GIULIA MARTINI, Coppie minime

DICHIARAZIONE DI POETICA

 

Ovunque sali
e da ogni parte parti.

 

Quest’immagine di fuga molteplice, fuga che rende impossibile l’inseguimento, è una delle prime della sezione eponima di Coppie minime (Interno Poesia, 2018).

Mi sembra che un discorso (tra i tanti plausibili) sul gesto poetico potrebbe partire, appunto, da qui: dal fatto che il tu è qualcuno che vince nell’allontanamento, un maestro dell’arte di andarsene.

Un andarsene che però «conviene», anzi, è forse necessario alla scrittura, che si pone da un lato come evento e dall’altro come tentativo.

Il tentativo è quello seriale del ricongiungimento, nelle declinazioni del canto insistente («suono invano a prendere») e del rito («Tutto quello che ha un rito / ti ripropone»), e i cui esiti sono il canto stesso («Non allontani da me questo canto. / Canto questo») e montaliane, occasionali epifanie («Eri lì: mi guardavi da uno specchio»).

L’evento, invece, ha una misura speculativa: chi scrive ha necessariamente un occhio rivolto «verso quello che rimane», la sua è un’indagine ri-cognitiva, un’operazione storiografica.

Ecco perché la poesia delle origini, quella dei trovatori, prende la forma dell’amor de lonh: «m’es belhs dous chans d’auzelhs de lonh», mi piace il dolce canto degli uccelli di lontano (Jaufre Rudel, Lanquan li jorn son lonc en mai). Perché «se tu mi ricrescessi […] tacerei»: se tu tornassi, smetterei di ripetere questa tradizione, che favorisce la solitudine.

*

Se tu mi ricrescessi nel basilico
se lì con poco estro del mio basico
italiano del mio terreno basito
che ti allontani da un sepolcro vuoto
come farebbe ogni bravo cristiano,

se tu mi ricrescessi nel basilico
o preferisci il ramerino il nespolo
o la spinalba che ti colga un nesso
nuovo – e non ti rincresce mentre bruci
senza che si consumi questo rovo,

se tu mi ricrescessi nel basilico
come una selce, un osso nello scheletro –
tacerei spesso, t’aspergerei di pianto.
E non starei più a chiedermi qualesso
ti parli d’acanto e ti rimanga accanto.

 

*

Io rime, tu rimedi.

Tu vai verso quello che credi,
io verso quello che rimane.

 

*

Che tutto si riappacifichi
prima di addormentarsi.

Come quando al supermercato
uno si perde di vista,
e dopo frenetica caccia

ci si riacciuffa di corsa,
la borsa degli acquisti
lasciata davanti all’ultima
offerta Santa Lucia.

Questa è la mia –
la nostra – attitudine
nel mezzo neon a led della corsia.

 

*

“Ma tanto la felicità non dura” –

magra consolazione, che riponi
nel frigo fra la frutta e la verdura.

 

*

Fisso un punto nel vuoto.
Chi mi darà le prove?

E non so più il tuo prefisso,
se tre tre tre o tre tre nove.

*

Ite missa est. Di te mi si è
spenta per sempre qualche lampadina.

Non so se non mi cerchi o è il telefono
che giudica e manda secondo chi chiama.

La preghiamo di attendere in linea…
Talmente in linea che divento magra.

 

*

La traccia del poema
modulata su un suono
mi sembra la tua faccia.

Appare la facciata
del Duomo in piazza Duomo
come un grande problema.

(dalla sezione Coppie minime)

 

*

La traccia del poema
modulata su un suono
mi sembra la tua faccia.

Appare la facciata
del Duomo in piazza Duomo
come un grande problema.

(dalla sezione Deserto per modo di dire)


Biografia di Giulia Martini


 

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