GIUSEPPINA PALO, Idyllic Land

POESIA IN CAMPANIA


(Idyllic Land, Terra Idilliaca: e proprio tale sembra, o ci illude ad oltranza, il mondo e lo scenario tutto della poesia – fuor di metafora. Non che sia sempre totalmente vero, ma certo conta lo spirito, l’idealità, lo sguardo giusto per vivere, farsi Terra d’Idillio di ogni luogo visitato anche col cuore, e dove il corpo va a passeggio con l’anima, mano nella mano, mentre lo sguardo scrive.

Giuseppina Palo, da anni, eterna ragazza, fanciulla e poi donna devota, maternale di poesia, vede, salva la lirica ovunque: nei paesaggi che una vacanza attraversa come se li scoprisse, l’inventasse d’incanto; o nell’eco suadente e cadenzato di una musica che ha liberato a nome di tutti, di ogni giovinezza o beat generation, e la mente e il cuore. “Terre inesplorate”, “foreste fluttuanti, visioni di spazi immensi, / annunci di giustizia”… che affabulano da allora e per sempre sia la fantasia che l’habitat onesto, creaturale della sua casa: “fra pizzi e letti d’ottone”, “imbanditi cortili”, “nozze festanti”.

È un viaggio continuo, il suo, di cui ancor più ci convincono le nuvole, che il sereno troppo azzurro: “Il belvedere dei casali arrugginiti”, ecco i suoi scorci e accenti migliori; una quiete faticosa, dinamica, eppure perennemente dolce, e vera: “Il Soratte candido dissigilla la resa della tempesta”. E ancora e sempre si aspetta, si rispetta “la ripresa del rumore della vita”; perfino troppa “polvere e nodi incespicosi / e tele di ragni che avvolgono”.

Stupisce e consola, questa dedizione fedele alla poesia, al placebo o antidoto del verso: questo colloquiare fitto della vita con se stessa, con noi stessi… Giusy scherza di una “nuova biologia aristotelica”: ma il suo vero messaggio è il Nòstos, il ritorno. Il suo viaggio in Sardegna in cerca di radici, è (im)memorabile. Insieme al dolce comprendere che l’amore, alla fine, salva dalla ferita della vita – ma anche che è la ferita (ogni poesia cicatrizzata, ridonata), ora lo sappiamo, che ci salva la vita. Cioè, l’amore – Plinio Perilli, L’idillio ininterrotto di Giuseppina, aspro e dolce viaggio, conforto di poesia).

* * *

Le valigie di una donna

Le valigie di una donna profumano
di terre inesplorate,
vestite di foreste fluttuanti;
da opachi finestrini si intravedono
profili sinuosi,
coperti da piume sgargianti.

E i suoni dei sensi confondono
fra pizzi e letti d’ottone,
da allora sognanti;
quando bionde trecce tesséano,
su tovaglie di imbanditi cortili,
le nozze festanti.

 

 

Solvitur ambulando

Il cielo coperto è a un’ora da Teano.
Le autostrade sotto i piedi del passato-presente.
Un acquazzone improvviso bagna i fiori del deserto.
Staccato il filo del telefono e adesso danzi sulle punte.
La ragione ruota sul grigio e gli schermi.

Il belvedere dei casali arrugginiti,
i campi sterminati come le cosce di un uomo.
Il Soratte candido dissigilla la resa della tempesta.
Fari al neon puntati sul castello delle aquile.

 

 

Tu guardi

Come i pini fra i valichi di erbe
frenano terreni
così la ripresa del rumore della vita
sfreccia su nevi evitando
solite scale da lavare i soliti bicchieri
da lucidare polvere e nodi incespicosi
e tele di ragni che avvolgono.

Non piastrelle sporche non vetri opachi.
Non piatti incrostati.
Non letti perfetti.
Quadri su muri e canti di libertà,
posate d’argento e sipari nuovi.
Stoffe su un corpo avvizzito
che si nutre di datteri dell’Asia.

E cipressi non già cimiteri
ma ville e ristori in pieno relax.

 

 

 

 

Delle Scienze della Vita

A oriente, scendendo da Baunei
verso Santa Maria Navarrese,
parole, immagini, pecore, fichi d’India,
piante mediterranee…

Dovevi spostare antropologicamente
il passo dalle mattonelle del bagno
al nòstos, fra frammenti di roccia
e schegge di mare, levigate dall’acqua.

Non provocano ferite.
E il collo – non importa abbronzato,
ciò appartiene all’estetica della vanità −
accettando il massaggio del sole, s’eleva
per la sopravvivenza del corpo, come le giraffe.

Da qui alla mente la pulsione che ravvifica
è di una nuova biologia aristotelica.

 

 

Nòstos

Dal vaso della Costiera amalfitana,
blu, dal ramo verde e giallo
e dai fiori del cielo e dell’alba,
che con cura riponi sul mobile,
appena spolverato, trovi rifugio
e approdi lungo la spiaggia,
fra i vasellami romani, in ceramica,
di Turris Libisonis, in Sardegna.

Dal vestito bagnato di casa,
innaffiato dal rubinetto della cucina,
mentre lavi, acque turchesi
ti inebriano sulla cala deserta.
«Tu sei il gabbiano, Jo, forte e selvaggio!».
e memorie antiche ti pervadono,
perdendoti nella musica del vento,
per poi ritrovarti, smarrita e lucida,
nei fogli della quotidianità.

Tu casa, tu nave, tu marinaio, tu uccello
dalle tempeste trovi riparo ideale,
dalla routine costantemente evadi,
perennemente ritorni sui tuoi passi.
«Mantieni il bacio! L’amore ci salva dalla ferita…».

(Citazioni da Louisa May Alcott e Massimo Recalcati)

 

 

 

 

Fiori d’arancio e muschio nei viali di eucalipto
Gigli e limoni sulle terrazze della costa

Lo sgretolamento delle rotte condusse
le forze residue nei bassifondi della disperazione.
Disuguaglianze e assilli climatici chiusero strade
con massi e recinti di filo spinato.
Vi fu un disorientamento di merci e di uomini
circolanti nel vuoto.
Élite di spie manovrava corpi chini
su smartphones.

Poi le minacce vennero annientate da bussole
e la musica regalò alla terra un canto nuovo.
«… È una liturgia di dolore e di allegria
questa musica, Deus meu!
Perché musica è la voce di ogni popolo
che raccoglie tutta la sua eredità…»*

Visioni di spazi immensi,
annunci di giustizia,
vicoli dai graffiti pacifisti,
fra metropoli stellari.
Sulle stampe e sulle mappe di brughiere,
il giardino rigoglioso rifiorì, fra le morte stagioni,
nel preludio della rigenerazione delle essenze.

E il Chicco glorificato donò ancora frutto,
fra i nuovi germogli di grano.

* Maria Carta Le Memorie della Musica


Biografia di Giuseppina Palo


 

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