GIOVANNI RUGGIERO, Intervista a Prisco De Vivo

L’ultima personale di Prisco De Vivo – l’ha voluta chiamare “Affondo Celeste”, in mostra alla galleria Pagea di Angri – induce ad alcune riflessioni sul rapporto tra arte sacra e arte contemporanea. Per la prima volta, infatti, De Vivo presenta il suo ciclo di opere incentrate sul tema del sacro, e lo fa con la sua cifra: il figurativo che sfocia nel concettuale. Spinge a riflettere su questo rapporto anche la nota critica della mostra di Annibale Rainone che si sofferma su una “difficile sintonia”: il sacro e l’arte contemporanea, che faticano a incrociare i propri statuti.

L’impressione che si ha davanti alle opere di “Affondo Celeste” (penso alla sua Sant’Agata e al Crocifisso) è che il pittore De Vivo abbia voluto “destrutturare” il sacro. La sua arte, appunto con questa “destrutturazione”, si fa sempre più concettuale, pur restando, sostanzialmente nel figurativo.

Le ferite che furono inferte a Sant’Agata, quelle stesse che San Pietro risana, sono “elencate” sulla tela, sotto forme di pigmenti di colore, come pure è stato precisato. Sicché ciascuno possa “ricostruire” il proprio sacro, ricollocando (se ritiene vera la vita della Santa) le ferite “citate” sul corpo martirizzato. Con un percorso mentale analogo, ciascuno ricostruisce, nella propria coscienza, il Cristo che il maestro De Vivo, solo apparentemente, presenta nella forma incompiuta.

L’arte moderna è in grado di rappresentare il sacro? Possiamo distinguere tra “capacità” e “volontà” di rappresentarlo, ma prima bisogna chiarire cosa si voglia intendere per sacro. In una parabola ampia, quando l’arte (che è stata figurativa per secoli, se non per millenni) finalmente rinuncia alla forma, è evidente che non è più “capace” di rappresentarlo. Pur volendo. L’arte sacra, per secoli, ha avuto precise funzioni. Chiedendo a un artista una rappresentazione sacra, il committente intendeva, con l’opera realizzata, veicolare precisi messaggi, destinati non ad un semplice fruitore d’arte, ma all’intera comunità cristiana.

La Madonne che nell’alto medioevo mostravano il Bambino, quasi ostentandolo, volevano dire agli eretici: è venuto veramente al mondo, si è fatto uomo, potete crederci. E si è fatto uomo, aggiungevano le Madonne, allattando il Bambino come ogni mamma allatta il figlio. Poi le Crocifissioni che avevano un messaggio preciso. Dicevano: egli ha sofferto. Tanto che è morto di queste sofferenze, e  le  tante deposizioni  lo mostrano. Infine, è risorto.

L’arte moderna può rappresentare il sacro, ma non con la stessa funzione del passato perché, perduta l’essenza figurativa, e facendosi informale, i suoi “messaggi” teologici, di propaganda e di evangelizzazione sarebbero difficilmente compresi.

Ovvio, nulla impedisce oggi a un artista di ripercorrere a ritroso la parabola della storia dell’arte, di collocarsi in uno dei suoi punti passati, e di riproporre quella stessa arte. Ma sarebbe soltanto un passo indietro, senza senso, che non segue questa parabola che è un fatto storico.

Prisco, mi sembra che tu non commetti questa ingenuità, quella di dire che gli altri prima di te hanno già detto?

Penso spesso che l’arte quando è tale dovrebbe essere la misura più alta dell’espressione; quindi, l’artista, se opera in buona fede e con la sua originalità, non commette mai l’ingenuità del “già detto” come dici tu.

Tra l’altro, voglio ricordare che, anche quando si sceglie una condizione classica di fare arte bisogna fare i conti con la propria contemporaneità.

Giacomo Manzu, per esempio, diceva: «Io faccio arte perché mi è una necessità indispensabile all’anima». Oggi, può essere considerato “un linguaggio artistico” innovativo se ha una partenza spirituale.

Intuisco, anche, che tu destrutturi la forma della tua opera, ma, anche, il messaggio lasciando a ciascuno l’obbligo o la facoltà di dargli un senso. È  così?

Bisogna prima di tutto “capire la radice delle cose” e poi attribuirgli un senso. Il mio destrutturare la forma parte da un pensiero abbastanza remoto. In ogni caso, parlerei della bellezza delle icone russe, nel periodo dove c’era un grande interesse per la “trascendenza” per la sapienza divina. Ogni rappresentazione veniva tradotta dal proprio spirito e trasformata con un codice nuovo visivo dettato da una concentrazione sulle forme celesti.

Ebbene, con un’esperienza ed un vissuto completamente diverso cerco di lasciare il mio messaggio su questa impronta già tracciata.

Intanto, cosa ti spinge ad affrontare l’arte sacra se è difficile la ricezione di essa nel nostro momento storico?

Credo che il nostro momento storico sia più vicino ad un “medioevo tecnologico” imbruttito naturalmente dal suo superfluo. Credo, anche, che la maggior parte delle persone vorrebbe ritrovare la propria spiritualità nascosta e, talvolta, sommersa da interessi puramente edonistici.

Io, intanto, mi ritrovo come un artista controvento che spinge la sua tavolozza luminosa nel pieno della bufera.

Paradossalmente, in questo tempo, il mio messaggio artistico può avere più credibilità di trenta o sessant’anni fa, quando si era nel pieno boom economico e nella crescita consumistica.

La tua spiritualità cosa vuole attraversare?

Sì! La mia spiritualità vuole attraversare “l’intimità soprannaturale”, quella che ha creato le visioni più belle e poetiche nella storia dell’uomo moderno. Basti pensare agli scritti di San Giovanni della Croce, Santa Teresa D’Avila, San Francesco D’Assisi e Santa Teresa di Lisieux. Possiamo alimentarci con le loro descrizioni poetiche, le quali sono opere immense ed ispirate al divino ed a una coscienza “quella di rendere visibile l’invisibile”.

Il tuo Sacro risponde soltanto alle tue intime esigenze, o ad altro?

Potrei, sicuramente, risponderti che nell’intimo saziano la mia anima, ma non è soltanto questo.

Al di là dell’aspetto devozionale, credo che non c’è una condizione più alta di un’opera d’arte quando quell’opera entra in contatto con tutti i ceti sociali, in tutte le epoche ed in tutte le culture; quando fa vibrare le somme intelligenze e le più aride ignoranze.

Se pensiamo al periodo barocco, per esempio, al sommo Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, che con la sua opera “La madonna dei pellegrini”, conservata nella Chiesa di Sant’Agostino, mette in risalto i piedi sporchi e sudici dei due pellegrini che venerano una madonna col bambino, che è resa come una popolana davanti ad un portale. Chiunque passava in quella chiesa rimaneva ammutolito dalla sua sacralità e si faceva il segno della croce.

Il corpo per te è solo un simulacro?

Il corpo di ognuno di noi dice tutto. È un vero simulacro dove risiede la nostra spiritualità, e la nostra carnalità. Il corpo accresce e decresce il nostro spirito.

In questo momento, mi viene in mente una performance del 1975, quando Fabio Mauri, alla Galleria di Arte Moderna di Bologna, fece sedere Pier Paolo Pasolini su una sedia e gli fece proiettare sul suo torace il suo film “Il vangelo secondo Matteo”. Tuttora, sono davvero suggestive quelle foto che documentano quel momento. Il corpo del poeta diventa schermo delle proprie visioni.

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