GIORGIO MOIO, Adriano Spatola: poeta totale

 

Non ho mai conosciuto di persona Adriano Spatola, ma mi è sembrato di conoscerlo da sempre già dalle prime letture dei suoi versi, attraverso una di quelle antologie scolastiche che un mio professore (evidentemente buon conoscitore della poesia d’avanguardia, conoscenza che, stranamente, andava ben al di là di quella “istituzionale”, che ancora oggi è bagaglio di pochissimi insegnanti) ci faceva studiare alle Superiori. Si trattava di un zeroglifico. Ho avuto la possibilità riavvicinarmi alla poesia totale di Spatola alla vigilia dalla fondazione di «Risvolti» (una rivista di poesia d’avanguardia che ho fondato nel 1998 e che tuttora dirigo). Nel programmare i primi numeri della rivista (agli inizi, fino al n. 12, ogni numero era dedicato ad un grande poeta del secondo Novecento italiano), stilai una cinquina di nomi da sottoporre ai miei collaboratori di redazione. I cinque nomi: Emilio Villa, Corrado Costa, Adriano Spatola, Edoardo Cacciatore, Mario Diacono.

Per una indagine più approfondita, mi rivolsi ad amici che lo conobbero da vicino, o addirittura molto da vicino, come il fratello Maurizio, il quale mi diede la possibilità di conoscere qualche importante dettaglio sulla vita e sulla poesia di Adriano che altrimenti avrei disastrosamente omesso. Dopo l’uscita del n. 2 di «Risvolti» ricevetti una lettera da Maurizio Spatola, datata 29 settembre 1999:  «Caro Moio, ho visto a casa di un amico, il poeta torinese Arrigo Lora Totino, il numero 2 della rivista «Risvolti», da lei curata, dedicato a Corrado Costa. Mi ha fatto piacere vedere più volte citato il nome di mio fratello Adriano, di cui Corrado era amico e, saltuariamente, collaboratore (per  «Tam Tam» egli infatti, come del resto tutti i componenti del “comitato di redazione”, inviava testi, poesie, recensioni, ma tutte le scelte operative e grafiche erano di Adriano e Giulia Niccolai).

Le sono grato anche di aver scelto, fra le poesie di Costa da riprodurre in questo numero di «Risvolti», diverse fra quelle di “Le nostre posizioni”, che come editori Geiger (la Casa edtrice, fondata nel ’68, è sempre stata opera a sei mai dei tre fratelli Spatola – oltre ad Adriano e me, Tiziano – e responsabile e proprietario ne ero, e sono, io) pubblicammo tanti anni fa. Al proposito le sarei ulteriormente grato se potesse inviarmi una copia della rivista: se devo pagarla, mi indichi il prezzo.

Dopo Costa, perché non dedicate un numero appunto ad Adriano, che fra l’altro fu molto più prolifico e attivo anche in altre direzioni (editore, critico letterario e d’arte, pittore, oltre che maieuta per centinaia di giovani poeti)? È scomparso il 23 novembre ’88 ed è dal ’91, mi sembra, che non si parli più di lui  48 . Credo lo meriterebbe. Grazie di tutto. Maurizio Spatola». Ovviamente Maurizio non sapeva ancora che il n. 3 di «Risvolti» sarebbe dedicato al fratello.

 

Gli esordi – Non si può iniziare un discorso critico (sia pure breve) su Adriano Spatola, senza fare accenno ai suoi esordi poetici, sistemati nel volume Le pietre e gli dei 1, pubblicato a vent’anni e ripudiato dallo stesso Spatola vent’anni dopo, a quella poesia filosofica ancorata a nuclei retorici e metafisici lungo i lineamenti della tradizione, che poco hanno a che fare con i progetti di rottura di un linguaggio dell’hasard, di cui si servirà nel corso degli anni. Ma a ben guardare, oltre l’insistenza sulla figura della ripetitio

 

(E senza più silenzio e senza più vergogna

ecco egli può ora gridare verità verità

senza più vergogna del suo amore.

Quanta pace perduta quanta umana saggezza

quanta saggezza perduta dispersa

verità l’infinito per lui, mio Signore.

Lui che fu uomo e mai non seppe quando

uomo di questa così densa d’umano

più non deve tacere il suo amore.

 

Egli ora canta, canta se stesso e il mondo

se il sole sulla sabbia disegna la sua unica ombra

se al mare da cui viene torna il mare

se la voce solo si fa rinnegando il silenzio.

Rinnegando la morte rinnovando la vita

rinnovando se stesso nel dimenticarsi

verità verità egli può dunque cantare

dimenticato uomo su questa umana terra.

 

E non c’è più il silenzio del dolore

la misura e nel cielo nelle stelle

dove pulsa la legge, perfezione.

E senza più vergogna egli canta il suo amore

verità l’infinito per lui, mio Signore.

(da Le pietre e gli dei, 44, 1-22.),

 

dominante anche nello Spatola maturo, nasconde un’affabulazione (non illusoria) dagli innumerevoli sviluppi, un effetto incostante delle cose da una visione laica ma anche un grido di libertà post-ermetico, simbolico. «Ma poi egli venne maturando con una complessità di ricerche e una proposta di orizzonti che lo rendono unico in un mondo ricco di presenze quale fu quello degli anni che furono anche suoi. Il poeta ha toccato giochi rarissimi tra magia e Tumore, in quello che è stato detto l’ “uso sobrio del surrealismo”» 2.

Già in questa prima opera, e nei due numeri della rivista di poesia «Bab Ilu», usciti l’anno dopo e realizzati in collaborazione con Aurelio Ceccarelli, Miro Bini, Claudio Altarocca e Carlo Marcello Conti, si fa largo quella tensione alchemica e alterata delle opere future, quell’invenzione continua del linguaggio, sia pure in nuce, dai toni più pacati, intenta a designarsi quasi come scrittura gnomica – o comunque del pensiero – che s’interroga, tra l’ordine e il caos, sul ruolo del pensiero stesso nella materia né intima né privata da ricomporre sempre in luoghi diversi, evocando allegorie più che simboli, un’antiliricità per una poiesis che narri il suo divenire, un continuum narratum sulle risorse e sui limiti del verbum, sulla struttura “fisica” non più realizzabile coi soli canoni tradizionali, lineari. Una specie di hic et nunc, rivisto e ampliato che sarà poi sviluppato con più articolazioni sinestetiche nel corso degli anni. Per una poesia “biologica”, ancor prima che “totale”. A cominciare dal corpo e dalla voce, dalla presenza scenica durante le performance che Spatola ha tenuto in varie parti del mondo, «il centro di un campo di forze magnetiche collegate al mondo» 3, un fenomeno che «non ha nulla di propriamente mistico, e che certo non è analizzabile mediante metafore: anzi è qui che “sperimentale” e “esperienza” possono finalmente coincidere» 4. Anche quando si occupa di poesia visuale, questa non/certezza, questo manifestare e ripercorrere complessi meccanismi, sempre con l’idea fissa di arrivare a conoscere mai nulla (e mai nulla può essere conosciuto senza cadere in errore, senza far sì che si aprano le porte del museo), non fa altro che partorire nichilistiche elaborazioni linguistiche e grafiche, parole scaturite da altre parole in un incessante ritmo assordante e concatenato (elementi probanti, p. es., dalla serie di articolazioni degli zeroglifici), parasurrealistiche sperimentazioni giocose, quasi “fiabesche” che si concrescono nel farsi seriose ed ossequiose di “regole” precise, materiche, biologiche, che sembrano non rimandare né al simbolo né all’immagine percettiva né ad una forma di coscienza superiore. Anzi, sembra proprio che faccia il possibile per sgombrarli dal campo semantico, per una voluta e lucida “confusione e macchinazione dei ruoli”, delle figure, dei metodi (La posizione in cui è stata sorpresa la mente / diventa la fantasia la proiezione di un mondo5; Il seme del verso alligna e matura nel caos / è incognita o gergo o semplice atteggiamento6; oppure guarda come il testo si serve del corpo / guarda come l’opera è cosmica e biologica e logica…) 7.

La confusione dei ruoliLa confusione dei ruoli permette a  Spatola di intravedere gli infiniti mondi possibili che le parole nascondono, quasi a dimostrare che la condizione della evoluzione linguistica passa per un senso semplice e precario, intuitivo e imprevedibile. La poesia non è più solo gioco onirico, fantastico, surreale, ma qualcosa da vedere, sentire, materializzare, da caricare fino ad esplodere per poi ricomporsi nel luogo di un infinito senza infinito, in una apparente normalità. Il tentativo è quello di frantumare dall’interno i codici della lingua ormai obsoleti, riscrivere il mondo, «creare in laboratorio il linguaggio del mondo in concorrenza col mondo, […] la dimensione del rifiuto della pura e semplice registrazione lessicale» 8 per un linguaggio ossessionato a riconoscere qualcos’altro tra gli spazi inusitati del non-detto, sul limite dell’impensato:

 

ma il testo è un oggetto vivente fornito di chiavi

la cruda resezione il suo effetto l’incredibile osmosi

è questo il momento che aspetti comincia a tagliare

guarda come si tende e si gonfia sta per scoppiare

è l’immatura anaconda si morde la coda strisciando

odore della palude odore coniato da fiato di fango

un libro un quaderno una penna un desiderio indolore

senza parole

(La composizione del testo [3], da MAJAKOVSKIIIIIIIJ, 53-54, 1-8.).

 

La parola s’innesta nella iper-spazialità del reale, dove sfugge al rigore, alla trappola semantica, delirando col senso logico delle combinazioni in “sonorità lunghe e astratte”, in una ragionata e in-sensata “scena teatrale” dove lo stesso «teatro si fonde con la scultura, la poesia diventa azione, la musica si fa gesto e nello stesso tempo usa, nella notazione, procedimenti di tipo pittorico: termini come “happening”, “environment”, “mixed media”, “assemblage” sono indicativi di questa situazione culturale» 9; una totalità che si fa masso, di fronte cui il poeta si è sacrificato per tutta la sua esistenza, divenendo la sua croce da caricarsi sulle spalle e con essa lanciarsi a ruota libera lungo i ripidi scoscesi crinali del linguaggio:

 

Il seme del verso alligna e matura nel caos

è incognita o gergo o semplice atteggiamento

di ascesa operosa nell’ambito della fusione

di lava e lebbra contratte nell’omonimia

che ritorce ed asciuga il lessico della materia

il miele la mina subacquea le infiltrazioni

(Capsula, da Diversi accorgimenti, 16, 1-6.».

 

Poesia a tutti i costi – Tutto diventa pre-testo per forzare, per entrare in quel parasurrealismo (che suscita l’interesse di Spatola anche dopo gli esordi) in grado di affrancare dalla valenza di una poetica del comico «come ironia del patetico, e categoria del tragico» 10, per un confronto quasi noetico con la complessa realtà che «prevede una revisione critica non soltanto dei modelli tecnico-formali, ma anche di quelli ideologici» 11. È il via a un gioco multiplo per una poesia totale; un gioco di collage, assemblaggi, suoni, organizzato internamente al testo stesso per accumulo e iterazione, un’autogenia della poesia, «un affastellamento linguistico che prelude a quella che poi diventerà una delle tecniche preferenziali dello Spatola successivo. Alludo al suo tipico procedimento paratattico, agli “elenchi appositivi di parole” di cui parlerà più tardi Boselli 12, alla sapiente calibratura dei vari pezzi “incastrati gli uni agli altri, nonostante le loro accidentate sporgenze”, come dirà Barilli 13 e, insomma, a quella che si può definire la funzione auto-generativa della poesia 14, che è propria del migliore Spatola 15. Le figure non si accettano né si riconoscono così come appaiono ma vengono affrontate e “scavalcate” nel quotidiano, con la pratica dell’allegoria, col confronto critico con le figure tradizionali per cui il linguaggio diventa autocritico e auto-ironico, contraddittorio e multiplo, un iper-testo, costruzione di una ragionata autolesione e annullamento. Tutta la sua vita l’ha vissuta in questo modo; tutta la sua vita è stata la poesia, un gioco serio, inesauribile

_____________________

1  Tamari, Bologna, 1961.

2  L. Anceschi, in «Il Verri», n. 4, dicembre 1991.

3  G. Fontana, Adriano Spatola: il corpo, la voce: la poesia totale, in Adriano Spatola poeta totale, a cura di P. L. Ferro, Costa & Nolan, Genova, 1992, p. 122 .

4  A. Spatola, Sul pubblico e poesia e altre ripetizioni, rec. a Pubblico e poesia, a cura di V. Guarracino, in «Tam Tam», n. 36-37, San Polo d’Enza, febbraio 1984.

5  Id., Commensurabile e/ incommensurabile, in Diversi accorgimenti (dello stesso), Geiger, Torino, 1975, p. 10.

6  Id., Capsula, ibidem, p. 16.

7  Id., La composizione del testo, in Majakovskiiiiiiij (dello stesso), Geiger, Torino, 1971, p. 53.

8  Id., Iperspazio linguistico, in Impaginazioni, Tam Tam, San Polo d’Enza, 1984.

9  Id., Verso la poesia totale, Rumma, Salerno, 1969.

10  Id., Poesia a tutti i costi, in «Malebolge», n. 2, Bologna, 1964, p. 51.

11  Ibidem, p. 53.

12  M. Boselli, «Nuova Corrente», n. 70. 1976, pp. 193-97.

13  R. Barilli, Poesia come stupro e narcosi, «Il Giorno», 27 agosto 1978.

14  Si veda al tal proposito il saggio di M.L. Lentengre, La poesia oltre il testo, «Il Verri», VI serie, sett. 1976, pp. 99-116, che contiene riflessioni molto penetranti.

15  Cfr. L. Fontanella, Gli esordi poetici di Adriano Spatola, in Adriano Spatola poeta totale, op. cit., p. 37.

 

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