GIOVANNI CARDONE, Cento anni dalla nascita di Joseph Beuys e della sua Rivoluzione Permanente

Siamo stati tutti pronti per festeggiare i cento anni dello sciamano dell’arte noi napoletani, nel ricordare un artista della forza e del calibro di Joseph Beuys; nel contempo dobbiamo ricordare la figura di Lucio Amelio, colui che riuscì ha portare a Napoli il meglio della sua produzione in voga negli anni Settanta inizio anni Ottanta.

Joseph Beuys approdò nella sua Galleria a Piazza dei Martiri, poi ci fu il grande incontro con Andy Warhol voluto dallo stesso Lucio Amelio. Egli riuscì a mettere insieme l’idealismo e il romanticismo di Beyus e la visione consumistica americana di Warhol attraverso il linguaggio della Pop Art. Dopo l’analisi attenta fatta da Bürger su Joseph Beuys s’intuisce la posizione contraddittoria e difficilmente definibile di Joseph Beuys rispetto all’avanguardia che fa parte della medesima tradizione artistica, ma sa che se percorrerà lo stesso tracciato dei suoi predecessori anche lui fallirà. È costretto, dunque, a trovare una soluzione alternativa, che Beyus chiamerà la “terza via”.

Beuys con Lucio Amelio e Warhol

Paradossalmente, per apportare qualche cambiamento all’arte a lui contemporanea, Beuys agisce non incidendo direttamente su di essa, ma cercando di modificare il contesto sociale in cui la stessa opera, osservandola da un punto di vista differente e nuovo che è quello della scienza. Ecco il passo decisivo di Bürger nel quale definisce la specifica posizione dell’artista: «Beuys non può perseguire il suo scopo nel quadro dell’istituzione arte. D’altra parte non può neppure abbandonarla senza rinnovare l’attacco avanguardistico all’istituzione. Allora diventa un frontaliere che fa la spola da una parte all’altra del confine, spostandolo nello stesso tempo». I materiali utilizzati da Beuys, secondo l’interpretazione di Bürger, hanno tutti uno specifico significato allegorico: il grasso e il feltro, in particolare, sono legati alla drammatica esperienza biografica del suo aereo di guerra che precipitò in Crimea nel 1943. I tartari, la popolazione locale, lo ritrovarono esanime e in fin di vita e strofinarono il suo corpo con del grasso e lo avvolsero nel feltro, affinché si riscaldasse. Questi due materiali sono dunque importantissimi per l’artista, gli ricordano l’esperienza drammatica, ma in fin dei conti a lieto fine, di morte e, allo stesso tempo, di rinascita. Il colore grigio del feltro, invece, nasconde un significato più complesso dovrebbe far evocare, per contrasto, tutta la vasta gamma di colori. Sia il grasso che il feltro hanno inoltre delle implicazioni a livello di calore e temperatura, il primo cambia di stato diventa da liquido a solido, o viceversa a seconda del cambiamento di temperatura, il secondo invece ha la caratteristica di essere un isolante, sia del calore che del suono.

A Beuys interessano in particolar modo le reazioni fisico-chimiche del materiale utilizzato, quasi operasse come uno scienziato. Già da questa breve introduzione si comprende quanto egli sia un artista sui generis, che osserva l’arte da una nuova prospettiva, ovvero quella della scienza e dell’uomo. Le sue opere e le sue azioni hanno modificato il modo di concepire l’arte tra gli anni Settanta e Ottanta del Novecento. Per comprendere a fondo il suo pensiero bisogna, però, conoscerne la vita e tenere in considerazione il contesto in cui nasce e cresce, nella Germania della Seconda guerra mondiale, prima, e in quella della Guerra fredda, poi il periodo delle profonde divisioni tra parte ovest e parte est, tra Repubblica Federale tedesca e Repubblica Democratica tedesca e con la presenza di quella deplorevole separazione che è stato il muro di Berlino, causa di molteplici dissensi e sofferenze. L’artista vive appieno anche il Sessantotto e i vari movimenti studenteschi, in un contesto storico vario ed eterogeneo, dunque, non di certo semplice da assimilare e da mettere a fuoco.

Per trarre le giuste conclusioni sull’artista, bisogna unire contesto storico esteriore e il mondo interiore di Beuys e la sua personalità e la sua grande passione per la natura e per la scienza e in particolare per la botanica e per la zoologia, la sua predisposizione a ribellarsi alle regole e ricercare una personale forma di libertà, attraverso la visione antropologica dell’uomo. Tutto questo rientra nel grande “calderone” dell’arte che per Beuys è un concetto allargato ed esteso a più ambiti. Per analizzare gli aspetti della vita e dell’arte di Beuys, ritenuti necessari a comprendere in che modo egli si colloca e si orienta all’interno del vasto e articolato mondo dell’arte, anche e soprattutto rispetto all’ipotesi portata avanti dal critico Peter Bürger che vede l’artista come un “frontaliere” tra l’arte e la vita. Non potranno essere omesse, dunque, tutte quelle esperienze di vita che condizioneranno profondamente il suo modo di operare artistico, come il contatto con la natura e con il mondo animale e vegetale, che ebbe sin da bambino e, invece, le esperienze traumatiche della guerra e della malattia, da adulto così come la sua indole da outsider, forte e combattiva, che lo portava a reclamare le ingiustizie che vedeva, nonostante si dovesse opporre, così facendo, alle regole stabilite o al sistema.

In Beuys prevalgono le “sculture”, azioni, operazioni e dibattiti che mettono in relazione l’artista con il contesto sociale che lo circonda e in particolar modo con un approfondimento sugli interventi nell’ambito dell’ecologia. L’arte di Beuys, infatti, non sarebbe possibile senza questo tipo di legami con il mondo esterno. Per comprende la vita e le fasi artistiche più importanti di Beuys e i determinanti interventi nell’ambito dell’ecologia che esplicano con maggiore accuratezza negli interventi nell’ambito della politica.

Joseph Beuys nasce il 12 maggio del 1921 nella clinica ginecologica di Krefeld, ma era originario di Kleve, una città della Renania settentrionale al confine con i Paesi Bassi. In questa città crebbe, frequentò il liceo e dopo la guerra aprì il primo atelier. L’ambiente familiare in cui viveva era quello piccolo-borghese, di forte impronta cattolica. Gli avi del padre erano di origini olandesi e la madre era di Wesel. Frequentò la Hindenburg-Oberschule di Kleve e qui, nel 1946, conobbe quelli che sarebbero stati i suoi amici più stretti ed anche i suoi futuri collezionisti: i fratelli Hans e Franz Joseph van der Grinten. Studente affatto brillante, mostra il suo animo ribelle fin da giovane, quando si fa bocciare al liceo perché è impegnato in altre attività, piuttosto che nello studio. Il padre, così, per punirlo, ebbe l’idea di spedirlo a lavorare nella fabbrica di margarina famosa a Kleve, cosa che però alla fine non accadde; tuttavia la margarina sarà, come si vedrà in seguito, protagonista costante delle sue opere.

La passione per le scienze naturali, per la natura e per gli animali lo aveva contraddistinto fin da piccolo, imparò a conoscere alberi, piante, erbe e funghi, di cui realizzava accurati disegni su di un taccuino. Era sempre a caccia di animali di qualunque genere dai topi, ratti, mosche, ragni, pesci e rane. La scoperta dello scultore e pittore tedesco Wilhelm Lehmbruck, per caso, sfogliando un suo catalogo, incise notevolmente sulla sua vita, un legame che si protrasse fino agli ultimi giorni, quando Beuys venne onorificato del Wilhelm Lehmbruck Preis, conferitogli dal comune di Duisburg. Lehmbruck rappresentava per Beuys l’esempio dello scultore per eccellenza, che non poteva essere superato neppure dai “grandi” come Giacometti, Picasso o Hans Arp, che avrebbe studiato, in seguito, all’Accademia di Düsseldorf. Egli afferma: «Lehmbruck spinge la tradizione della spazialità esperita nel corpo umano, nella fisicità umana fino a un punto, a una vetta più alta persino di quella raggiunta da Rodin». Eredità di Lehmbruck era anche la raffigurazione scultorea intesa non solo come fisicità, ma anche come materia spirituale, cosa che venne affermata poi nel concetto d’arte di Beuys come Soziale Plastik ovvero scultura sociale. Un altro grande mentore dell’artista che egli non ebbe modo di conoscere di persona, ma solamente attraverso lo studio continuo e approfondito dei suoi scritti, fu Rudolf Steiner il fondatore dell’antroposofia, che cercò di trovare un punto di raccordo tra le scienze naturali e la vita spirituale dell’uomo. La filosofia steineriana fu sicuramente uno dei punti di riferimento più forti e persistenti della vita di Beuys.

Negli anni del liceo egli lesse molto. In quanto tedesco il Romanticismo fu sicuramente una delle sue fonti principali, si interessò in particolare a Goethe, Schiller e ai poeti Hölderlin e Novalis. Di Maurice Maeterlinck, scrittore simbolista belga, di lingua francese, amava il panteismo mistico Vita delle api del 1901 e di Knut Hamsun, scrittore norvegese vincitore del Premio Nobel per la letteratura, apprezzava il mito del Nord e dell’uomo semplice che tra gli scritti più celebri si elencano Fame, Pan e Il risveglio della terra. Dei pittori, invece, stimava il norvegese Edward Munch, mentre tra i compositori aveva un debole particolare per il francese Erik Satie e per il tedesco Richard Strauss. Anche tra i filosofi provava un fascino particolare per quelli nordici, tra cui il danese Søren Kierkegaard, ritenuto il padre dell’esistenzialismo. Per quanto riguarda, infine, gli scienziati teneva come punti di riferimento Paracelso che era medico, alchimista e astrologo svizzero e il celebre Leonardo da Vinci, di cui ammirava e riproduceva i disegni anatomici.

Nel 1940, quasi contemporaneamente all’esame di maturità, Beuys venne chiamato alle armi per combattere nella seconda guerra mondiale. Si arruolò nell’aeronautica e venne destinato, in primo luogo, alla Scuola di comunicazioni aeree di Posen, il suo istruttore il sottufficiale Heinz Sielmann, di soli quattro anni più grande, era un appassionato di zoologia e botanica e dopo la guerra divenne un noto regista di documentari sugli animali. Questi era un personaggio perfetto per il giovane Beuys che grazie a lui poté ampliare e approfondire ancora di più le sue conoscenze in ambito scientifico. A Posen, inoltre, ebbe l’opportunità di frequentare il circolo filosofico lì presente e di studiare il pensiero di Eduard Spranger, pedagogista e psicologo tedesco che scrisse Die Psychologie des Jugendalters, ovvero, “La psicologia dell’età giovanile”.

Il periodo del suo arruolamento militare non fu solo caratterizzato dall’incontro di vivaci personalità che lo stimolarono sotto il punto di vista culturale, purtroppo Beuys ebbe presto a che fare con un evento drammatico che gli sconvolgerà per sempre la vita e che segnerà, successivamente, anche la sua opera artistica. Nel 1943 il suo aereo da guerra, uno Ju 87 e detto anche stuka, ovvero un aereo da bombardamento in picchiata, dopo un attacco della contraerea russa perse il controllo e precipitò in Crimea, durante una bufera di neve. Nell’impatto col suolo Beuys venne scaraventato fuori dall’abitacolo,perdendo conoscenza, il suo compagno, invece, morì. La storia racconta che un gruppo di tartari nomadi trovarono i rottami dell’aereo nella neve e poi il pilota gravemente ferito e lo portarono via con sé, per curarlo. Pare che questo gruppo di tartari lo curò con rimedi tradizionali, gli unse le profonde ferite con del grasso animale, lo avvolse nel feltro, affinché mantenesse il suo corpo al caldo e lo nutrì con latte e formaggio molle. Il corpo di Beuys era martoriato dalle ferite: una doppia frattura della base cranica, i capelli bruciati fino alla radice, il setto nasale schiacciato, gli arti e alcune costole spezzate e l’intero corpo trafitto da varie schegge, insomma non sarebbe sopravvissuto senza il loro aiuto. Una volta ripreso, i tartari gli proposero di rimanere con lui  così egli raccontava e l’idea, in quel momento, quasi lo affascinò.

Nelle sue opere, l’utilizzo ripetuto di grasso e feltro, dunque, rievoca proprio questa drammatica esperienza soggettiva di morte e di rinascita, quasi a voler rendere grazie, ripetute volte, ai suoi salvatori. Tuttavia la storia del gruppo dei tartari che lo salva con cure tradizionali sembra che faccia parte, in realtà, solo della mitologia personale dell’artista che cercava di dare una spiegazione a quanto di surreale gli era successo, lui che, dopo un incidente di tale gravità, tutti si aspettavano che fosse morto. Quello di creare una mitologia personale, tuttavia, è tipico di molti artisti che giustificano, con una storia affascinante e quasi magica, le scelte che fanno in ambito di materiali utilizzati, forme e colori per le loro opere. Sempre secondo la storia Beuys narra che rimase assieme ai tartari poco più di una settimana e che comunque, in seguito, venne trovato da una pattuglia tedesca e portato in un ospedale militare. Guarì tanto velocemente che venne presto inviato al fronte e venne ferito in combattimento ben altre quattro volte prima che il conflitto terminasse. Una volta tornato a casa decise che avrebbe voluto studiare arte e dedicarsi completamente a quello, abbandonando così la decisione di diventare medico pediatra  il desiderio che aveva, invece, prima dell’arruolamento in guerra. Tuttavia, come si vedrà anche in seguito, non abbandonò mai totalmente le scienze, anzi cercò sempre di conciliare quest’ambito con quello artistico, solo in apparenza tanto diversi.

Era incredibile quanto Beuys fosse riuscito, in così poco tempo, a superare il trauma dell’incidente e di tutta la guerra in generale: era un uomo paziente e tenace, che riusciva ad accettare ciò che gli accadeva, i duri colpi della sorte, cercando di elaborare le esperienze negative e trasformarle in qualcosa di diverso. L’arte sicuramente gli fu d’aiuto in tutto questo. Beuys realizzò di voler iniziare il percorso artistico, invece di quello delle scienze naturali, già durante il periodo di prigionia in guerra. Lo preparò per l’accademia uno scultore ed insegnante d’arte di Kleve, Walter Brüx e così poté iscriversi all’Accademia di belle arti di Düsseldorf nel 1947. Egli era più interessato alla scultura piuttosto che alla pittura. Seguì in accademia le lezioni dello scultore tedesco più in voga nell’immediato dopoguerra, Ewald Mataré. Il rapporto tra maestro e allievo fu subito di amore e odio: Beuys era talentuoso, ma come sempre faticava a piegarsi all’autorità dell’insegnante e nella sua classe giocava la parte dell’outsider e del ribelle. Grazie alle lezioni di Mataré, però, egli riuscì a trasformare in arte tutto il sapere enciclopedico legato alla biologia, alla botanica, alla zoologia e alla geologia che aveva accumulato nel corso degli anni. L’allievo e il maestro avevano un approccio all’arte totalmente differente, ma Mataré poté trasmettere molto a Beuys e entrambi sviluppavano una ricerca scultorea sugli animali: il primo prediligeva la rappresentazione della mucca, del vitello, del gatto e del gallo; il secondo quella del cervo, dell’alce, della pecora, della lepre, del cigno e infine dell’ape. Tutti animali che vedremo ritornare nella produzione artistica di Beuys ripetutamente. Quando quest’ultimo diventò, a sua volta, docente dell’Accademia di Düsseldorf seguì in parte l’esempio del suo maestro e fu tenace e autoritario, dando molta importanza al lavoro manuale e combattendo sempre e comunque per un’accademia differente e libera. Sia Mataré che Beuys infatti erano profondamente affezionati all’ambiente dell’accademia e faticarono a lasciarlo.

Nel 1951 Beuys terminò i suoi studi, ma ottenne un atelier personale all’interno dell’Accademia in qualità di miglior allievo al Meisterschüler in questo l’artista allestì il suo laboratorio e, quasi fosse un alchimista, effettuava ogni giorno esperimenti di ogni genere con sostanze chimiche, piante, animali, cercando di conoscere al meglio la materia che stava utilizzando. Ironico il fatto che nel 1958 sia lo stesso stimato professore Mataré a convincere il senato accademico che Beuys non sarebbe stato portato a diventare docente dell’accademia: «Era un artista di straordinario talento, ma destinato a fallire come insegnante perché avrebbe esercitato troppo fascino sugli studente».  Tuttavia un paio di anni più tardi, nel 1961, Beuys riuscì a diventare professore e occupò la denominata cattedra di Scultura monumentale dell’accademia. Aveva già le idee chiarissime riguardo al tipo di arte che voleva perseguire: cioè un’arte che non fosse limitata al vecchio concetto dei dipinti e delle sculture, ma ampliata, estesa ad ogni ambito disciplinare umano, ovvero un’ arte antropologica.

Beuys era sicuramente portato per insegnare e la sua attività didattica si conciliava perfettamente con il suo concetto ampliato d’arte e con quello di “scultura sociale”, che approfondiremo in seguito. Credeva profondamente nell’insegnamento e per questo non si concedeva pause: lavorava tutti i giorni, anche quelli festivi. Per seguire bene ciascun allievo divise le sue classi in gruppi, cercando di far emergere le problematiche maggiori. Manteneva come “credo” quello che chiunque volesse studiare arte dovesse avere l’opportunità di farlo: uno dei suoi motti più celebri era che “ogni uomo è un artista”. A Beuys piaceva pensare che poteva insegnare arte a persone che avrebbero avuto nella società ruoli professionali differenti: chi il medico, chi il giudice, chi il contadino. Dunque iniziò ad accogliere nelle sue classi tutti gli studenti rifiutati, che non avevano passato il test d’ingresso all’Accademia. Questa era sicuramente una grande sfida contro l’autorità, Beuys evidentemente voleva scuotere il sistema educativo fin dalle radici.

I suoi studenti lavoravano anche nel sociale, negli istituti di accoglienza, negli ospedali, in questo modo sembrava che l’utopia di far compenetrare l’arte con ogni aspetto della vita potesse, in qualche modo, trovare una propria realizzazione.

Nel 1972 accadde però un evento che compromise per sempre la sua carriera accademica era il 10 ottobre Beuys occupò la segreteria dell’Accademia delle belle arti di Düsseldorf insieme a cinquantaquattro ragazzi che non erano stati ammessi ai corsi in totale i non ammessi di quell’anno erano stati centoventicinque e ad altri studenti. Ufficializzò così l’inserimento di questi studenti respinti alla sua classe e alla segreteria occupata chiese di fornire a questi i rispettivi libri di testo. Dopo le ripetute esortazioni da parte del consiglio accademico a sgomberare la segreteria, che non vennero accolte, Beuys ricevette la sera stessa del 10 ottobre una lettera raccomandata da Johannes Rau, ministro della Scienza e della Ricerca del Land della Renania settentrionale-Vestfalia, che dichiarava il suo immediato licenziamento dall’Accademia di belle arti con queste parole: «il Land della Renania settentrionale-Vestfalia è dunque impossibilitato a proseguire il rapporto di lavoro con lei». Questa lettera divenne celebre per la carriera artistica di Beuys che la citò anche nel suo Curriculum vitae da quel momento in poi, nonostante la sofferenza del licenziamento, Beuys affermò ancora di più se stesso e portò avanti con determinazione maggiore il suo concetto d’arte ampliata e antropologica. Il 1972 può dunque essere considerato un anno di svolta per la sua carriera artistica, un anno dopo il quale le cose cambiarono positivamente e riuscì a realizzare molti dei progetti legati all’arte ecologica e molte delle azioni per le quali divenne famoso. L’artista e gli altri occupanti lasciarono libera la segreteria dell’accademia solo la mattina seguente il richiamo, quella dell’11 ottobre. La foto di Beuys sorridente, che passa tra le due ali di poliziotti, uscì sul mercato dell’arte sotto forma di multiplo, con l’ironica frase scritta a mano dall’artista: Demokratie ist lustig “La democrazia è divertente”.

Comunque Beuys faticò ad accettare il licenziamento e affermò che, se quattrocento ragazzi volevano continuare a seguire i suoi corsi lui glielo avrebbe permesso e avrebbe continuato, a ogni modo, a dare loro lezioni: anarchico e ribelle come sempre, ma almeno in questo frangente dovette arrendersi. Cercò di allontanare la delusione del licenziamento impegnandosi per dare vita, lui stesso, a una “Libera Università”: la FIU acronimo di Free International University in realtà aveva iniziato a ideare il progetto già nel 1971, un anno prima del licenziamento. Vedremo come dal 1972 in poi, data da considerarsi come si è detto di cesura e di cambiamento definitivo della sua produzione artistica che è volta, sempre con maggiore determinazione, all’affermazione del concetto di ‘scultura sociale’, l’arte e la politica per Beuys procedono di pari passo. Proprio in quest’anno partecipò per la terza volta consecutiva alla quinta edizione di Documenta a Kassel; la prima vi aveva preso parte nel 1964 e nel 1968 e poi sarà presente anche nel 1977 e nel 1982, infine nel 1987, post mortem, solo con le proprie opere e organizzò lì cento giorni di conferenze dove dibatté, da mattina a sera, nell’ufficio dell’Organizzazione per la democrazia diretta, di tematiche che non toccano solo l’arte, ma anche la politica, l’economia e l’autodeterminazione e la libertà dell’uomo. Parteciperà in due occasioni, precisamente nel 1976 e nel 1980, alla Biennale di Venezia, in qualità di artista rappresentante il Padiglione tedesco.

Come si può immaginare dalla sua attività, dunque, Beuys fu un artista che produsse tantissimo, nonostante avesse iniziato più tardi, rispetto alla media delle persone, il suo percorso artistico: Stachelhaus attesta una cinquantina di installazioni e una settantina di azioni. Cercò sempre, con tutte le sue forze, di fare dell’arte un mezzo rivoluzionario per stravolgere la società e cambiarla in meglio. Morì piuttosto giovane, all’età di sessantacinque anni, il 23 gennaio del 1986, per un attacco cardiaco, esattamente un mese dopo ci fu l’inaugurazione della mostra intitolata “Palazzo regale” al Museo Capodimonte di Napoli. La sua attività artistica si chiuse casualmente nella stessa città in cui aveva avuto inizio tutto in Italia a Napoli, terra che egli amava e a cui si sentiva appartenere. Sua moglie Eva affermò di Beuys al momento della sua morte disse: «È morto per una vita intera, ma ciò nonostante è sempre stato molto vitale, amava la vita al punto da scegliere di affrontarla».

Fu sempre pronto alla vita così come alla morte e sopportò con pazienza qualsiasi tipo di sofferenza fisica e mentale perché affermava che erano le persone attive, ma sofferenti ad arricchire il mondo e riteneva che proprio dalla sofferenza nascesse qualcosa di creativo e di spiritualmente elevato. Anche Lucio Amelio, suo fidato amico e gallerista lo ricorda con parole toccanti, facendoci capire con quale intensità emotiva operava Beuys : «Restano solo le lacrime per piangere il mio più grande amico, il maestro che ha saputo guidare la mia attività e farmi capire il significato della parola arte, della parola vita». «Il concetto dell’arte dovrebbe essere diventato antropologico: tutti gli esseri umani sono artisti». Dio è morto, annuncia con fermezza uno dei più grandi filosofi del XIX secolo, Friedrich Nietzsche, in una in una delle sue opere: La Gaia Scienza, del 1882. E se Dio non esiste più a sostituirlo non potrà che essere l’uomo, in qualità di nuovo ‘creatore’. Anche nelle azioni e nelle discussioni di Beuys si percepiscono gli echi del filosofo tedesco che diede il suo ultimo congedo all’alba del XX secolo, nel 1900. L’artista concordava con Nietzsche anche sul fatto che l’uomo è caratterizzato da polarità contrastanti, una parte più irrazionale e impulsiva il dionisiaco e l’altra, invece, più razionale e ordinata l’apollineo.  La prospettiva dell’artista è, dunque, totalmente antropologica e non nel senso di quella scienza antropologica, sviluppatasi a metà Ottocento con L. H. Morgan e E. B. Tylor, ma nella semplice accezione del collocare l’uomo in una posizione primaria, come inizio e fine di tutto. Qualunque tipo di considerazione che viene fatta, in ambito artistico, sociale e politico da Beuys avviene tenendo in considerazione, prima di tutto, l’uomo in tutte le sue sfaccettature e in tutte le sue esigenze e necessità, nelle sue connotazioni intrinseche e nei rapporti con l’esterno, in particolare con la natura, con l’ambiente e ovviamente con l’altro uomo. In una già citata intervista di Achille Bonito Oliva a casa Orlandi ad Anacapri il 12 ottobre 1971 Beuys rivela che il fil rouge di tutta la sua vasta operazione artistica, dai disegni del 1946 fino agli environment e alle azioni degli anni Sessanta, Settanta e Ottanta, è l’uomo, in quanto sua unica e grande preoccupazione. Così egli afferma: «In termini puramente scientifici direi che al centro sta l’elemento antropologico, illustrato in tutti gli aspetti possibili».

L’arte di Beuys, dunque, può essere definita antropologica perché è stata studiata per l’uomo e si rivolge all’uomo. Si ricorda anche il discorso di presentazione della baronessa Lucrezia De Domizio Durini al progetto italiano Difesa della Natura, 13 maggio 1984, in cui viene esplicitato che l’aspetto della difesa non è legato solo all’ecologia, come ci si aspetterebbe, ma è rivolto anche all’umanità in generale. Ed infine possiamo dire che  questo progetto gli darà una motivazione specifica quello della nascita dell’arte antropologica che si ricollega alla necessità che sarebbe nata conseguentemente a un periodo di crisi dello sviluppo umano, in cui l’umanità stava per attraversare, una strettoia, ossia un passaggio arduo, che avrebbe dato luogo, per forza di cose, a dei cambiamenti. Dunque l’arte antropologica si sarebbe affermata, secondo l’artista, per supplire a un’esigenza specifica, apportando una cesura con quella che l’artista definisce “arte tradizionale”.

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