KIKI FRANCESCHI, L’ombra di Frankenstein (Un monologo per voce femminile e qualche personaggio)


Inizio, buio. Una fievole luce diffusa, fredda e inizio musicale

 MARY SHELLEY

Vestita in nero, seduta presso una scrivania, (una finestra aperta) o proiezioni di paesaggi, mani, nuvole, onde. Silenzio. Appena un po’ di luce delinea la nera figurina che è intenta a scrivere su di un grande quaderno  

 

Agosto 1823 ‒ Il mio passatempo preferito era scrivere storie anche se i miei sogni erano più fantastici e più piacevoli di quello che scrivevo. Era naturale per me come respirare. Mi piaceva sognare ma i miei sogni non li raccontavo a nessuno. Volevo sentirmi in compagnia di me stessa. Complice di me stessa. Quando le visioni figlie dei sogni prendevano corpo e colore, odore e sostanza, scrivevo. Nei giorni in cui progettavo il Frankenstein ero terrorizzata, da me, dalla mia fantasia, dalla capacità che avevo di rievocare e dare vita ai personaggi di una storia tremenda, eppure la scrivevo, come se fossi posseduta, come se non potessi sottrarmi all’angoscia maligna che srotolava i suoi fili e scrivendo tentassi di raggomitolarli e tenerla a bada…

 

Si alza e parla tra 

Ieri, passeggiando con il babbo, quel manifesto presso il Covent Garden sulla riduzione teatrale del Frankenstein… l’ho visto per caso. Il mio Frankenstein, il moderno Prometeo, l’avevano portato sulla scena…

Grande successo, pare successo… Che m’importa oramai. Ho provato uno strano sentimento tra il fastidio e lo stupore. Mi sentivo fuori posto, non ero io, ero un’altra Godwin ne è stato molto orgoglioso, io sono semplicemente incredula…

 

C’è meno luce, Mary scrive . Una candela è accesa

 Villa Diodati… era il maggio del 1816… una vita fa… rimanemmo là fino alla fine d’agosto. Era freddissimo, umido e sgradevole, la pioggia incessante ci costringeva spesso a casa per giorni e giorni, intorno al caminetto acceso anche se era piena estate. Si passava il tempo a chiacchierare a raccontarci delle meraviglie della scienza, della misteriosa forza è nell’elettricità e di Volta che a Londra s’incaponiva a fare esperimenti sulle rane morte e le faceva muovere con scariche elettriche. Tutto questo ci appariva meraviglioso. Si leggevano anche storie di fantasmi che ci erano capitate tra le mani, Claire, Byron, Shelley, Polly Dolly e io.

Polidori… Povero ragazzo. Gli avevamo affibbiato questo feroce soprannome per i suoi modi affettati… Ha fatto una brutta fine… ammazzarsi così giovane. Il laudano è troppo facile ad usarsi, è una tentazione per le anime deboli… Anche Fanny, povera straziata sorella mia… anche lei l’ha fatta finita così.

Fu Lord Byron a proporci di scrivere una storia di fantasmi e tutti e quattro. Byron, Polidori, Shelley e io, forse anche Claire scrisse qualcosa ma non lo concluse, ci mettemmo all’opera. Per me non fu davvero un divertimento. Mi sentivo come presa da un vortice, inghiottita, risucchiata. Andavo sempre più giù. Dentro quel pozzo nero io rimanevo stranamente immobile, era come se mi osservassi, o meglio, osservassi qualcosa che lavorava nella mia mente e che non capivo.

 

Alza la testa dallo scritto, appare assorta

Eppure ero rapita dal mare selvaggio e dai luoghi inesplorati che stavo per esplorare. Le mie percezioni erano il mondo.

 

Cambia la scena

 

MARY SHELLEY

Più giovane, con un vestito diverso, scrive su un bianco, grande libro

luglio 1816

Shelley e Byron hanno abbandonato presto l’impresa, troppo banale hanno detto. Polidori e io siamo affascinati da quanto la nostra fantasia produce. Mostri e vampiri abitano i nostri sonni. Sono diversi da quelli delle favole, questi ci sono accanto, ci divorano, ci rendono inerti come bambole di pezza.

 

Montavert, 21 luglio 1816

Le Alpi sono sempre davanti a noi mentre camminiamo… la strada ci porta attraverso una valle fertile e ampia, circondata da montagne, coperte da foreste di pini e castagni…la scena assume un carattere più selvaggio e colossale… per la solitudine inaccessibile, indomabile che suggerisce… C’è qualcosa di  così  divino in questo scenario…

 

24 luglio, mercoledì

Io e Shelley iniziamo la scalata verso Montavert. Non c’è niente di più desolato di questa montagna, alcuni alberi sono stati travolti dalle valanghe, altri sono tutti piegati, in mezzo si stendono distese di pietra. In questa grande desolazione scrivo mentalmente il mio racconto. Senza carta né penna, scolpisco  parole nella mia testa, pesanti come pietre.

In questa immensità che confina col cielo io sono poca cosa. Percy mi tiene per mano ma io salgo a fatica e mi sento sola.

 

25 luglio 1816

Ci sono state numerose e lunghe conversazioni tra Lord Byron e Shelley delle quali io sono stata un’ascoltatrice devota e silenziosa. Forse un cadavere poteva essere rianimato, il galvanismo aveva dimostrato tali possibilità: forse si sarebbe potuto produrre le parti componenti di una creatura, metterle insieme, dotarle di calore vitale, dicevano. Galvani e Volta usavano l’elettricità per animare rane morte, chissà se si poteva fare altro per sconfiggere la morte, la decomposizione…  Fu durante quelle chiacchierate che la mia immaginazione iniziò a donarmi, una dopo l’altra, immagini che generavano altre immagini in rapida successione, con una vivacità molto al di là degli usuali limiti delle fantasticherie. Ero incapace di oppormi con la ragione a quelle visioni tumultuose, torbide, maligne che affioravano con prepotenza dal vuoto nero delle memorie.

 

18 agosto, domenica

Con Byron e Monk Lewis e Shelley parliamo di spiriti. Né Byron, né Monk Lewis ci credono; e tutti e due affermano che chi crede negli spiriti non può non credere anche in Dio. Non credo assolutamente che chi afferma di non credere agli spiriti non ci creda davvero; o forse sì, di giorno, ma la solitudine e l’avvicinarsi della mezzanotte possono indurre a un maggior rispetto verso il mondo delle ombre. A me è successo.

 

20 agosto 1816

Era notte fonda quando vidi ‒ con gli occhi chiusi ma con un’acuta visione mentale ‒, io vidi il pallido studente di arti proibite inginocchiato di fronte alla cosa che aveva messo insieme. Vidi la forma orribile di un uomo disteso, e poi, grazie all’opera di qualche potente strumento, lo vidi dare segni di vita… Aprire gli occhi, grandi, gialli, pieni di pensiero.

È spaventoso. Perché affiorano nella mia mente queste tremende visioni? Perché prendono il sopravvento e non riesco a tenerle a freno?

Sto male, ho paura, la morte mi afferra per i capelli, aiutatemi. La mia bimba è morta nella culla… L’avevo allattata, stava bene. Sono andata a prenderla ed era morta. La mia bimba senza un nome ancora, così piccina e indifesa. Anche io sono sola a fronteggiare la morte. Vorrei urlare “aiutatemi”, ma la voce non viene fuori, rimane a farsi nodo nel fondo della gola e io urlo con la testa, con il cervello e mi dibatto e sudo. Ho tanto freddo. Aiutatemi.

Nessuno mi aiuta. Neppure Hogg. Neppure Shelley, che mi guarda sgomento e non ce la fa a dirmi niente. E Claire è troppo presa da se stessa. E Godwin mi ignora. Sono al bando. Sono una creatura mostruosa anch’io. Ho preso tra le braccia la bimba ed era morta. Morta. Sola, nella culla, senza di me, senza che la consolassi, la accarezzassi. Dovevo essere attenta, non lasciarla neppure per un attimo, forse non sarebbe morta.

Non aveva ancora un nome, piccola tenera cosa indifesa.

Era mia, l’amavo tanto e non c’è più. Un attimo e niente. Tutto finito.

Non ha neppure pianto, non ho il ricordo del suo pianto. Dei suoi occhietti blu. Riesco soltanto a sentire, ancora caldo sui miei seni il tenero e risoluto tocco delle sue piccole mani che cercavano il latte.

 

VICTOR

Parla sottovoce, è solo su una scena nera e vuota

L’invenzione consiste nell’abilità di cogliere al volo le possibilità di un soggetto e nella capacità di modellare e foggiare seguendo un idea. Vero. La mia idea della Cosa è imprecisa, tuttavia devo provare. Ecco, mi basta sia un essere che viva. Io voglio fare un essere vivente. Le teorie scientifiche sostengono che è possibile. Io sarò il primo a realizzarle.

 

28 agosto

Mary parla tra sé mentre scrive

Il mio mostro deve essere spaventoso e cattivo. Orrendo. Deve essere emarginato e punito, rifiutato. Ma sento compassione per lui. Non ha mai provato gioia né amore, sembra nato per la sofferenza. Proprio come me. Non ha un nome, non lo avrà. Anche la mia bambina non aveva ancora un nome quando non si è più svegliata. Il mio mostro non avrà nome perché non è un uomo. Non è considerato un uomo da nessuno. Non ha il nome come non lo hanno i gatti del contadino. Sono lì a fare un servizio, una presenza. A chi importa di loro? Di me?

Come lui ho conosciuto solo mio padre, e ora anche mio padre mi rifiuta perché mi sono ribellata, ho fatto di testa mia. Come il mostro che ho inventato. Anche lui si è ribellato a chi l’aveva generato. Io sono il mostro, la cosa inespressa e barcollante che si muove nell’incubo.

Ho paura. Ho paura di quello che affiora senza controllo nelle pagine che scrivo.

No. Il mostro è il malvagio, è la personificazione del male, va emarginato e punito, rifiutato senza appello. Né gioia né amore per lui, perché è stato generato  dalla sofferenza e per la sofferenza.

Anche io.

 

VICTOR

 

In piena luce recita con impronta impostata

 Raccolsi ossa da cripte e disturbai con dita profane i tremendi segreti del corpo umano. La sala anatomica e il mattatoio mi fornivano la maggior parte dei materiali; e spesso la mia natura umana si ritraeva con ripugnanza dalla mia opera… Chi può immaginare gli orrori del mio segreto lavoro, mentre sguazzavo nell’empia umidità delle tombe o torturavo gli animali ancora vivi per animare la materia senza vita?

Vidi in che modo la delicata forma dell’uomo si degrada e si distrugge; osservai la corruzione della morte prendere il sopravvento sulla guancia fiorente di vita; vidi il verme prendere possesso delle meraviglie dell’occhio e del cervello…

 

MARY SHELLEY

Seduta sotto un albero, scrive

Marlow, 29 settembre 1817

Cari Gisborne,

grazie per gli auguri che mi fate per la nascita di Ca. Sono felice, la bambina è bella e sana. Anche Willie Mouse la guarda estasiato come se fosse un nuovo giocattolo. Sento che vi trovate bene a Livorno, che la città è bella e con un clima dolce che farà sicuramente bene ad entrambi. Vorrei venire con i bambini il prossimo anno. La città mi incuriosisce, mi stimola, mi suggestiona. Quello che leggo sui giornali che arrivano quassù mi da l’idea di una città dove le donne contano qualcosa, sono libere di fare quello

in cui credono, sono indipendenti e spavalde. Mi ha colpito la storia di quella signora Dupuy… Fatemi sapere gli sviluppi se ci saranno. Livorno, forse sarà opinione esagerata, mi appare come città proiettata nel futuro. Percy si unisce a me nei saluti, vostra Mary

 

Mary appare con la maschera del mostro

(scrive sul libro bianco e dice sottovoce quello che va scrivendo)

C’era un giovane francese, Felix si chiamava, figlio di un nobile cieco, che volle aiutare un ricco mercante turco, della cui figlia era innamorato, a fuggire dalla galera a Parigi, dopo una condanna per frode.

Felix condusse la fuga del mercante e della figlia Safie attraverso il Moncenisio fino a Livorno ove il mercante aveva deciso di attendere un’opportunità favorevole per passare in qualche zona dei domini turchi. Safie decise di restare con suo padre a Livorno e il turco promise di nuovo che lei si sarebbe unita al suo liberatore, appena le acque fossero calme, mentre  aveva ben altri progetti.

Sì, Livorno, ben si presta, e poi dopo tutto quello che ho saputo sulle donne livornesi.. ridacchia. Turchi, inglesi, armeni, greci, ebrei, olandesi… Donne indipendenti che tengono testa ai padri, alla chiesa e ai mariti, bene…

 

 MOSTRO

 

(una voce maschile, cavernosa. La scena è vuota. Sullo sfondo occhi 
gialli si muovono guardando. La voce colma la scena)

Ah Safie, Safie, dolce creatura, quanto riesci ad amare. Diffondi intorno a te vita e forza. Tutti ti amano e tutti riesci ad amare. Me, no. Io sono l’escluso.

Maledetto creatore! Perché  hai plasmato un mostro così orribile che persino tu ti sei allontanato da me con disgusto?….Satana aveva i suoi compagni, i diavoli ad ammirarlo e incoraggiarlo; ma io sono solo e detestato….come Satana porto un inferno dentro di me e non trovo alcuna comprensione.

Provo il desiderio di sradicare gli alberi, di spargere intorno a me sterminio e distruzione e di sedermi poi a godere di quella rovina…io dichiaro guerra perpetua contro la specie umana e soprattutto contro te che mi hai plasmato e condotto verso questa insopportabile infelicità. Tutti gli uomini odiano i miserabili; quanto dunque devo essere odiato io, che sono il più miserabile tra i viventi. Aiutami. Aiutatemi.

Mi sono macchiato di orribili delitti, Justine, il piccolo William. Aveva un carne così tenera, un agnellino che ho sacrificato. Aiutami, padre, crea per me una compagna. Con lei scomparirò in luoghi nascosti, deserti di ghiaccio o di polvere. Sarò al sicuro. Non ucciderò più. Aiutami.

 

DOTTOR FRANKENSTEIN

È un manichino, vestito di grigio, appena illuminato

Vattene viscido insetto, o meglio, resta, così che io possa far rivivere le vittime che hai assassinato diabolicamente, ponendo fine alla tua schifosa esistenza. Vattene, risvegli in me ogni istinto bestiale, trasformi ciò in cui credo in arida menzogna.

 

Voce del mostro

(Sulla scena si proiettano mani, in movimento. In bianco-nero)

Tu, il mio creatore, vuoi uccidermi? Come puoi giocare così con la vita? Tu sei mio padre. Tu mi hai generato. Almeno tu devi amarmi, compatirmi almeno. Io amavo l’umanità che mi rifiutava .Come puoi non aver pietà di me, della mia solitudine.

Solo le montagne deserte e i lugubri ghiacciai sono il mio unico, solitario rifugio. Qui le mie parole si disseccano, i miei sguardi s’accecano contro il brillare maligno della luce, il mio cuore duole e una insopportabile pesantezza nel ronzio del mezzogiorno tormenta tutti i miei sensi. Scorgo nel mio vagare volti che tradiscono debolezza e dolore. Nelle strade a mezzanotte sento come la bestemmia di una giovane prostituta rinsecchisca le lacrime di un bimbo appena nato… vale vivere in un mondo così fatto, dimmelo… Devi amarmi, accettarmi per quello che sono.

 

Silenzio, 

Musica 7

 

Capitano Walton

(La scena è vuota e bianca. Luce fredda a taglio)

Il capitano è al Polo Nord e vede sfinito tra i ghiacci il Dottor Frankenstein 
durante l’inseguimento del mostro. L’attore è di spalle al pubblico.

Non avevo mai visto una creatura più interessante: i suoi occhi hanno un’espressione feroce, quasi folle, ma ci sono momenti in cui tutta la sua espressione s’illumina come in un lampo di benevolenza e di dolcezza di cui non ho mai visto l’eguale. In generale è malinconico e disperato e qualche volta digrigna i denti, come se non sopportasse il peso del dolore che l’opprime…

 

 WALTON

 Ha in mano la lettera che ha scritto alla sorella e la rilegge

 Cara Margherita. È un giorno di dolore. Il dottor Frankenstein è morto. D’improvviso, davanti al suo cadavere, è apparsa una terrificante, nera, disperata creatura mostruosa che ha pianto, ed ha detto uno struggente elogio funebre. Ed è scomparsa con la stessa stupefacente immediatezza con cui si era materializzata poco prima. Ha pianto mentre faceva l’elogio funebre…

 

Il Mostro

Una figura altissima, nera appare nel bianco della scena

Addio, ti lascio, e tu sei l’ultimo uomo che questi occhi vedranno… Salirò in trionfo sulla mia pira funebre ed esulterò nell’agonia delle fiamme che mi tortureranno. La luce dell’incendio scomparirà; le mie ceneri saranno sparse nel mare dai venti. Il mio spirito dormirà in pace o, se pure penserà, certo non penserà in questo modo (le parole che va dicendo si affievoliscono ma il mostro non cessa di parlare anche se non si capisce ciò che va dicendo).

 

In controluce, Mary parla sottovoce

 MARY

 A volte mi sveglio dalla monotonia delle mie visioni e dei miei pensieri, poi, con la stessa squisitapena che si prova nel fermare il fluire del sangue, fermo i mie pensieri… sento un’incredibile tenerezza per coloro, anche estranei, che risvegliano in me tali pensieri, che evocano in me tale armonia, e vorrei strappare il velo di questo strano mondo e fissare con occhi d’aquila il sole… voglio amare gli alberi, il cielo e l’oceano… voglio amare ciò che è… voglio non aver paura di discendere nelle caverne più profonde della mia mente…

 

Musica in sottofondo

 Voce maschile  anonima

legge come un notiziario

 15 luglio 1822

il mare restituisce il corpo di Shelley sulla spiaggia di Viareggio. Il poeta ha in tasca un volume di Sofocle; nell’altra un volume di poesie dell’amico Keats, con una pagina ripiegata, come se l’avesse frettolosamente riposto. Non si è appurato ancora se Ariel abbia fatto naufragio per la tempesta o per l’incursione di pirati risicatori che infestano le acque nei dintorni. Di sicuro la barca potrebbe aver cozzato sugli scogli della Meloria dato il tempo proibitivo; un ponente di forte intensità o una delle tante trombe marine che si formano al largo in direzione nord ovest potrebbe aver causato il fatale incidente.

 

MARY

San Terenzo, 23 luglio 1822

Sono le sei del mattino, l’aria è fresca dopo la pioggia incessante della notte passata. Sul mare c’è una leggera nebbia ma il sole si è alzato e la spazza via. Sento d’improvviso, realmente, con forza che Shelley è morto davvero. E so che questo dolore mi sarà accanto per tutto il resto della mia vita, mi morderà le calcagna come una iena per impedirmi di vivere.

Shelley è davvero morto. Non c’è più. Non lo vedrò più. Tutto finito. Vuoto. Assurdo. Morto, disperso. Le sue ceneri disperse. Il suo cuore in una scatola. Un regalo agli  amici cari. Io non lo voglio. Il suo cuore era troppo grande e libero per stare dentro una scatola. Devo lavorare anche per lui. Tutti dovranno amarlo per la sua poesia e per la sua generosità. Amarlo quanto io l’ ho amato.

Sono sola ! Le stelle possono vedere le mie lacrime ma i miei pensieri sono come un tesoro sigillato, che non posso confidare a nessuno… sono ridotta a queste pagine bianche che macchierò di neri pensieri…


Biografia di Kiki Franceschi


 

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