FLORIANA RIGO, Cinepiche

Cinepiche scaturisce da un viaggio dell’estate 2006 nei territori della Cina settentrionale, anche in quelli estremi dell’Ovest, mitici per gli stessi Cinesi della capitale e del centro-sud.

“Un viaggio di nicchia” sosteneva la nostra colta guida, Alfredo Sarmasi, di nonna cinese.

L’interesse culturale per la Cina, evidenziato anche da progetti didattici (Marco Polo, Dossier sulla Cina di oggi, 2005) è radicato nella pratica del Taichichuan, stile Fu Wudang Shan, iniziata nel 2003, ma il primo viaggio a “Oriente” risale al 1984: India e Nepal. Questo interesse è certo alimentato dalle letture dei “viaggi” di Giangiorgio Pasqualotto nei territori, nei luoghi, di una filosofia comparativa intesa come “una pratica di trasformazione attiva, che coinvolge anche il soggetto che indaga”, “dialogo interculturale” tra “East & West”, “intreccio di relazioni in continua trasformazione”.

Solo un’occidentale può avere la “presunzione” di scrivere “Cinepiche” (epiche cinesi).

La Cina non ha uno “spirito epico”, rileva François Jullien. L’epica, rettilinea e programmatica, basata sulla logica dello scontro frontale, non è un genere affine alla cultura cinese, non rispondendo ai modi sinuosi del fare e pensare cinesi, che procedono per allusioni, deviazioni, infiltrazioni, con l’obiettivo di “piegare il nemico senza fare la guerra”.

L’epos, l’epopea appartiene alla Grecia, al West(ern). C’è sempre qualcuno che parte tirandosi dietro un esercito perché ha un progetto, un piano, un programma in testa, un bersaglio, un traguardo, una fede da espandere. Tuttavia a Ovest si può anche trovare qualcuno che parte e attraversa mari e\o monti alla ricerca di qualcosa che non sa. C’è il fiuto, la metis, di Ulisse surfista, per anni trasportato dalle onde dei suoi viaggi, capace anche di diventar Nessuno, di fronte alle “circostanze”. C’è stato chi si è lasciato trasformare, adattare, convertire, mangiando il cibo di altre terre, sotto cieli nuovi, abbracciando pelle di colore diverso.

Il titolo “Cinepiche” allude a un’“epica cinese” ironicamente.

È imprescindibile, storico, geografico, il “punto di vista” occidentale dell’autrice, nel momento in cui si tuffa tra nuovi gomitoli di segni, di simboli, di sensi, annaspando e fiutando tra “falsi” e “verità”, tra, spesso compresenti, diverse realtà: il nuovo e l’antico, la città e la campagna, il tempio e il mercato.

L’iniziale forma poetico-narrativa del testo, è stata in seguito strizzata mirando ad abbandonare, non sempre riuscendoci, il soggetto, come un abito vecchio e stretto, pesante e scomodo. Articoli, congiunzioni, preposizioni, interpunzioni furono strappate, come “legacci che stringono in una morsa inattuale”, cercando ispirazione nella lingua cinese e in quella dei cellulari.  I tempi si protesero verso l’infinito, nel tentativo di esaltare il nucleo lucido delle parole-oggetto, dei termini-fatti.

«Il termine veramente termine non è un termine costante» (Laotzi, Tao Te Ching).

Oggi il testo è il risultato di successive correzioni, nella ricerca della leggibilità, della comunicabilità.

È strutturato in “quadri” perché la dimensione visiva del viaggio è senz’altro importante. I titoli dei 24 quadri, (capitoli), rimandano prevalentemente a città visitate, ma anche a montagne sacre taoiste e grotte buddiste, un fiume, il non-luogo del treno.

La ricerca del Vuoto, fonte inesauribile cui attingere, laicamente, vorrebbe offrirsi nelle storie, nelle parole, nei silenzi, nelle pratiche. Con un sentimento di religiosità (ricerca della “cosa” che unisce, non di una religione che divide), a partire, dalle stelle o dalle “particelle”, anche quelle invisibili e impercettibili, che percorrono le vie dell’umanità.

“Nuvola di fumo nel quadro”, titolo di una “mia” “falsificazione cinese”, “pittografia su carta di riso” (la prima), nata nella città di Zhanzhe, è proposto come immagine di copertina perché tema centrale. Da un lato rimanda all’idea della forma come forma mutevole, “corpo di trasformazione” e la mutazione delle forme costituisce un sentire e un concetto fondamentale: «la Grande Immagine non ha forma», sintetizza Laotzi, nel Libro della Via e della Virtù. Dall’altro, “Nuvola di fumo nel quadro ” diventa metafora del dono, un dono che ha la consistenza e la stabilità di una nuvola (f. r.)

22 giugno 2008

 

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