LUCIANA GRAVINA, Il dubbio borderline

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Se il punto di arrivo fosse un’angelosofia che narrasse la perdita degli angeli, della possibilità dello sguardo oltre la terra assediata da omuncoli, mi verrebbe da pensare che Marco Palladini da bambino pregava, di sera prima di addormentarsi, l’angelo custode e che, nonostante la concezione materico-indignata-ribelle e out, emergente dalle sue scritture, sotto sotto, l’angelo traffica ancora nel suo subconscio e alimenta una fragile tensione verso una dimensione altra.

D’altra parte, Lafcadio, o Dio Lafca Moriconi, il protagonista del romanzo, in uno scatto di consapevolezza, esce dallo stato di resilienza e muore, con tanto di riconoscimento del cadavere e cassetta delle ceneri, religiosamente deposte in salotto. E, sempre come clamorosa uscita dallo stato di resilienza mortale, torna, (resuscita come Gesù, quello degli angeli, per intenderci) e di questo andare e tornare cerca di dare una spiegazione pseudo razionale. Perché nella giustificazione che offre alla moglie, giustamente sorpresa, traffica con parole come confine poroso tra reale e irreale, non credo che nell’impossibile, decadimento materiale, devastazione spirituale, mi ero spinto molto in là (dove?), autodisconoscimento, meccanismo psicosensoriale, mi ha riportato indietro.

Sono, queste parole, elementi paradigmatici che appartengono allo stesso fascio semantico, oppure, per polisemicità equivoca, le unicità semantiche, non solo tecnicamente, ma anche misteriosamente, si mescolano e si fondono?

Io opto per il mistero e non soltanto quello del Linguaggio a cui si appella Plinio Perilli, abile postfatore di questo inquietante romanzo (Oh, i destini misteriosi e impertinenti del linguaggio), perché sembra esserci un mistero permanente nelle inquietudini di Lafcadio.

È proprio sul fil rouge delle sue inquietudini, che interrogano e lo interrogano, che percorriamo le 135 facciate di questa galoppata di parole senza fiato attraverso i versanti multiformi delle sfide quotidiane, ma anche drammatiche, che la società e la Storia pongono al pover’uomo contemporaneo.

Attraverso ricordi, citazioni, analisi di fenomeni quotidiani e non, passando per musica, letteratura, teatro, arte, cinema, scienze e cultura varia, l’autore introduce una congrua serie di ipotesi sul virus, sulla sua natura, sulle sue intenzioni, sul suo sguardo verso l’umano.

Insomma, che cosa vuole questo nemico invisibile, e «che si dice dalle tue parti di questo catastrofico Contagio?» chiede Lafacadio al padre morto che gli è venuto in sogno. Magari lui lo sa. E invece no «Non so che dirti… io con dio non ci parlo…… Da lontano è difficile… potrebbe essere una cosa naturale… ma anche no».

Dunque, nessuna certezza, nessun chiarimento dall’oltremondo, forse è il caso di raccontare il sogno a don Gino, “sacerdote suo coevo alquanto bizzarro”, diverso dagli altri perché non propaganda la Chiesa come un’entità monumentale immobile e indiscutibile, ma come una comunità in fieri la cui santità è il punto di arrivo.

Tuttavia, dal colloquio, molto articolato e amicale, non emergono le risposte e le certezze cercate. Resiste però la tensione verso una dimensione (quella degli angeli?) appena percepita, inafferrabile, anche perché nella e per la condizione attuale dell’umanità, il poeta piange il segreto crepuscolo degli angeli.

Dunque, se la cifra è il dubbio, si è tentati di chiedersi se quello di Lafcadio-Marco sia il dubbio scettico, foriero di negatività e visione pessimistica, o il dubbio sistemico cartesiano, inteso come strumento di accesso ad una verità provata e incontrovertibile.

In realtà,  il dubbio ricorrente ad ogni problema, che il romanzo-covid pone, si presenta borderline, nutrito di congettura scettica e di approccio sistemico, in goduto equilibrio tra un versante e l’altro.

Che mi sembra una convincente posizione, moderna e consapevole.

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Marco Palladini

I virus sognano gli uomini

Edizioni Ensemble, 2021, pp. 160

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Biografia di Luciana Gravina

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