sovrapposizione degli strati matrici. Si dispiegano, nel tempo interno dell’opera, serie di opzioni praticabili in interventi poi non effettuati; esse descrivono la gamma che si era individuata e che si sarebbe potuto utilizzare, all’interno della quale l’artista non ha però operato alcuna scelta. Un progetto strategico complessivo è così sostituito dalla drammatizzazione del mancato accertamento di un assetto definitivo e dal frequente rifiuto di ulteriori decisioni, sospese per continuare l’investigazione, che avrebbero potuto aumentare il grado di complessità dell’opera.

Si tratta dunque di una ricerca restia alla soluzione formale, in cui assume particolare valore la poetica dell’artista, che intende mostrare solo momenti tattici successivi, praticati dalla sua meditazione critica sugli strumenti dell’arte. Cipriano tenta una manipolazione non ideologica della segnica: ogni figura è un segmento di esperienza visiva, un problema percettivo di osservazione nei suoi termini. Ma qui l’esperienza, la formazione psicologica, la tecnica non servono ad uno sforzo di proiezione nel futuro e l’opera è lasciata ad esibire la sua testualità enigmatica, al di là della contingenza, della nostalgia e di ogni gesto di citazione. Così l’opera non si presenta (e non si aspira ad essere) come immagine certa, come modello di spazio riproducibile, risolto, definito, ma come luogo della trasformazione in corso nel corpo dell’artefatto; ciò malgrado possiede, rispetto al suo esterno, una sua complessa e irriducibile singolarità, che è propria dei suoi procedimenti e viene finalmente garantita dalla particolare stratificazione della significazione che veicola. Il carattere contingente degli esiti della composizione non scalfisce l’autonomia leggibile nello spessore della stratificazione, nella sua profondità tutta riportata in superficie, perdurando, tra l’altro, l’esclusione di tutte le condizioni della trasparenza. L’esercizio e la dialettica del contrasto tra la pluri-codificazione formale (anche in senso analogico) e lo spessore metaforico sono caratteristiche precipue di queste opere. Così, come ha scritto lo stesso Cipriano, «l’opera si dà nelle sue costituzioni sensibili, rivela… l’immagine possibile della sua profondità»[19], risultato a questo punto, di un’operazione di decodifica del suo livello connotativo. Giustamente Cipriano insiste proprio su questi dati sensibili: la loro natura, le loro qualità, la loro configurazione e la loro organizzazione formale danno senso all’immagine. Ogni opera di Cipriano non vuole dunque essere né superflua, né immediatamente consumabile, e nega la propria immediata specializzazione, arrestandosi come esperienza di pura espressività, nell’incognita delle sue ulteriori interminabili possibilità. Tutta la ricerca, concludendo, si presenta dunque come un’indagine sui rapporti tra spazio, colore, segni e valori simbolici, nelle distinte e indissolubili dimensioni della forma e della significazione, i due luoghi di definizione dell’immagine.

Napoli, 1982

______________________

[1]  «Quando il margine è netto, il colore ha l’aspetto compatto che gli viene dal modo di apparire della superficie; man mano che la “pendenza” del gradiente diventa meno ripida, la sostanza cromatica diventa più soffice, passando gradualmente» all’aspetto di volume (G. Kanizsa, Grammatica del vedere. Saggi su percezione e gestalt, il Mulino, Bologna, 1980, p. 216).
[2] Cfr. A. Del Guercio, Introduzione al catalogo della mostra Presenza e memoria. Sette artisti italiani all’inizio degli anni ottanta, Palazzo Ducale, San Cesario di Lecce, 1981.
[3] D. A. Dondis, A Primer of Visual Literacy, The Massachusetts Institute of Technology, Cambridge/Ma., 1973, p. 49.
[4] «Determinate caratteristiche del contorno, pur non modificando sostanzialmente… la forma della superficie inclusa, vengono in qualche modo conferite alla organizzazione della sostanza cromatica» (Kanizsa,  cit., p. 221).
[5] Quando invece Cipriano (ad esempio nella parte inferiore dell’opera Mistero antico dell’opera (1980), dove però prevale il nero) «introduce al posto dei margini di separazione netti… zone di confine sfumate,… i processi di uguagliamento vengono favoriti, e inoltre si modificano i caratteri dell’organizzazione spaziale delle qualità cromatiche delle superficie in contatto» (ivi, p. 228).
[6] A. Del Guercio, Introduzione al catalogo della mostra Franco Cipriano, Adriano Mele, Eduardo Pisano, Galleria Il Grifo (Roma) e Galleria Colonna (Napoli), rispettivamente 25 marzo-15 aprile e 22 aprile-3 maggio 1981, p. 3.
[7] Comunque «le qualità cromatiche non devono essere considerate unicamente nella loro funzione di materiale. […] È necessario tener conto anche dell’influsso che l’organizzazione spaziale esercita sull’aspetto dell’elemento cromatico stesso. Spazio e colore non sono cioè elementi distinti, che si possano considerare in isolamento assoluto, ma molto di più come momenti interdipendenti di un processo unitario di organizzazione percettiva» (Kanizsa, op. cit., p. 219).
[8] Cfr. Mistero antico dell’opera (1980), Agonia con ombra (1980), Classic Narcissus.
[9] Cfr. Tre ferite (1980), Typical trance (1981).
[10] Cfr. Anthropological surface (1981).
[11] «La regolarità porta a soluzioni percettive… di eleganza, di equilibrio, di ordine, di senso di completezza» (Kanizsa, op. cit., p. 33).
[12] Cfr.  l’opera L’enigma d’oro (1980).
 [13] A. Del Guercio, Introduzione al catalogo della mostra Presenza e memoria. Sette artisti italiani all’inizio degli anni ottanta, cit., p. 25.
[14] G. P. Caprettini, Aspetti della semiotica, Einaudi, Torino 1980, p. 107.
[15] A. Del Guercio, Introduzione al catalogo della mostra Presenza e memoria. Sette artisti italiani all’inizio degli anni ottanta, cit., p. 25.
[16] Ibidem.
[17]  A. Del Guercio, Introduzione al catalogo della mostra Franco Cipriano, Adriano Mele, Eduardo Pisano, cit., p. 4.
[18] Ibidem.
[19] F. Cipriano, Dichiarazione di poetica nel catalogo della mostra Presenza e memoria. Sette artisti italiani all’inizio degli anni ottanta, cit.,  p. 59.


Biografia di Matteo D’Ambrosio


 

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