GIOVANNI CARDONE, Dopo la Seconda Guerra Mondiale. Una raffinata produzione scultorea

SAGGISTICA


Nel mio percorso di ricerca storiografica ed particolar modo in questo saggio ho cercato di  affrontare la scultura italiana dal secondo dopoguerra dalla fine degli anni cinquanta del Novecento  che significa scontrarsi con un paradosso, molti studiosi continuano ad apportare significativi  contributi sulla scultura italiana dei primi quattro decenni del secolo scorso e sono sempre più  radicati gli studi sugli anni sessanta, la produzione plastica italiana dalla metà degli anni quaranta  alla fine dei cinquanta è un terreno sostanzialmente se non proprio del tutto non esaminato.

L’Italia uscì duramente sconfitta dal secondo conflitto mondiale, lacerata dalla guerra che aveva  procurato lutti, rovine e miseria e dilaniata dall’interno da anni di lotta armata civile. L’orrore e la  tragedia di quanto vissuto restò vivo negli animi dei superstiti. Nel campo dell’arte avvenne una  profonda presa di coscienza da parte degli artisti che si fecero interpreti di quel profondo dolore.

I gruppi che avevano animato il dibattito artistico negli anni precedenti il conflitto si erano ormai  sciolti, e molti di quei protagonisti si unirono a nuovi schieramenti, con nuovi programmi, che  animarono un nuovo dibattito nell’Italia del secondo dopoguerra. La polemica che infiammerà le  discussioni in quegli anni ruotò attorno la querelle fra realisti e astrattisti, che si fondava sulla divisione netta di due linguaggi teoricamente inconciliabili.

Nel febbraio del 1946 sul primo numero della rivista milanese «Il ’45», diretta da De Grada, fu  pubblicato un saggio di Mario de Micheli intitolato Realismo e poesia, che fu considerato il primo  manifesto ufficiale del realismo. Nel marzo dello stesso anno sulla rivista «Numero», sempre a  Milano, fu pubblicato il Manifesto del realismo, detto anche Oltre Guernica. Oltre Guernica è il  manifesto artistico del realismo di pittori e scultori, stilato a Milano nel 1946 da un gruppo di artisti,  Ajmone, Bergolli, Bonfante, Dova, Paganin, Peverelli, Tavernari, Testori, Vedova, Morlotti, in  occasione dell’omonimo premio.

Nel manifesto si danno per scontate le ragioni dell’impegno politico e si ribadisce la necessità di un  legame stretto con la realtà e la scelta espressiva della figurazione. Il manifesto del realismo è pubblicato su  «Argine Numero» e «Il ’45»: uscirà solamente in tre numeri.  Fondamentale è la proposta di Cezanne considerato l’unico pittore moderno. Birolli guarda al  cubismo picassiano senza troppo preoccuparsi se queste scelte siano rispondenti alle esigenze del  partito, per cui dal 1950 le sue immagini vireranno sempre più verso matrici tendenti all’astrattismo.

Per lui la pittura è architettura di emozioni. Morlotti, Cassinari e Vedova da subito cercheranno un  distacco formale dal neorealismo.

Roma, è il centro del potere politico, è il luogo dove si metteranno in piedi i veri meccanismi di  controllo, in particolare, nel 1948, con il VI Congresso del Partito Comunista si decreta che la  pittura aveva il compito di affiancare la politica e di essere mezzo attivo di propaganda. Il PCI ha un  ruolo fondamentale attraverso il suo organo di informazione «l’Unità».

Il partito organizzerà la prima manifestazione artistica romana, l’arte contro la barbarie 1944 ed il  mensile «Rinascita». Il periodo è fervido, intenso e permeato dai tentativi dei partiti di invadere un  campo considerato propagandistico, anche perché gli artisti ‒ praticamente tutti ‒ si considerano  innovatori e l’innovazione sta in tutto ciò che è distacco dalle posizioni politiche precedenti.

Molti tra loro si rifanno all’autorevolezza della figura di Guttuso, magari frequentando il suo studio  di via Margutta, luogo fino a poco prima considerato borghese.

Contemporaneamente a quest’ultima pubblicazione, la stessa rivista, organizzò una mostra alla  quale parteciparono Giovanni Dova, Ennio Morlotti, Giovanni Testori, Emilio Vedova e altri artisti  settentrionali.

Le istanze teoriche espresse nel saggio di De Micheli furono già precedentemente manifestate in un documento redatto nel 1943, a firma di De Micheli stesso, di Emilio Morosini, di Raffaele De Grada, di Ennio Morlotti, di Emilio Vedova e di Ernesto Treccani, dove si condannava la metafisica, il surrealismo, l’espressionismo, il novecentismo e si affermava marxisticamente la necessità di un’arte dal carattere nazionale e popolare.

Col termine “realismo” non solo si ricusava l’accademismo novecentista ma anche l’espressionismo di «Corrente», considerato intimista e sentimentale e in netta opposizione al “formalismo”, termine che includeva tutte le avanguardie storiche. Per i realisti il modello di riferimento fu Guernica di Picasso, considerata una sorta di realismo moderno derivato dal cubismo.

Col termine di “neocubismo” vennero poi indicate le opere di Renato Guttuso, Armando Pizzinato e degli scultori Pericle Fazzini e Leoncillo Leonardi. Ricordiamo, inoltre, che nel 1945 a Roma venne fondato l’Art Club, che iniziò un’intensa attività di mostre e dibattiti sull’arte contemporanea, la cui direzione venne affidata a Enrico Prampoli.

Nodo centrale del dibattito fu la questione dell’astrattismo in opposizione al discorso sul realismo, che vedrà l’affermarsi di due diverse posizioni: da una parte Leonello Venturi e dall’altra Max Bill. Nell’articolo pubblicato da Leonello Venturi sulla rivista «Domus» nel gennaio 1946, il critico usa il termine “astratto-concreto” per indicare una certa produzione figurativa di stampo neocubista-astratto, una sorta di astrattismo di derivazione cubista.

Max Bill di contro, nell’articolo pubblicato sulla stessa rivista nel febbraio del 1946, chiarisce la sua posizione che prevede il riesame di tutta la produzione astratto-geometrica che si avvicina al concetto kandiskiano, neoplasticista e neocostruttivista. Pittore e architetto, Bill si era formato al Bauhaus di Dessau al tempo di Walter Gropius e concepiva la ricerca artistica quale processo di un pensiero orientato matematicamente.

Quel fervido clima di discussione e confronti diede notevole impulso alla creazione di nuovi gruppi artistici che si fecero interpreti e mediatori delle diverse istanze critiche. Nel 1946 fu pubblicato il Manifesto del Fronte Nuovo delle Arti dove sfociarono in direzione neocubista le idee espresse nel Manifesto del realismo, detto anche Oltre Guernica.

Le sculture prodotte in quest’ambito manifestarono una chiara derivazione dalla produzione di Picasso da Guernica in poi. Le opere di Fazzini e Leoncillo presentavano, infatti, una costruzione delle forme ottenuta nell’intersecarsi di linee oblique, creando nelle figure diverse spigolosità e angolature, come in Profeta del 1947 e dello stesso anno Studio di Sibilla erano le opere di Fazzini mentre le opere di Leoncillo sono Cariatide del 1946, invece I lottatori del 1947 e Ritratto di Elisa del 1948. In Leoncillo il ricorso al colore, utilizzato in maniera antinaturalista, evidenzia non solo i diversi tasselli che compongono la figura ma ne accentua la drammaticità dei gesti e l’espressione dei volti. Partecipe alle esposizioni del Fronte Nuovo delle Arti fu anche Alberto Viani, la cui posizione all’interno del gruppo fu sicuramente singolare.

I suoi Nudi realizzati alla metà degli Quaranta si caratterizzarono per un certo biomorfismo che riecheggiava la produzione surrealista di Picasso; un richiamo a quei dipinti e a quelle sculture che lo spagnolo realizzò dal 1929 al 1939 e che Viani conobbe attraverso la pubblicazione su «Cahiers d’Art». Viani quindi, contrariamente agli altri componenti del Fronte, non si ispira al Picasso di Guernica ma venne comunque invitato a esporre con loro. Le novità del suo linguaggio unito alla predilezione per Picasso sono aspetti di ammirazione da parte degli artisti del Fronte. Ritornando al dibatto ricordiamo che nel 1947 venne pubblicato il Manifesto del gruppo “Forma”, in cui i firmatari si dichiararono “formalisti-marxisti”, sposando quindi le idee di Leonello Venturi, mentre nel 1948 venne costituito a Milano il “MAC, Movimento Arte Concreta”, in linea con le istanze di Max Bill.

Nel programma di MAC il termine “concreto” fu utilizzato in senso antinaturalistico e in opposizione all’accezione venturiana di “astratto-concreto”. Nell’ambito di Forma 1 interessante risulta la produzione plastica di Pietro Consagra, riconoscibile per l’originalità dello stile: la “frontalità” o la “bi frontalità” sono le sue cifre stiliste.

Le sculture di Consagra si caratterizzano per la verticalità di sottili elementi astratto-geometrici, realizzati in diversi materiali come il legno, il bronzo, il marmo e il ferro, verniciati a campitura piena con colori naturali o artificiali. La bidimensionalità delle opere non impedisce però l’idea di spazialità che viene suggerita dal sottile spessore della lastra plastica. In questo modo l’autore stravolse il concetto stesso di scultura tridimensionale e il tradizionale modo di fruirla.

Un’opera di Pietro Consagra

L’opera venne concepita e realizzata come se fosse una tela dipinta su tutte e due le facce e fruita da un unico punto di vista, cioè quello frontale. Per Consagra la frontalità della scultura, ottenuta attraverso l’eliminazione del volume, fu una scelta teorica attuata nella volontà di estrapolarla da uno spazio ideale, per liberarla dai valori simbolici, religiosi e sociali, che per secoli la caratterizzava. La frontalità obbliga il fruitore ad un dialogo diretto con l’opera, in un discorso intimo sul fare artistico. La prima mostra di MAC si tenne a Milano nel dicembre del 1948 presso la Libreria Salto, specializzata in pubblicazioni di architettura, di design, di grafica, di fotografia, che pubblicherà, inoltre, i bollettini del movimento, di cui uno, datato 1949, a firma di Gillo Dorfles riportava le idee di Bill: «L’arte concreta rende visibili, con mezzi puramente artistici, pensieri astratti e crea con ciò dei nuovi oggetti. Il fine dell’arte concreta è di sviluppare oggetti psichici ad uso dello spirito, nello stesso modo in cui l’uomo crea degli oggetti per uso materiale. La differenza tra arte astratta e concreta consiste nel fatto che nell’arte astratta il contenuto del quadro è legato ad oggetti naturali, mentre nell’arte concreta è indipendente da essi». Nell’ambito di MAC interessante risultò la presenza di Osvaldo Licini e di Bruno Munari che attestarono una certa continuità di ricerca con l’astrattismo degli anni Trenta. Munari produsse sculture astratto-geometriche come del resto altri scultori all’interno del movimento, tra i quali ricordiamo: Renato Barisani, Guido Tatafiore, Antonio Venditti, Nino di Salvatore, Mauro Reggiani. Per questi la scultura rientrava nel progetto più ampio di sintesi delle arti con propositi di rinnovamento che comprendevano anche l’architettura, la pittura, la fotografia, la moda e il design, non a caso molti di loro si cimentarono in più forme espressive. Nell’autunno del 1948 si tenne a Bologna la Prima mostra nazionale d’arte contemporanea cura dell’Alleanza della cultura, filiazione del partito comunista italiano, dove si presentò compatta tutta la compagine del Fronte nuovo delle Arti, nel tentativo di verificare lo stato dell’arte.

Il giudizio che venne espresso sulle pagine della rivista «Rinascita», rivista fondata e diretta dal segretario del partito comunista Palmiro Togliatti, fu assolutamente negativo. Le opere furono giudicate orribili e mostruose e venne liquidato definitivamente l’ipotesi del Neocubismo come veicolo di un realismo moderno. Con lo scioglimento del Fronte Nuovo delle arti, non restò altra via all’istanza realista, d’obbligo per gli artisti che obbedivano al partito, di indirizzarsi verso una figurazione di tipo ottocentesco o tutt’al più un eclettismo figurativo accademico, con caratteri didattici, devozionali e illustravi, di cui Guttuso con Occupazione delle terre in Sicilia divenne chiaro esempio e modello iconografico di riferimento.


Biografia di Giovanni Cardone


 

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