GIORGIO MOIO, Poesie di transito


Ci sono poeti che scrivono e riscrivono le loro poesie forse perché insicuri, tagliano, aggiungono, tolgono col rischio di perdere l’idea originaria. Non è il caso di Vincenzo Pezzella, il quale in Poesie di transito 1994-1999 (Edizioni “Archivi del ’900”, 1999) ha raccolto poesie scritte di getto, come si diceva una volta alle scuole d’infanzia, in brutta copia, senza rivisitazione. Un’altra “anomalia” è data dal fatto che le ha scritte su foglietti tipo biglietti da visita che si stampa personalmente nelle macchinette della sotterranea della metropolitana. Esse si alimentano del quotidiano, di una lingua metropolitana – ci fa notare l’autore – che si annida in ciascuno di noi, coltivano odori, percezioni, sentimenti, odio, violenze, speranze, rumori, indifferenze. Un tutto magmatico come la vita.

Sono poesie non “infinite”, il risultato del mondo della vita comune frammentato dalla quotidianità delle città ingabbiate nella globalizzazione economica e culturale, risultato di un linguaggio non lontano dalle sperimentazioni avanguardistiche. Leggendo queste poesie facciamo la conoscenza di paesaggi multietnici di Roma Termini, di Napoli Piazza Garibaldi e della zona flegrea, delle Langhe e palermitane, di Milano, etc.

Violenze organizzate e minorili che il poeta ha incontrato sulla sua strada vanno pari passo con i
sogni dei giovani e i cancri delle periferie, «tra-ambulantiAfricani-con-carrozzini/ di-merce”
milleliremangiareperfavore”-/ e-il-marevulcanico-dei-vicoli-le-lolite-sulle-/ funicolari-per-
Posillipo-i-posteggimoto-i-soldi-/ e-le-puttane-in-P.zzaGaribaldi-su-scarpezattere/ in-top-esorrisi…». Chi avrà la meglio in questa babele? È una domanda che il poeta lascia senza risposta, come giusto che sia.

Ha percorso chilometri e chilometri per la Penisola Pezzella, tra sogni e realtà, tra fughe e indolenza
di un popolo che spesso dimentica di appartenere alla categoria del genere umano. Il tutto abilmente con una poesia stampata in una forma vicino alla poesia concreta, con diversi caratteri e corpo, che
spesso fa ricorso a immagini fuori testo (un volto di donna, disegni, immagini di paesaggi, una macchina fotografica, l’uomo vitruviano di Leonardo, l’atomo) o chiede aiuto ai grandi poeti del passato (Byron, Merini, Pasolini, Dylan) per ricordarci che quando finisce un sogno bisogna pensare ad un altro, perché «Ognuno-va-incontro-al-suo-InFiNiTO».

 

Vincenzo Pezzella
Poesie di transito 1994-1999
Edizioni “Archivi del ’900”, 1999, pp. 142

 

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