GIORGIO MOIO, Luciano Caruso: un alchimista della parola

Vorrei iniziare questo breve excursus sul poeta verbovisuale Luciano Caruso, napoletano per formazione, dal suo rapporto con la città partenopea, con le istituzioni, senza trascurare il suo principale apporto ai movimenti d’avanguardia, azzardando infine anche un profilo umano. Pochi sanno che Caruso rifiuta la cattedra di assistente alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Napoli, dove si forma in filosofia sotto l’insegnamento del latinista Francesco Arnaldi, per – diciamo così – incompatibilità con l’ambiente accademico. Suo compagno di studi è Giovanni Polara, col quale condivide l’esperienza del gruppo e del foglio letterario “continuum” che Caruso fonda con Emilio Villa e Mario Diacono, ma soprattutto riscopre e pubblica i carmi tardo-latini, che saranno anche argomenti della tesi di laurea carusiana: Poesia figurata nell’Alto Medioevo. Poetica e storia delle idee (Lerici, Roma, 1969; copia anast. Belforte, Livorno, 1993). Il suo lavoro, sin da giovane, è rivolto alla scrittura visuale e materica, un’esigenza segnica che stratificandosi in scrittura emana corporeità, un linguaggio alchemico e misterioso, usando i più disparati supporti: carta, spartiti musicali, polistirolo, ritagli di giornali, materiale plastico e nell’ultimo periodo i CD-Rom. La materia da egli trattata è un caleidoscopio di smisurate sperimentazioni che si portano via via al di là delle tracce verbali, per farsi globale espressione artistica, fino a dispiegarsi anche in forme concettuali.
Dall’incontro con i pittori del gruppo 58 e con il poeta Stelio Maria Martini a Napoli e poi con Emilio Villa e Mario Diacono a Roma, comincia la sua avventura poetico-artistica. Nasce a Foglianise (BN) nel 1944, ma cresce a Napoli fino al 1976, prima di trasferirsi a Firenze dove è morto, per un male incurabile, nel 2002. Inizia a produrre poesia lineare, visuale, libri oggettuali e libri d’artista sin dal 1964, tenendo numerose mostre personali, partecipando ad altrettante collettive e pubblicando volumi anche di saggistica letteraria. Dalla Poesia figurata nell’alto Medioevo (cit.), ma soprattutto da ll gesto poetico. Antologia della nuova poesia d’avanguardia (Napoli, 1968) è tutto un proliferare di scritti, saggi, note, libri oggettuali, libri d’artista, films, messe a punto e riscoperte, frutto di una costante volontà di guerriglia culturale, di cui diamo qualche titolo: W la poesia (Quaderni di “Continuum”, 1967); L’enorme tragedia del sogno (id., 1969); Dello sbaglio programmato, libro oggettuale in collaborazione con Enrico Bugli, id., 1970); Di Bugli o dello sbaglio programmato (id., 1971); Allegorie di Paracelso, a cura di (id.); Opuslogik (id., 1972); Scritture (Colonnese ed., 1972); La disoccupazione mentale. Inchiesta sulla cultura a Napoli (Longo ed., 1972); Poesia visuale futurista, curato con S. M. Martini (Visual Art Center, 1973); Il corpo come citazione (id.); Exempla (id.); Poesia sonora, curato con Laura Marcheschi (Schettini, 1974); Il metalinguaggio come irrazionale (id., 1975); L’avanguardia a Napoli. Documenti 1945-1972 (id., 1976); Chronica de Partenope – 1965-1967 (Libreria Palmaverde, 1977); Continuum. Contributi per una storia dei gruppi culturali in Italia, a cura di (All’Insegna del sapere, 1983); Per servire all’historia ed altre poesie (Edizioni Morra, 1988); Anapolis/romanzo sintetico (Edizioni CT, 1990); Omaggio a Burri (Aglaia, 1992); fino a Un vibrato continuo, con chi scrive (Edizioni Riccardi, 2002).
Il singolare nichilismo e la volontà di negazione che lo spingono trovano, tuttavia, modo di manifestarsi in una serie di attraversamenti, di cui resta traccia sia nelle sue opere che nelle sue pubblicazioni: rifiuto di un disegno unitario affinato con intense “frequentazioni” di Nietzsche, Wittgenstein, Artaud. Animatore di quasi tutte le riviste d’avanguardia e fogli che si sono sviluppati a Napoli e oltre negli anni 1960-’70 (Continuum; Continuazione/AZ; Ana eccetera; Uomini e Idee; Silence’s Wake; E/mana/azione, fino alle ultime collaborazioni: Rendiconti; Angurialirica; Rivista d’Artista; Risvolti), promuove e cura una serie di eventi culturali, in quanto componente di gruppi culturali o curatore di diverse collane editoriali, dai lontani Quaderni di continuum, I lilliput (Colonnese, Napoli), Pattern (Visual Art Center, Napoli), i Libri di “Uomini e Idee” (Schettini, Napoli) alle più recenti “Futuristi. Fonti delle avanguardie del Novecento” (Spes, Firenze) e “Le Braghe di Gutenberg” (Belforte, Livorno).
Studioso tra i più accreditati, non solo in Italia, del movimento futurista e della poesia visiva e della neoavanguardia napoletana, tutta o gran parte dei movimenti e iniziative culturali sorti nell’ambito di un linguaggio d’avanguardia, recano in primis la firma di Caruso. È sua l’idea e la realizzazione del gruppo “continuum”, un laboratorio di idee e proposte anticonformiste molto proficuo e importante  per lo sviluppo di una cultura alternativa. È un percorso intricante, prezioso sussidio per quanti non hanno vissuto o non conoscono l’avanguardia napoletana che si è affermata negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso. È tutto un proliferare di idee, un dipanarsi lungo la messa in discussione degli schemi, che in Caruso si annida già dagli studi universitari, dagli studi di filosofia basati sugli insegnamenti crociani e gramsciani, e attraverso letture disordinate che andavano da Vico a Nietzsche, passando per Wittgenstein. Da qui il suo bisogno di rompere gli schemi, anche attraverso un impegno politico che lo conduce verso un’analisi “dal di dentro” delle condizioni di vita degli abitanti dei quartieri più degradati di Napoli, una battaglia culturale che trasferisce nell’arte: tentare di liquidare «definitivamente la concezione ingenua del rapporto tra segno e realtà. Ma la cosa più importante non è tanto il processo che rinvia il segno al reale, ma la comunità del segno e del reale immanente al linguaggio. Nel pensiero di Wittgenstein c’è la straordinaria scoperta di una fenomenologia delle passioni all’interno del linguaggio o, meglio, la percezione che, attraverso il linguaggio, il lavoro vivo e le passioni producono la realtà» (Negri, 2003, p. 258) [1]. Prerogative che Caruso tramuta in materia da modellare continuamente, in gesto poietico, elementi che troviamo anche nel gruppo e nella rivista d’avanguardia “continuum”, centro di pulsione culturale durante la sua permanenza a Napoli.
L’impegno culturale e politico dei primi anni, nasce tutto all’interno del gruppo “continuum”, un’iperbole che si chiuderà poi, a forma di cerchio, negli ultimi anni della sua vita, quando decide di ritornare all’alchimia e manipolazione della materia. Ciò che interessa, smuovendo e allargando gli specifici della letteratura, scegliendo magari «nel fuori nulla, (…) la volontà di rimanere ignoti, opposti alla trama aliena del reale-sociale» (Caruso – Martini – Visco, 1983, p. 102) [2], è la condizione del poeta, il perché si è poeta fino all’esaurimento, in una società priva di forti richiami e “irraggiungibile”. Agli epigoni di una letteratura effimera, che troveranno ospitalità, due anni dopo, nell’antologia poetica La parola innamorata del duo Pontiggia – Di Mauro, si preferisce far ricorso a soluzioni fonetiche e grafiche di una determinata area letteraria, aperta a un campo di ricerca più ampio, a un cambiamento storico.
Intanto la letteratura napoletana sembra preferire l’intercodice di una verbovisualità alchemica e ipertrofica, grazie soprattutto al contributo – sia critico che creativo – e all’ottima conoscenza nel campo delle arti visive di Caruso, il quale riesce a unire, in questa terra di endemica precarietà, gli artisti più importanti del momento, sia attraverso le pagine di «continuum» sia attraverso le pubblicazioni di una nuova sigla editoriale (e uno spazio espositivo tra i più importanti della città), Visual Art Center, che realizza tra il 1974 e il 1975 dei “patterns”, una serie di 40 volumetti di cm. 8,5 x 6,5, annoverando pubblicazioni di Emilio Villa, Vincenzo Accame, Felice Piemontese, Enrico Bugli, Franco Magro, Giuliano Della Casa, Stelio Maria Martini, dello stesso Caruso e di altri; le antologie La poesia lettrista, Poesia visuale futurista e numerosi cataloghi, nonché importanti mostre e materiali per una storia della poesia visuale non solo napoletana.
Senza essere smentiti, possiamo affermare che, grazie a Caruso qualcosa si muove. La fregola di quantificare piuttosto che qualificare, viene abbandonata al proprio destino. Tra discussioni e prese di posizioni (la rottura con l’attore e regista Renato Carpentieri, uno dei componenti del gruppo), Caruso (anche sul versante politico, con idee e lotte ferrate, tali da procurargli minacce di morte dagli stessi appartenenti della sua area politica e culturale, ossia l’Unione marxsista-leninista) dimostra di saper conoscere bene la situazione letteraria che lo circonda, anche quella sotterranea all’ufficialità, se tra i primi è riuscito a individuare in Emilio Villa i lineamenti del grande poeta, ingiustamente trascurato. Il proporre al pubblico poeti e artisti sconosciuti non è il solo merito che dobbiamo a questo grande artista, il quale contribuisce, più di altri, alla riscoperta di esperienze letterarie e politiche troppo presto dimenticate (il Lettrismo, la rivoluzione culturale, il “Movimento Situazionista” francese, il vecchio e nuovo “Bauhaus”, le ultime avanguardie). Dimostra che esse, proprio perché lontane dalla razionalità e dai rapporti mercificabili dell’esistente, possono proporsi come elementi che giocano di anticipo. Essendo libere dal rigore storico, possono allargare il limite imposto da una restaurazione ipocrita e fascista, spaziare in un campo mentale “incontrollabile”, “fuori”… di ogni limite. Anche se fuori dell’esistente mantiene ben saldo un principio basilare: non porre nessun limite al linguaggio. La sua “atarassia”, oltre che annullare i presupposti di un uso comune, esalta l’anarchia del non/essere, del non/essere ragione, per non essere convenzione. E se spesso i fatti importanti non riusciamo a scorgerli, continuamente alterati dal calcolo delle tautologie, dal rafforzarsi dell’establishment culturale, che hanno reso vano ogni tentativo di riconoscere e interpretare la letteratura di quegli anni, i progetti – sia che essi orientino la risposta del pubblico sulla materialità del testo, sia che pongano la dimensione del gesto violentemente oltre la contemplazione estetica tradizionale – non possono che preordinare il nulla, o «per tappe successive, una […] ribellione di fronte all’eterno ribadirsi della citazione e dell’esistente, […] dello scorrere oscuro del desiderio» (Caruso, 1983, p. 6) [3] narcisista.
Dicevamo che non va trascurata la sua prolifica attività di promotore, coordinatore, curatore di volumi ed eventi. A tal proposito, nell’atmosfera di una poesia d’avanguardia, dove non manca un forte legame con il Lettrismo, a Firenze, coordina, con Henri Chopin, Laura Marcheschi e Stelio Maria Martini, “Il colpo di glottide” (Giornate internazionali di poesia) dedicate alla poesia come fisicità e materia. L’attenzione dedicata al movimento lettrista è considerevole: in catalogo figurano testi di Isou, Lemaître, Altmann, Brau, Broutin, Curtay, Pomerand, Poyet, Satié, Sabatier, Spacagna e Wolman. Una sezione, concernente in particolar modo François Dufrêne, è intitolata Dal Lettrismo alla poesia fonetica. Il catalogo contiene altresì un saggio di Laura Marcheschi dal titolo La lettera come simbolo, suono e immagine ed il superamento del linguaggio.
Ormai appartengono alla storia le sue dure ed intelligenti prese di posizione contro certi atteggiamenti stagnanti di un modo di fare all’interno dei paradigmi discorsivi approssimativi e superficiali. Sin dalle prime prove artistiche (1964), appena ventenne e poi come promotore del gruppo “continuum” che propugna un cambiamento radicale e una sprovincializzazione della cultura mai realizzati, essendo troppo avanti coi tempi, si schiera, col suo carattere tosto e battagliero, contro l’esistente di una città come Napoli, votata ad una disoccupazione mentale da quell’onda lunga di neorealismo folcloristico che lo costringe, nel 1976, nauseato e deluso dai meccanismi cinici e faccendieri in cui è immersa la città, ad abbandonarla, suo malgrado. Continua, però, ad amarla in segreto e a coltivare rapporti epistolari con gli amici (coi pochi amici rimastigli tali) e con quell’area innovatrice che con apparente indifferenza resiste agli eventi sfavorevoli, denunciando lo stato comatoso e vacuo appena si presenti l’occasione. A partire dai giochi di potere della politica locale. Preferisce respirare un’area meno “soffocante e inquinata”, quella di Firenze.
Non le manda certo a dire Luciano, quando si tratta di difendere la propria posizione, che era la posizione di una letteratura decisamente off, con lotte serrate e argomentazioni martellanti e demolitrici. Per tutta la vita tiene fede al suo personaggio dissacrante e ad una scelta di vita, all’insegna di una poesia fallimentare ma in tutta coscienza e consapevolezza, come d’altronde è ed è stata l’avanguardia di questi anni, la scrittura alternativa all’esistente, appunto, in quest’epoca di industrializzazione del pensiero, dove «la faccenda spesso è patetica – ama dire – ma qui si rasenta la fogna mentale», postulando ogni sua realizzazione immediata ad un tempo ancora da venire. D’altronde ogni artista innovatore ha ben presente questo concetto: nonostante tutto prosegue nel suo intento, persegue il suo sogno, con l’auspicio che un giorno la società possa accoglierlo. Insomma, Caruso si può definire un futurista contemporaneo, nell’accezione più nobile del movimento d’avanguardia dei primi del ‘900. «Luciano intercetta tante concordanze col movimento fondato da Marinetti di situazioni contemporanee in svolgimento. Innanzitutto, la critica radicale dei francofortesi, tra cui egli privilegia Marcuse, cioè L’uomo a una dimensione, quindi, il situazionismo e non solo, e insieme, le tesi, i dibattiti, le esperienze variamente articolate dei movimenti (che tendono a essere un movimento complessivo e unitario) di proteste globali del secondo Novecento [4], che lui assume a essenziale punto di riferimento in particolare per i suggerimenti che se ne possono ricavare a non rendere sterile la propria indignazione, ma a incanalarla invece costruttivamente in direzione rivoluzionaria. Assumendo, però, puntualmente e sempre il futurismo a stemma di indicazioni archetipiche, mentre viene metabolizzando (e pareggiando con esso) acquisti essenziali della cultura moderna, come il nietzschianesimo con la sua azione di smontaggio e messa alla berlina dei concetti di verità e di altri valori affini a favore della scommessa sul gioco, sul segno, sull’ironia, come il freudismo con la sua rottamazione del soggetto (che in Luciano diventa “soggetto”), della coscienza di sé, delle pretese di identità, come la fenomenologia con la sua frantumazione dell’ontologia e della metafisica.
Non dobbiamo dimenticare che Luciano, fin da giovanissimo si è nutrito di letture e di meditazioni filosofiche e che ha osservato attraverso il filtro dei dibattiti filosofici le questioni di varia umanità e di varia cultura e che, sotto tale aspetto, si distingue da molti artisti e intellettuali di indirizzo sperimentale, che spesso hanno usato la filosofia semplicemente come un fiore all’occhiello. Il futurismo come Weltanschauung, tuttavia, è stato costantemente la sua bussola di navigazione» (Piscopo, marzo 2014, p. 31) [5].
Luciano se ne va, dopo una breve ma fulminante malattia che gli lascia scampo, facendo appena in tempo a spedirci, nell’estate scorsa, il poemetto Periplo, da noi pubblicato nel n. 10 di “Risvolti”, in parte a lui dedicato, qualche settimana prima che morisse [6], poemetto che – ci confida attraverso una delle nostre ultime telefonate – era nato di getto proprio a seguito della sua malattia. Se ne va una settimana prima di Natale, a 58 anni, ancora nel pieno della sua maturità di uomo e di artista, vissuti interamente per una scrittura trasgressiva, del dissenso estetico e poietico, come continuo rifiuto della “società spettacolo”. Una scrittura anarchica, alchemica, fonte di vita, di quella vita che gli dà anche diverse soddisfazioni, dispiegata lontana dalle mode, dove convivono tendenze più disparate della “società dello spettacolo” votata ad un generico postmodernismo. «E questo – dice nell’articolo Alcuni appunti sulla consistenza dell’essere [7], nel mentre va affermando che l’opposizione si debba materializzare indagando il “presente” – tanto più “importa”, quanto più il luogo del rifiuto è scomodo ed impone di continuare a ribadire la propria presenza, come quella di protagonisti di una opposizione, dagli esiti imprevedibili ma capaci nello stesso tempo di rimettersi in discussione».
Dicevo all’inizio di tratteggiare anche l’aspetto umano di Caruso. E per me, per essere totalmente imparziale, vorrei farlo emergere attraverso attestati di stima, fra gli ultimi, quello di Mario Diacono: «caro Luciano, giustamente, ti devo la prima lettera del primo anno del primo secolo del terzo millennio. ho ricevuto, proprio alla fine del duemila, il quinto quaderno di RISVOLTI che mi è stato in buona parte dedicato, e la cosa più importante del quaderno per me è senza dubbio costituita dal tuo magnifico attestato. che per me è già diventato un componente indispensabile del mio lavoro. come se tutte le mie inconfessate aspirazioni a una ri-esistenza della “letteratura” avessero d’un tratto trovato una giustificazione nell’avvenuta scrittura del tuo testo, che è diventato una vera e propria collaborazione ai miei testi. devo dire che sono rimasto sorpreso dalla finezza del tuo orecchio – nel senso che i trentacinque anni e più di comunicazione che ci sono stati tra di noi hanno davvero trovato in te una sensibilità di ascolto e una capacità di responsione che francamente ritenevo i nostri tempi non permettessero più. il modo in cui la spezzatura delle frasi amplifica l’intensità della scrittura esigendo la partecipazione del lettore alla costruzione del significato è una strategia di “nascondimento e rivelazione” che funziona a meraviglia (e che esalta la sua sovversione con l’understatement del locus di pubblicazione in cui è avvenuta). ma che potrebbe anche diventare la prossima cifra d’instaurazione della tua critica. per lo meno della tua critica “espressiva” (in quanto altra dalla tua critica “informativa”). credo che ci sono pochissimi altri scrittori di questi ultimi cinquant’anni che abbiano avuto la fortuna di aver incontrato un ritratto così definitivo della loro “presenza postuma”» (Caruso, marzo 2014, p. 8) [8].
Sull’aspetto umano, in particolare sulla libertà di espressione, si sofferma anche Giovanni Polara, suo amico e sodale sin dalle scuole medie inferiori, tra stralci di lettere intercorse tra i due e pubblicati di recente sul n. 20 della rivista Risvolti, interamente dedicato a Caruso: «Questa libertà gli veniva dal rifiuto di qualunque subordinazione lontanamente retribuita e dall’autonomia che gli davano l’insegnamento nella scuola [secondaria] conquistato con un regolare e faticoso percorso, ma soprattutto i suoi studi e la sua erudizione, che ne facevano uno spietato e temuto nemico di qualunque dilettantesca improvvisazione» (Polara, marzo 2014, p. 39) [9]. E con questa lucida precisazione di Polara, si possono spiegare anche gli attacchi ad Aldo Tagliaferri e a Giovanni Grana (si veda, p. es., L. Caruso, Alcuni rilievi al margine di Emilio Villa (e di qualcuno dei suoi “critici”), in “Le Brache di Gutenberg”, Anno 1, n. 1, Belforte ed., Livorno, aprile 1975), in merito alla poetica di Emilio Villa, ritenendo il primo uno che si è autoproclamato “ferratissimo cultore di Villa”; al secondo rimprovera, con attacchi che fanno male, l’aver ignorato le precedenti letture sul Villa da parte dello stesso Caruso con Stelio M. Martini. In questi passaggi di Polara, si delinea anche un Luciano deluso ma non arrendevole (Lettera del novembre 1993): «La nostra presenza ancora testimonia qualcosa di meno tremendo di quello che ci sta intorno, anche se costa fatica – e degli Arnaldi siamo rimasti noi e non è poco (…) La mia paura è solo quella di non farcela, sono stanco e stanco, ma stringo ancora i denti e tiro la carretta, forse perché non so fare altro e in un altro modo – e i Camaldoli possono aspettare – in quanto a Miradois si sale sempre per gradini, ma ora come allora non apparteniamo al naufragio» (Polara, marzo 2014, p. 39) [10]. E con questo bagliore di speranza chiudo questa breve analisi sulla poetica di uno dei più importanti artisti del Secondo Novecento italiano, dell’amico mai dimenticato, con un suo testo verbale, in quanto, al contrario del poeta visuale, come poeta lineare è ancora da scoprire:
 
De/scrittura (lettera per..)
 
 
e qui niente — l’ossessione — il nulla — niente dei nostri sogni
                                       /  le  carte morte dell’archivio e i segni  /
:  ho ripreso a camminare sai a respirare anche
                         :  e incontrandoti più pallido e persone i tuoi occhi
                                          : usurpando la tristezza vera di un altro
                                                                     : che io ero  /  risentito
: e dirò son questo e son quello
                                                   /  qualora: con tono minaccioso /
il dolore dell’alba  fra note sparse e  frammenti  e buio di pensieri
                                                          /   le carte fiorite al margine /
girando tra ombre e ombre — languor naturae — e lo scrivere alto
appassionato: e seguire il filo di una voce
                                                            :  nel  labirinto di  ogni  giorno
                                                    : moins que nul: leurs ombres ont
leurs couleurs / e alzarsi e andare incontro a qualcuno sulla porta/
: l’offerta del pane —
                                  ma è questa la saggezza ?   questo vuol dire
/ aprendo gli occhi /
                                 siamo  cresciuti  e diventati grandi ?   e certo
ogni cosa che esiste è luce:
                                    ma solo come se — per gioco —
                                                o nelle parole dell’amore…
 
in Per servire all’Histora ed altre poesie 1982-1986, Napoli 1988, p. 22
 
______________________________
1)  Negri, A., Il ritorno. Quasi un’autobiografia, Rizzoli, 2003, p. 258.
2)  Caruso, L. – Martini, S.M. – Visco, F., etc., Idea per una storia dell’off (kulchur) in Italia, in “Ana eccetera”, n. 8, Genova, 1969; ora in Continuum. Contributi…, op. cit., p. 102.
3)  Caruso, L., Continuum, in Continuum. Contributi…, op. cit., p. 6.
4) Sulle motivazioni e le vicende diversificate, ma sotterraneamente consonanti, dei movimenti di protesta globali esiste una letteratura sconfinata, di cui ci si limita a citare uno dei libri più icastici e significativi del filosofo-guru David Graeber, Rivoluzione: istruzioni per l’uso, Bur, Milano, 2012.
5)  Piscopo, U., Il cerchio non si chiude, in “Risvolti”, n. 20, NS, marzo 2014, p. 31.
6)  In “Risvolti”, n. 9, novembre 2002.
7)  Ultimo scritto critico che ci aveva spedito per il Foglio di “Risvolti” n. 5, che avrebbe dovuto intitolarsi Berlusconi, un presidente poeta, ma non vide mai la luce. Pensammo allora di pubblicare l’interessante scritto di Caruso nel n. 12 di “Risvolti” (ottobre 2004), quasi due anni dopo la sua morte.
8)  Caruso, L., Un poeta non-allineato, in “Risvolti”, n. 20, NS, cit., p. 8.
9)  Polara, G., Luciano, ivi., p. 39.
10)  Id., Luciano, ivi., p. 41.

 

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