MASSIMO PAMIO
Un poeta sprovincializzato: Massimiliano Damaggio

È appena uscito, per le edizioni Zona di Genova, l’ultimo libro di Massimiliano Damaggio, Io scrivo nella tua lingua, poesie con testo a greco a fronte nella traduzione di Giorgia (Gina) Karvunaki, con una nota critica di Mia Lecomte.
Poeta vero, autentico, così nella vita come nella pagina, Damaggio, contraddistinto da un’esuberanza comportamentale, da un’effervescenza di gesti e di sguardi pronti a cogliere ogni aspetto di ciò che muta intorno, rivela una personalità di elevate qualità etiche; sincero e sensibile, spontaneamente affettuoso ed estroverso, solidale, attento e premuroso, egli nutre un animo particolarmente generoso che esige verità e lealtà nelle relazioni umane.
Non a caso, le sue liriche sono la traduzione istantanea di piccole verità che egli coglie attorno a sé grazie a un’intimità ricca e in piena armonia con il misterioso disegno del cosmo, sebbene esposta alle ferite, al dolore, incline a denunciare i propri limiti e i propri confini, addogati da un’inguaribile offesa che il tempo e lo spazio e perfino il divino compiono sulla indifesa, magica creaturalità d’ogni elemento, dalla pietra all’uomo.
Nel testo Io scrivo nella tua lingua non cerca parole difficili o ritmi inconsueti, bensì si affida a una dimensione che si potrebbe definire “evocante”, in cui egli sente la poesia che coglie dentro di sé nell’attimo, intuitivamente, e, prima che tale stato dell’essere sparisca in una piega del sorriso o in un’ombra di disappunto, ne fissa le coordinate in vocaboli di fitte emotive, che stanno a significare la nudità del momento in cui l’emozione si fa parola. Se ne rileva come la poesia di Damaggio sia sempre nativa, aurorale. Un’immediatezza che non implica semplificazioni o banalità retoriche, bensì riporta la poesia al suo stato naturale di voce emotiva, di pensiero poetico, quel che Antonio Prete riconosce a Leopardi, “un rapporto col logos che passa attraverso il pathos” (Antonio Prete, Il pensiero poetante, Feltrinelli, 1980, p. 95), ammonendo, poi, che questo rapporto è un dialogo intimo, dell’interiorità che solo a pochi è concesso: «Oggi dire dell’interiorità è (…) rivolgere l’attenzione a qualcosa che il suo opposto, l’esteriorità, tende a insidiare.» (Antonio Prete, Il cielo nascosto, Bollati Boringhieri, 2016, p. 11).
Nella poesia di Damaggio non ci sono maschere, la parola è sola davanti a se stessa, nella sua innocenza ma anche nel suo essere spia d’un quale che non si riesce a definire e si affida alla “parola poetica”. Si potrebbe accennare alla purezza di una poesia libera e selvaggia, pulsione di eros e di thanatos nel logos, slancio affettivo senza mediatori. Parola poetica che torna a sé, puro dire, canto privo di senso o di un fine, espressione intima, canora e sentimentale che si traduce in possibilità evocativa, in stato estatico della parola che coincide con l’emozione. Parola “percettiva”, che sente. Parola come accordo, intima quiete: «La quiete è il sentimento dell’istante, il sentimento dell’appartenenza del sé al tempo che scorre: un acconsentimento al passaggio, uno sguardo sull’orizzonte da parte di chi sa quanto impossibile resti chiuso nell’impossibile, e quanto sia tuttavia necessaria la sua ricerca.» (ivi, p. 102).

mi guardi dalla fotografia
ma io non so scrivere nella tua lingua
di cosa si chiamava bambino
ed era viaggio di vento, irruzione
nel nuovo giorno, al calendario
scandalo

incontrarti oggi in uno specchio di carta
mi ha fatto tremare le mani
perché ti ostini ad accompagnarmi di nascosto
all’uscita di ogni galleria

quando insieme per la sorpresa ridiamo
di fronte a un’improvvisa voragine di luce

Materico impulso, la poesia è costituita di vibrazioni, onde musicali, in qualche modo è prelogica, come se venisse prima della parola, pur facendosene viva interprete, la poesia dice l’essenzialità che è della Natura. La vita stessa non è un processo logico, ma uno spasmo emotivo; solo in seguito, per l’uomo, assume una rilevanza simbolica in quanto contenitrice di affetti, sentimenti, ricordi.
Nel testo di Damaggio, le parole comunicano tra di loro informazioni in modo istantaneo, a prescindere dalla loro collocazione, come se formassero un unico oggetto, un’unica emozione che ordina e unisce in un solo insieme il testo, il quale è evidentemente un’esperienza verbocorporea, uno stato dell’essere, un solco spaziotemporale che si è innescato nella tempesta indefinita chiamata realtà, effetto virtuale (mondano) dello stato unitario e indeformabile dell’assoluto, un ictus in cui materia ed energia si incontrano, ma senza ledere alcun filamento dell’assoluto. Perciò la poesia parla di questo indefinito, della virtualità che all’uomo appare come reale e che appartiene al regno della possibilità, delle infinite possibilità. Il mondo è un effetto di questa localizzazione dell’infinito distendersi del sempre nel tutto, e che sembra subire un processo di organizzazione, ma che in verità non è.
Ecco perché la poesia di Damaggio si dispiega nella sua assenza d’essere, «io scrivo nella tua lingua / in questo verbo che declina, prima / di cadere», allorché, radicandosi nella struttura stessa della lingua, nella sua morfosintassi, sparisce, e lo stesso “io” che si radica nella lingua e perfino nel “tu”, nell’altro pur di essere, si dissolve (questo dissolversi infinito nel tu, nella parola, nel mondo, nelle cose è il senso profondo della grande poesia di Damaggio): «adesso che da molto tempo / tutto questo vuoto / è tuo». Tra parola verbocorporea, identità personale ed espressione del poetico si forma una simmetria, una forza che sfugge all’Unità di cui mostra alcune delle infinite potenzialità, mediante un’organizzazione collettiva che determina il nascere di ordini (vere e proprie leggi) di conservazione del sistema. Parola, soggetto e lirismo poetico sono perfettamente simmetrici con la loro inversione, la loro unione è reversibile, la poesia genera un ritmo e un senso bustrofedici. L’io che si specchia nella lingua nel primo verso, nella “tua” lingua, nella lingua dell’altro, è, per inversione e specularità, il “vuoto” “che è tuo”. Dall’analisi di questo testo di Damaggio, si rileva il senso stesso della Poesia, che è quello di un’aggregazione forte e unitaria, ma reversibile e speculare dal punto di vista ritmico, sonoro e del senso; la poesia è ciò che torna sempre a sé per negarsi, per inverarsi nella sua origine. Un’aggregazione forte che è legge, e comporta una tensione alla conservazione; ecco perché l’andamento sempre più prosastico e meno rimico e musicale della poesia attuale è un segno del dissolvimento stesso della poesia: e Damaggio ne è consapevole, perciò la sua voce torna a essere la voce della grande poesia della tradizione, di quella che conserva la sua forza e non tende, masochisticamente, all’autodistruzione. Ecco perché di poeti ce ne sono oggi ben pochi, e Damaggio appartiene a questa eletta schiera.

Massimiliano Damaggio
Io scrivo nella tua lingua
Editrice Zona, 2022, pp. 80

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2 Risposte a “MASSIMO PAMIO
Un poeta sprovincializzato: Massimiliano Damaggio”

  1. Vorrei ringraziare Massimo per questo articolo davvero bellissimo, e che sinceramente mi sembra troppo per un pistola come me. Ringrazio Giorgio per l’ospitalità. Un abbraccio.

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