MARCO PALLADINI, Capitolo dolens

PROSA – AFORISMI – HAIKU


Erano i giorni in cui si pensava di potere sormontare le aporie del tempo nuovo e fui io a presentare la fotografa Margherita Colesanti al suo futuro marito Umberto Palmeri. Che poi, invero, subito principiarono a litigare circa il valore da attribuire alle immagini tra fantasy e iperkitsch di David LaChapelle. Fervido sostenitore della causa dei Verdi, Palmeri era un tipo assertivo: l’ecocidio è peggio dell’omicidio; il modernismo critico è pressoché sparito; dove è finito? nella pattumiera della storia insieme a tutta la infinita spazzatura irriciclabile che produce la società contemporanea. Colesanti sorrideva, per lei quello che contava era la circolarità di un’arte che non sforna prodotti da immettere nel mercato, bensì modi e stili di vita, occasioni per fare comunità, situazioni di interfaccia festevole per “giocreare” senza limiti e né paletti. Junk Art per trasgredire ai divieti e/o diktat del kapitale, un’arte de-generata versus l’arte generata dalla classe dominante. E allora, replicava Umberto, che c’azzecca il signor LaChapelle, artista al totale servizio della kakoestetica capitalistica? E infatti, rispondeva Margherita, non parlavo di lui ma di me. Piccoli equivoci di qualche importanza lungo la strada del reciproco corteggiamento. Io interloquivo infingardo sostenendo che era meglio non fare niente. Anzi meglio: è preferibile fare il niente, un niente dolce o noioso, comunque più glorioso dell’affaccendarsi senza sosta per cavare da una montagna un topolino.

… così imbastivo la mia dialettica per un massacro (anch’esso dialettico)… per parafrasare Stefano D’Arrigo: dentro più dentro dove la scrittura è davvero scrittura… con Palmeri e Colesanti si andava in giro e si percepiva la protervia del sistema e la montante reazione rancorosa che non avrebbe potuto non sfociare in una ondata di stati psicotici assieme criminali e ribelli. Umberto, avvocato, rammentava un suo assistito che diceva: ok, nel chaos mi dissolvo e così mi risolvo… io aggiungevo: cos’è che oggi determina la massa critica, come dire, “jokeristica”? … per Margherita è la potenza imperfetta della costruzione del mondo che al presente rovescia la estetica sublime nella sua demolizione… il bello è un concetto superato, ricompreso, che ci aggradi o no, nella supermarket fiction che è la narrazione oggi dominante nel mercato globale… e ci siamo anche noi in questa movimentazione gassosa, precaria che incoraggia qualsiasi colpo di mano, cambi radicali di posizioni e di alleanze, quasi una guerra di tutti contro tutti per spuntare il maggior profitto secondo le regole delle dinamiche tribali e fratricide…

Il primo bacio Palmeri e Colesanti penso che se lo scambiarono respirando lo spleen mediterraneo e ascoltando il suono elettrico del cosmo come succedaneo della vocazione ad inseguire i “losers” di contro ai “winners”. Vocazione pericolosa laddove non sono pochi quelli che hanno successo erigendo appunto il mito dei perdenti. Resta comunque non irragionevole rilevare che in parecchi casi i minori, i marginali, quelli che non ce la fanno, che insistono e poi desistono, sono più interessanti dei vincenti, perché recano le stigmate dell’imperfezione, dell’incompiuto, di un fallimento non in sé, ma per sé. I perdenti hanno spesso un valore, ma esso è o limitato o fuori contesto o anacronistico e perciò non viene ri-conosciuto. Ma la marea antropica dei falliti è necessaria per fare risaltare la ribalta dei pochi che raggiungono il top. Umberto e Margherita penso che incominciarono ad innamorarsi e poi a fare intermittente sesso scoprendo che, lui come legale e lei come fotografa, seguivano le tracce dei liminari, degli underground, dei clandestini il cui destino si rivela tanto più nobile in quanto si colloca nei gironi periferici, resta sullo sfondo dell’epoca, il cui sound si confonde col rumore di fondo dello spaziotempo. Come un fremito o un ronzio che attraversa millanta vite sbaragliate o sbagliate, eppure indomite nonostante tutto.

… Palmeri mi confessò un giorno che gli capitava di immergersi in una liquidità amniotica onirica dove si ritrovava in una landa ignota in cui incontrava molte persone ben conosciute, però loro non lo riconoscevano affatto… era una situazione insidiosamente surreale, come se lui fosse vivo e loro dei trapassati o viceversa come se lui fosse morto e loro ben vivi e vegeti… come che sia destinati a non incontrarsi nel medesimo punto di realtà… quindi lui trasmigrava in un locale affollatissimo di gente, dove se ne sta rannicchiato in un canto e vede un pitone sgusciare da sotto delle basse poltroncine e andare ad acciambellarsi in un angolo dietro una pila di scatole… che ad un certo punto vengono smosse di mala grazia da un tizio che poi si allontana borbottando… fortemente infastidito il pitone allora striscia fuori, si aderge e aggredisce una ragazza mordendola in testa… la donna urla e mostra il sangue che cola, anche se qualcuno asserisce: ma no, non può essere, i pitoni non mordono… e invece sì, insiste disperata lei, che cerca di tamponare la ferita… Umberto affetto da ofidofobia è fortemente perturbato e prova ad uscire da quella situazione… ritrovandosi in uno stanzone illuminato da spettrali neon dove, appesa ad una parete, c’è una lunga cesta di vimini che contiene due enormi pitoni dalla squamosa pelle giallo-verdognola… improvvisamente il più gigantesco dei due si muove col capo ritto che sfiora l’alto soffitto e poi ratto si abbassa attaccando un uomo vestito con una camicia da mugiko, da antico contadino russo, che emana riflessi dorati… il superpitone spalanca le fauci e inghiotte l’uomo sino alle spalle, quindi sistematosi in posizione orizzontale, con continui movimenti sussultori e ondulatori prosegue lentamente ad introiettare la sua preda, fino a che essa sparisce completamente, stivali compresi, nel mostruoso corpaccione serpentesco… paralizzato dalla paura e assieme affascinato Palmeri osserva il fiero pasto del megapitone che, placata la fame, ora si acquieta e si dispone al lungo lavorio di digestione e metabolizzazione… trascino Umberto fuori dal suo incubo e scherzo sul fatto che l’ideologia “green” ti può pure far fare brutti sogni, epperò educativi perché ti ricordano che la natura non è affatto buona, che in natura il più grosso mangia semplicemente il più piccolo… perché in natura, gli dico, il tuo diritto penale o civile non ha corso… talvolta lo provoco l’avvocato ambientalista: il mondo se ne andrà climaticamente a remengo? E va bene, in fondo se lo merita…

Mi chiama Colesanti per farmi vedere uno dei suoi ultimi lavori: uno straniato megacollage di immagini prese da Instagram che ritraggono una cantantina sudcoreana che si è suicidata in seguito ad una grave sindrome depressiva indotta da un fiume di osceni messaggi di cyber-bulli. La stellina asiatica che dondola nell’impicco ad una trave parrebbe essere il simbolo di quanto va sostenendo Jean-Luc Godard: ossia che il non pensiero può contaminare il pensiero e realizzarsi nella forma dell’autoannullamento. Ciò che oggi aggrava il pessimismo della volontà, tanto dell’intelligenza è inutile parlare. Chiedo a Margherita come va la sua storia con Umberto e lei mi fa: credo che mi voglia sposare, ma io ho non pochi dubbi; come comprendere il mistero di chi ci vive accanto? Due amanti possono essere dei corpi in uno spazio organico oppure assomigliare a dei rospi dispersi in una palude e colpiti da una maledizione. Lei non accetta il nonsenso del mondo, ma non è in grado di trovare una risposta diversa, così vorrebbe ripiegare sul mito mentre la politica liquida illude i più a vivere in un bagno caldo che alla fine ti brucia la pelle. Come nelle mappe degli ipercentri commerciali: you are here. Sì, tu sei qui, ma la vita dove sta? Guarda la foto, mi dice, di questo bambino nero che danza sul fuoco, le sue ustioni non sono esterne, bensì interiori. L’anima si incendia, hai molto male dentro e allora il corpo deve ballare per non soffrire più.

… Mind the Gap: ci avvisano i padroni del mondo liquido… il divario tra noi e loro si rapprende nelloro slogan preferito: per farvi tremare, continueremo a tramare… ne parlo con Palmeri di tanto in tanto: sono i vinti che sanno che nulla è certo e tutto è possibile: anche il peggio del peggio del peggio… lo sanno perché lo hanno provato… mentre i vincitori possono al massimo divertirsi a spoilerare il finale delle tua serie tivù preferita… i loro presidenti sono tutti ad interim e si limitano ad effondere le preci e ad alitare qualcosa di onorevole e grazioso… come del pari non sentivano alcun bisogno di compartecipare ai dolori e alle tragedie altrui… che cosa inelegante e di cattivo gusto! … Umberto si batte nei tribunali per ottenere qualche spicchio non di giustizia, ma almeno di non ingiustizia… ho ascoltato una sua arringa dove rivendicava la felicità essere un senso di pienezza, ossia di non mancanza di qualche cosa… ma qui i più mancano di quasi tutto, perciò l’infelicità dilaga… io vedo la felicità pure come un moto autoipnotico di aspirazione al trascendente, pur galleggiando sul proprio miserevole status immanente… gli infelici, comunque, non si danno la pena di capire o quello che unicamente capiscono è che è meglio calpestare che essere calpestati… per questo i calpestati diventano sempre più simili ai tradizionali calpestatori e allora veramente non c’è più una via d’uscita… quello che c’è è una realtà cloacale impastata in una iperbolica confusione dove ogni limite morale è cancellato, prevale soltanto la logica dei rapporti di forza e vince dunque la forza, in primis, del denaro che compra e corrompe qualsiasi cosa, qualunque essere umano… bifottuti e quadrifottuti urlando: all’armi! … all’armi! … all’armi di distruzione denarocratica (per parafrasare Cathy o’Neill)…

Palmeri e Colesanti mi vollero testimone di nozze al loro matrimonio minimale e frugale, assai distante dagli appetiti invero saturnini degli individui votati al culto del superfluo, all’idolatria dell’inutile, alla religione del pleonastico, alla devozione verso tutto ciò che conviene appellare spazzatura mentale e materiale, alla adorazione verso ogni tipo di oziosità trashendentale, di deiezione s-sterminale eja eja alalà. Io parlai brevemente per augurare loro una vita lieta e prospera, avvisando nondimeno che serve qualche disposizione oracolare per provare al presente ad intendere quello che sta per avvenire e che sa di allarmante e di oscuro. Già nel dopo-sposalizio si aggiravano cacciatori di frodo disgustati persino da se stessi, quasi coatti nelle loro fibrillazioni oniriche che cortocircuitavano un misterioso interfaccia tra l’ignavia visibile e una sottile energia invisibile. Un cliente di Umberto aveva dichiarato sibillino in aula: «Non cognosco il signor S.M. ma anche se lo cognoscessi non potrei dirvene che bene, per ragioni di intelligence, suppongo…». Quasi facendo capire quanto era stupida la nostra intelligence. Era tutto strano, raccontava Palmeri, ma vero, ossia era vero proprio perché era strano, e io sono uno stronzo perché non voglio talora riconoscere che la verità è tale quanto più appare inverosimile. La verità giuridica deve fare un passo indietro quando si appalesa la verità “mafiusa” con la sua “stranizza” ovvero la sua stranierità a petto delle umane cose, perché sono appunto cose dell’altro mondo quelle che stanno avvenendo nel nostro mondo e io non giurerei che non siamo già governati dagli alieni. Così, ribattevo io, pure gli alieni sarebbero una mafia? E chi lo può escludere, insisteva, e chi può essere certo di qualche cosa se è tutto così incerto ma verisimile, laddove le certezze sono tutte inverosimili? Mentre eravamo passati alla torta con fragole e panna, rammentò il passaggio finale della deposizione del suo assistito: «Testa bassa e state muti, questo vi consiglio e raccomando se volete rimanere vivi…».

… si scatenano le danze a suon di bossa nova o di new wave… mentre la nouvelle vague è soltanto cinemica… ma comunque dir piaccia sempre di onda nuova o baraonda novella o neotrebisonda si tratta e la festa va avanti, si prolunga sino alle quattro del mattino… mesi dopo Margherita mi disse che stava cercando, senza trovarlo, un connazionale sensazionale che si era presumibilmente eclissato dietro una farandola di eteronimi senza più riapparire con la sua vera (ergo apparente) identità di anarco-vitalista da sbarco improvviso e conseguente immediata ritirata… un escapista uccel di bosco assolutamente imprendibile e quindi infotografabile… uno che le mandava dei messaggini enigmatici… «còlto da una paresi dell’infinibile, io forse ci sarò in un punto indescrivibile»… «non sono mai stato in Andorra e non so perché»… «una donna mi ha scritto: sono triste sì, perché tu sei vivo e io ti vorrei stramorto, così me ne andrei a ballare scollacciata e sguaiata sulla tua tomba, sputando sulla lapide col tuo nome, ecco adesso sai quanto ti odio»… mi ero sinceramente chiesto se non fosse Colesanti questa donna, ma lei smentì recisamente, mentre ascoltava gli Scarafeggi, una band al top per i suoi momenti down… una band il cui brano hit si chiamava Momchung, un epiteto coreano per significare: quello scarafaggio di mamma che sfrutta la propria prole per avere dei vantaggi personali o per fare dei dispetti al prossimo… Margherita e il marito li sorprendevo non di rado acculati in casa a confabulare o, forse, a complottare per poi regolarmente mettersi a questionare con calore… io li distoglievo rimembrando le belle estati di un tempo oramai svanito quando eravamo ragazzi e ci regalavamo una gaiezza ed un entusiasmo e una frenesia di vita che poi non abbiamo mai più conosciuto…

L’avvocato Palmeri deve talora difendere anche gente feroce, giovanissimi delle borgate che girano con la “baiaffa” o il “fèro” (che dir si voglia) in tasca e pronti ad uccidere aggratis per un nonnulla. Sparano sperando così di essere o diventare qualcuno. Umberto non si tira indietro pure davanti a casi disperati di omicidi seriali perché sa che i lumpenproletari o, anche, i lumpenborghesi sono oramai un esercito in marcia che ogni giorno ingrossa le sue fila. Non più proletari, ma neppure borghesi, oppure non proletari e non ancora borghesi, come una para-classe universale e trasversale di reietti destinata ad essere la moltitudine del pianeta, efferata e violenta, anche mercè la tecnologia alla portata di tutti che scolpisce le reti psicocomunicative che attivano e implementano la criminalità dei soggetti. Margherita va in tribunale a fotografarli tutti, mirando a comporre un album bianco per anime nere, col sussidio di voci colored che innervano un sound tenebroso-dark. I magistrati, peraltro, vanno spesso alla ricerca del Mostro come colui che sovverte ogni ordine del discorso. È la commedia della vita che muove al riso, certo, ma assai più spesso al pianto. Quello che scosse un vecchio militante socialista in pellegrinaggio sulla tomba di Craxi al cimitero cattolico di Hammamet, col candido libro marmoreo ove spicca l’epitaffio “La mia libertà equivale alla mia vita”. Il socialista reprobo, difeso da Umberto, reclamava per sé quel motto, laddove il giovane P.M. sarcastico accusava: lei si autonarra come un soggetto libero e libertario, ma qui stiamo parlando di enormi ruberie politiche, devo quindi dedurre che nella sua ideologia il furto non è più un crimine, ma una libera riappropriazione? Che il ladro è un libertino, uno convinto che bisogna ‘liberarsi’ dai pregiudizi sulla proprietà (altrui) dei quattrini? Palmeri di fronte alle prove irrefutabili, si arrampicava sugli specchi, filosofeggiava: un repertorio di tutto quanto la follia umana ha saputo escogitare almeno negli ultimi quattro o cinque millenni sarebbe sconfinato, pressoché impossibile da raccogliere e catalogare e disporre in un ordine del discorso dotato di un minimo di senso. Cosa voglio dire? Che nel mondo l’unica cosa stabile è l’instabilità anche degli umori e dei comportamenti. In questa permanente volatilità behaviouristica può capitare che un socialista attribuisca alla politica il potere pure di fare e di farsi i soldi. Non è bello, d’accordo, ma in questa generalizzata revoca in dubbio di qualsivoglia certezza, sembrerebbe sconsigliabile ogni pretesa di fermezza di posizione e di opinione. Mi appello alla clemenza della corte: che fu invece inclemente, condannando il vecchio socialista a otto anni e sei mesi di detenzione.

… circa un anno e mezzo dopo lo sposalizio tutte le volte che domandavo a Colesanti come procedeva il suo matrimonio, lei faceva un ghigno e poi mi spifferava: capitolo dolens, dài, parliamo d’altro… l’altro era il suo lavoro adesso concentrato a tampinare le nottivaghe ragazze scatenate all’insegna di “Alice nel paese delle zozzoviglie”… ragazze provenienti dalle periferie più malfamate che escorteggiano facendo finta di non capire quando venivano fermate dalla Madama… disinibite squinzie supertruccate che ostentano di stupirsi dell’alone puttanesco che le avvolge se vengono sorprese a battere lungo i marciapiedi delle circonvallazioni o nelle dark room di locali per nulla equivoci, anzi del tutto espliciti nel rivendicare l’orgoglio dell’abbrancamento carnale selvaggio… poi Margherita se ne volò a New York per compiere un viaggio nelle zone inedite e più pericolose della metropoli yankee… là dove c’è uno squilibrio disumano che nessuno sa come sanare… «io alla fine fine faccio la fotografa, scatto e me ne fotto, ma so di essere impotente e complice del degrado esattamente come tutti gli altri»… fino a che andava ad infilarsi in un vecchio cinemino, un pidocchietto restaurato e dedicato alle comiche di Laurel & Hardy, Mack Sennett e Buster Keaton… quella sera si proiettava un filmino mai visto dove dei vagabondi avevano il fiato sul collo dei piedipiatti, epperò non demordevano, anzi mordevano e azzannavano pezzi di vita cruda, anche crudele, facendo a brani tutto ciò che li circondava, tra gag e schizzi di sangue, in ogni caso perdendo … ma nondimeno perdonando se stessi e sempre pronti a ricominciare col giuoco del riso e della paura…

Anche io non demordo e mi arrampico sugli specchi invocando un corpo resiliente ed un cervello elettrico ove sovraccaricare le neurosinapsi che creano i campi diffusi per una interazione biodigitale vincente. E mi barcameno tra sarcasmi ed esicasmi, ricordando agli altri che siamo figli di un’area spaziotemporale disastrata, soggetti bizzarramente assemblati, gente disambientata, uomini pronti e proni tanto all’utopia quanto alla distopia. Figure abissali come me non erano volute salire sulla giostra e rimiravano da basso quelli che in alto giravano sempre più vorticosamente e catastroficamente. Persino la botanica mi appare una pratica quasi satanica e prendo nota che secondo Pier Aldo Rovatti l’egosauro è un animale che ha i giorni contati, perché è un arcaico mostro che non conosce i suoi veri limiti. Vedo così gli egosauri con i volti travisati con le maschere di Guy Fawkes e del perfido clown It tracimare nelle strade e nelle piazze. Si sommuovono ed avanzano gli Anonymous in massa, una moltitudine estremista e nichilista che non fa una piega davanti ai blindati dell’apparato repressivo. Pronta a spezzarsi, a sconvolgersi pur di lasciare ai posteri un messaggio trasgressivo di free speech e di eversione pop versus le trame del potere. Gli egosauri mi sembrano però ignorare ciò che ripete Le Carré: ossia che bisogna sapere che tutti mentono e che pure tu sei costretto a mentire dando l’impressione di essere assolutamente sincero. Tutta la vita sociale è imperniata sul fantasma della verità. Ché l’unica verità possibile è quella che nega ontologicamente se medesima.

… ero io ad aver fatto conoscere a Palmeri la band goth-metal dei Plastika Bastardi! … ma adesso lui era impegnato in una serie di cause intentate dalle associazioni ecologiste contro le ditte produttrici di plastica… Materia bella a vedersi, leggera, colorata, iper-economica e che oggi si scopre inquinantissima dell’intero ecosistema dai mari alla terra… Un intero ciclo industriale che dai primi anni Sessanta ha conquistato il mondo e che adesso lo sta strangolando… La plastica come il nemico, di cui però non sappiamo ancora fare a meno… È incominciata una battaglia di lungo corso, mi dice Umberto, non so se riusciremo a vincerla prima di perire, ma vale la pena comunque battersi per la salvaguardia del pianeta… io non lo contraddico, ma resto scettico, e vorrei compenetrarlo nella mia camera della tortura, volendo dalle pareti plasticate, indove l’anima aspira ad un perfetto karma di ciò che non è mai stata, ma avrebbe sempre voluto essere… una plasticosa stanza karmica, quindi, dove rimbalzano vani quesiti… «c’è qualcuno che ha visto De Pisis a Pisa? … e la Pisana di Ippolito Nievo lo amava veramente quel Carlino? … e quanto sarà decrepito ormai Plinius der Jüngere? … qualcuno sa che fine ha fatto il mio antico compagno di scuola Egisto D’Aquino? … qualcuno sa come fanno i software algoritmici a combattersi tra di loro nel ciberspazio dei nuovi videogiochi ultrafuturistici?» … nella stanza mi arrivano ondate di musica secondo pattern ritmico-elettronici fragorosi e complessi… qui Palmeri ed io siamo in qualche modo consapevoli di essere, ciascuno a suo modo, dei soggetti labirintici che non trovano mai una via d’uscita dalla trappola di se stessi…

Leggo un graphic novel di impronta BDSM, ossia bondage, dominazione e sado-masochismo. Una storia di sottomissione bella “pesa” intrisa di memorie ancestrali che tracciano diagrammi voluttuosi sul lato differente dell’eros. Ne parlo con Colesanti che osserva: la vera essenza dei rapporti tra coniugi è sfuggente ai coniugi stessi, è materia altamente opinabile, e tu allora cosa opini di me e di Umberto? In verità, non so che cosa realmente opinare, così non le rispondo, ascolto ancora gli album di Tafkap e faccio il “body count”, la conta dei cadaveri (non squisiti) di tutte le coppie amiche che sono immancabilmente scoppiate. Già nel poema “Rumore rosso” indicavo nelle “rezdore”, le massaie emiliane, un modello antico di femminilità che dava robustezza psico-emotiva alle famiglie di un tempo. Ora che è tutto cambiato o sfigurato, penserei ad una ricostruzione tutta poetica dei rapporti tra uomo e donna, per esorcizzare quella genealogia dei sentimenti che poi si tramutano sempre in risentimenti, venati da ostilità profonde. Penso a dei rapporti a due basati su una freddezza formale, su una aridità amicale, su una chirurgica vicinanza distante, su una basica abulia della passione, sulla narcosi del desiderio per aspirare ad un rapporto duraturo, tendenzialmente eterno poiché alieno allo squilibrio dell’eccitazione. Margherita scuote la testa disapprovante, quindi mi fa vedere le immagini del servizio che ha realizzato durante un noto premio letterario. Foto vividamente espressionistiche in cui si vedono attempate bas-bleu tutte rifatte, prassoché mostrificate tra Bette Davis e Joan Crawford in Che fine ha fatto Baby Jane?; vecchi torreggianti critici, con facce tra il supergigione e il marpione; melensi poeti con la barba grigia che si trascinano col bastone; donzelle bulimiche con fluenti chiome che scendono loro sulla schiena sino al deretano; letteratini modello in giacca e cravattina con i visi algidi e stirati; vedove di ex importanti autori con toupettoni rosso tiziano o biondo cenere che spargono sorrisi ed effluvi di profumi da grandi magazzini; scrittorelli rampanti con le mutrie inciprignite perché sempre ignorati dalle giurie dei premi; giurati paraventi che trescano loschi con (quasi) chiunque e addentano il sigaro con una smorfia piratesca; solari matrone e madrine col capello fresco di parrucchiere e dal seno imperioso, che si sono scopate un tempo tutto lo scopabile su piazza e che tuttora pretendono di essere omaggiate come delle sexy-star, pensando demenzialmente di essere delle nostrane Sharon Stone; giunoniche scrittrici con lo strabismo di venere e fidanzatini filiformi che si guardano attorno, pronti a cornificarle; giovani poetesse in raso nero vedo-non-vedo che cercano fremebonde di agganciarsi al potente editor di turno. Insomma, tutto un campionario di signore & signori, sottolinea Colesanti, che volentieri getterei in un altoforno. Ma siccome mi pagano lautamente, io vilmente riprendo, scatto e taccio.

… con l’aria furbetta Palmeri mi aspetta al solito caffè e d’emblée mi domanda: ma tu che cianci al fuoco della post-metafisica come te lo spieghi il fattore H nella filosofia germanica? … e giù ad elencare: Hamann, von Hartmann, Herbart, Herder, Hegel, Husserl, Heidegger, Habermas e, volendo, Hanna (Arendt)… ma che caspita di domande idiote mi fai? … così replico e intanto gli presento don Pino Giarda, un prete amico che ha appena pubblicato un memoir “La campagna magica” in cui intreccia ricordi di gioventù e di sacerdozio nelle zone agro-pastorali con l’approfondita conoscenza di miti e riti di magherie country con santoni e santone e altri tizi assurdi, tra cui una famigliola di invasati affatturati che viveva in una fazenda al limite della regione dei grandi boschi di conifere… don Giarda vorrebbe un abboccamento con il fronte ecologista per coniugare la causa dei Verdi con le sue misticherie campagnole, cosa che ad Umberto non sconfinfera affatto, promette comunque che gli farà sapere… poi si volge verso di me per parlarmi di Mimmo Cianchi e Alberto Cirò, una coppia di vecchi rapinatori assassini che si è rivolta a lui per una revisione dei loro processi… sostengono che gli hanno attribuito meno ammazzamenti di quelli realmente commessi… sono due soggettoni ergastolani oramai senza più senso della realtà, ma i criminali anziani e fuori di cervello hanno tratti di una verace umanità atavica che val la pena di frequentare, pur se processualmente la loro situazione non può certo in buona sostanza cambiare… don Giarda si offre di recare loro del conforto spirituale e questo, vedo, che colpisce Palmeri che si mette a confabulare fittamente con l’uomo in clergyman… forse sta nascendo una imprevedibile amicizia e io ne sono stato in qualche misura l’artefice… prima di accommiatarmi gli cito i versi della poetica rapper Kate Tempest… «Noi moriamo perché così altri possano nascere / Noi invecchiamo perché così altri possano essere giovani / Il nocciolo della vita è il vivere / L’amare se possibile / e poi serenamente trapassare»… Pino Giarda sorride e dice: amen…

La visione della Tempest mi ricorda il “terzo tempo” del rugby, quel finale momento di incontro, magari dopo una terribile, selvaggia partita, in cui abbracciarsi, scherzare, ridere, scolarsi una pinta di birra tutti insieme. Eccoli piloni e primi centri, mediani e trequarti che chiacchierano tra i fumi dell’alcool di sovrumane mischie ed eroiche prese in touche, di placcaggi multipli e di mete all’ultimo respiro. Il rugby è sempre una narrazione epica ed etica secondo una guerra sportiva che si gioca sul piano della velocità, dell’aggressività e della ferocia: conquista del campo e possesso, gioco in avanzamento e difesa altissima, bisogna sottoporre l’avversario al massimo della pressione, lavorare di fisico e di solidità agonistica, imporre un ritmo sfiancante per sfondare nello schieramento altrui. Ogni match una battaglia. Ogni vittoria o sconfitta è una lezione da tenere a memoria. Roba per maschi veri e duri, non per fighette viziate, per sbruffoncelli che poi si cagano sotto. Vado a riascoltarmi lo psichedelico sound pinkfloydiano e sydbarrettiano di Interstellar Overdrive. Un moltiplicatore di velocità interstellare per un viaggio mentale e transmentale come di una sonda che svolita via, fuoriuscendo dal sistema solare e schizzando nello spazio incognito tra le stelle lì dove oltre l’eliosfera s’incrementano i raggi cosmici e pulsa un magnetismo galattico che presumibilmente interagisce con la materia oscura.

… incontro un giorno Margherita con Marcantonio Gimondi, un pezzo d’uomo che suppongo essere il suo amante… del resto tempo prima anche Umberto interrogato da me sul suo matrimonio mi aveva risposto: è un capitolo dolens, non mi va di parlartene… proliferano le esistenziali linee di frattura attorno a me, mentre con stupore incontro tuttora ceffi destrorsi che imprecano irrealmente contro i “commies”, i comunistacci che in effetti mi paiono pressoché spariti dalla scena politica eurocontinentale… chissà forse in qualche umido scantinato delabré c’è ancora qualche settario marxista-leninista-maoista o trotzkysta che si riunisce, ma è un fatto vetero-folkloristico, politicamente nemmeno velleitario, direi insensato… Palmeri a cena mi strascina in un nuovo girone psiconirico in cui prima si trovava con Margherita in una camera da letto dotata di ben due termosifoni, ma nessuno dei due funzionava e loro gelavano imprecando ed essendo sempre più distanti… quindi in compagnia di altre persone percorreva una sinuosa strada che fendeva una campagna di colore giallo paglierino in cui prima appariva un rudere di epoca romana o romanica sormontato da un tappeto di erbe e di muschio e poi si manifestava un elegante castello del Quattrocento o Cinquecento, ma tutto lustro e nuovo-nuovo… insomma un falso, uno smaccato rifacimento come un Colosseo, un Ponte di Rialto, una Cattedrale di Notre Dame riprodotti in scala in un cafonissimo super-albergone di Las Vegas… un castello turgido come una mera allucinazione in cui Umberto e i suoi amici entravano per non trovare nulla… tanti spazi, stanze, corridoi, cunicoli, cucine, salottini impeccabilmente vuoti, mai abitati da qualcuno come gli edifici dei metafisici quadri dechirichiani… forse stavano attendendo noi, riflette Palmeri, che continuiamo ivi ad aggirarci senza sapere se abbiamo voglia di rimanere o di scappare via… c’è un segno allucinatorio negli incubi dell’avvocato, ma in un certo senso rappacificato… forse, osservo, se il tuo matrimonio se ne è andato a quel paese, nei sogni tu ti stai godendo una sorta di “terzo tempo”… e giusto qualche tempo più tardi Colesanti mi invia sul cellulare una sua foto assai bizzarra e appannata dove cinque persone senza volto si agitano all’interno di una bolla sferica di cellophane… titolo anfibologico della foto: “Rifiuto della plastica”, nel senso di soggetti che rigettano un mondo plasticomorfico e che insieme sono (e/o forse siamo) antropica immondizia ineluttabilmente imprigionata in un globo di resina sintetica… me la porto appresso a lungo quella immagine un po’ sfocata, falotica, disturbante… un altro, medito, capitolo dolens che purtroppo ci riguarda tutti…


Biografia di Marco Palladini


 

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