Femminicidio e maschicidio sullo stesso piano?

Discussione sul gruppo di Facebook “La Lingua Batte – Radio3” all’indomani dell’uscita dell’articolo di Giorgio Moio su «Cinque Colonne»: se la parola femminicidio è entrata ormai a far parte del lessico comune per descrivere un fenomeno che riguarda gli omicidi di donne da parte di uomini, dobbiamo, per onestà intellettuale e senso della realtà, coniare anche un termine simile per descrivere il fenomeno contrario?

 

Nadia Gambis – L’assunto del testo è errato. Si chiama “femminicidio” l’omicidio non di una donna tout-court, ma l’omicidio di una donna perché è donna. Insomma, la donna come oggetto e insieme motivo dell’assassinio. Quindi non serve confrontare i numeri in assoluto, serve studiare le motivazioni di quegli omicidi.
Notazione a latere: ma non si può scrivere meglio? «Elenco che rabbrividisce anche il più cinico essere umano, non ce che dire, ma informare l’opinione pubblica è uno dei compiti e dei doveri della stampa, anche quando l’argomento è di forte commozione. Non ci resta che auspicarci di non dover leggere simili necrologi»: rabbrividire transitivo, ce al posto di c’è, non ci resta che auspicarci. Non ci resta che trovare un altro livello di stampa!

Giorgio Moio – Non facciamone un discorso di sesso. Gli omicidi sono uguali sia a danno delle donne sia a danno degli uomini. Domanda: ma perché la stampa dà più risalto ad un femminicidio e meno ad un maschicidio? Su questo dovremmo spiegarci.

Giuli Luise – Mi facevo le stesse domande, per me violenza é violenza e punto. Ma la mia intelligente e matura figliola, mi faceva notare che viene dato più risalto al femminicidio, per spostare l’attenzione dell’opinione pubblica su un argomento che fino ad alcuni anni fa era considerato giustificato.
Spostando invece lo sguardo sul lessico, fosse per me non avrei mai coniato o riesumato (non so se siano nuovi o no) termini come femminicidio o maschicidio. Userei omicidio, come assassinio di essere umano.

Tiziana Bricchi – Il femminicidio non è l’atto ma il movente: se una donna viene uccisa durante una rapina è omicidio, se viene uccisa perché ha lasciato il marito è femminicidio. Ed evidenziare la differenza serve a marcare un fenomeno che ha una diffusione terrificante e che solo si può ridurre con l’educazione. Riconoscere un misfatto, nominarlo, credo sia il punto primo per combatterlo.

Clelia Francalanza – Vogliamo definire cos’è un maschicidio?

Davide Degada – Cle, non lo farà nessuno perché se muore un maschio se lo merita, sempre. Il maschicidio, e ce ne sono stati di casi, ricordo le puntate di “Amore criminale”, esiste ma è irriconosciuto.

Giuli Luise – Non essere così amaro dai.

Clelia Francalanza – Davide, quello che è determinante è il movente: se ad uccidere un uomo è una ex e il MOTIVO dell’omicidio è racchiuso nel fatto che l’omicida ha ucciso come punizione – Mi lasci e ti ammazzo – si può far riferimento al maschicidio. È il movente che fa la differenza. Se una moglie o ex moglie o convivente uccide per motivi economici il caso è diverso perché diverso è il movente. Perché ci sia femminicidio l’omicida deve aver avuto una relazione di coppia con la vittima e deve aver ucciso come forma punitiva – ti ammazzo perché te ne sei voluta andare -. Es. se la ex moglie di Gucci avesse ucciso personalmente Gucci e non ci fossero stati di mezzo gli interessi economici quello poteva essere un caso di maschicidio… ma sono strarari, e per quello non occorre creare una categoria di reato, un aggravante.

Davide Degada – Clelia grazie per la spiegazione… ma volgarmente ironizzavo.

Tiziana Bricchi – Clelia, davvero serve una relazione di coppia? Io, ad esempio una morte a seguito di stupro la considero femminicidio anche se compiuto da uno sconosciuto. Sbaglio?

Giorgio Moio – Giuli Luise, hai capito il senso dell’articolo. Un omicidio è un omicidio, sia per mano maschile sia per mano femminile. Ma – e mi ripeto, scusate -, se è un maschio a commetterlo è femminicidio, se è una femmina, con le stesse aggravanti di un omicidio per mano maschile, cioè persecuzione, ricatto, raggiri, premeditazione, etc., non può definirsi l’opposto di femminicidio, cioè maschicidio? Spiegatemi sta cosa.

Giuli Luise – Se una donna uccide un uomo per le stesse motivazioni, le stesse modalità, le stesse prevaricazioni di un uomo che commette femminicidio, secondo me sì, può essere definito maschicidio.

Giorgio Moio – È quello che ho evidenziato nell’articolo e che sto dicendo dall’inizio di questo nostro discorso. ma c’è qualcuno che non vuole guardare più in là del proprio naso.

Clelia Francalanza – Le stesse Giorgio. Quali sono le caratteristiche del femminicidio? Quale relazione deve intercorrere tra omicida e vittima? Qual è il movente perché ci sia quell’aggravante di reato? Si informi meglio e ne riparliamo la prx.

Giorgio Moio – Spero che anche lei nel frattempo s’informi sulle caratteristiche del maschicidio (maschicidio è un termine che potrebbe essere sostituito benissimo da un altro, ma non cambia il senso). Alla prossima.

Clelia Francalanza – No, perché maschicidio presuppone l’omicidio di un uomo per mano della donna e il cui movente prevalente è da farsi risalire alla negazione della SUA autodeterminazione “Mi lasci e t’ammazzo”. Il movente è circoscritto a quello. Se cerchi quanti casi ci sono di omicidi per mano di donne con quel movente avrai la risposta. Saluti.

Giuli Luise – Credo Clelia, che Giorgio Moio intenda che anche se un solo uomo dovesse essere ucciso con il movente “o mio o morto” quell’unico caso dovrebbe essere chiamato maschicidio. Poi che ci possa essere un numero di casi non paragonabile al numero di femminicidi non si discute.

Clelia Francalanza – Non si può ipotizzare una categoria “aggravante” per un reato che non ha un’incidenza-numero. Giorgio ha delineato in altro commento un omicidio – una donna che uccide un uomo, come se bastasse – assassina=donna e vittima=uomo, o se bastasse assassina=moglie/convivente/fidanzata e vittima=marito/convivente/fidanzato.
Non basta, perché ci sia quel reato occorre che il movente sia proprio la relazione di possesso, e la legge punisce quello con quell’aggravante, la decisione di uccidere avendo quello come movente.

Sara Vecchiato – “Maschicidio” potrebbe essere per esempio la Strage degli innocenti di Erode.

Sara Vecchiato – Oppure: nel libro di Arslan La masseria delle allodole, si racconta il massacro selettivo degli Armeni maschi da parte delle autorità turche. Si salva il fratellino dell’autrice perché lo travestono da bambina.

Vanni Galietta – Credo che il femminicidio abbia maggior risalto, giustamente, per motivi puramente loggici: il delitto passionale è in genere caratterizzato da smodata violenza, perdita del controllo e spesso si consuma nelle stesse case delle vittime; in questi casi credo sia normale tutelare il sesso fisicamente più debole e che di conseguenza tende a subire tale violenza.

Giorgio Moio – Giuli Luise, proprio questo volevo evidenziare. Hai centrato il senso dell’articolo. Ma questo te l’ho già detto. Vorrei far capire anche agli altri partecipanti a questa discussione: mi rendo conto che non si può essere compresi da tutti.

Anna Maria Di Monaco – Nadia ha già chiarito che il punto non è il sesso della vittima ma il movente. Una donna uccisa perché donna, e dunque ritenuta in qualche modo “proprietà” del padre, del fidanzato o del marito, è vittima di femminicidio. Non amo la parola e ne farei volentieri a meno ma occorre una definizione per questo particolare tipo di omicidio e il grosso problema culturale che soggiace ad esso. Poi, l’omicidio è omicidio, ma se esistono aggravanti come l’odio razziale un motivo ci sarà.

Anna Polis – Tocca spiegare sempre le stesse cose… Una donna morta perché investita da un pirata della strada è vittima di un OMICIDIO. Una donna morta perché assassinata dal suo ex, che non tollerava di essere stato lasciato, è vittima di un FEMMINICIDIO. L’unico “maschicidio” che conosco è quello fittizio descritto nel romanzo Jezabel della Némirowsky.

Daniela Rossa Iacono – Ecco, ora dovrò leggermelo.

Giorgio Moio – Scusate, non riesco a comprendere. Se un uomo uccide una donna è femminicidio; se una donna uccide un uomo è omicidio e basta? Cambia forse il movente?

Anna Polis – Dipende dal movente. Legga più sotto i commenti di Clelia Francalanza: lo spiega benissimo.

Clelia Francalanza – Una definizione di “maschicidio”, please.

Valdo Beretti – “Maschicidio” per principio non mi garba perché mi ricorda “moschicida”.

Giorgio Moio – Guarda che l’argomento è serio. Maschicidio come l’opposto di femminicidio, non solo nel lessico, ma anche nella forma.

Valdo Beretti – Per me sono ambedue parole brutte sul piano estetico, e su ciò solo intervengo. Entreranno nell’uso indipendentemente da me. Non le userò mai. Amen.

Giorgio Moio – Valdo Beretti, non era l’estetica che m’interessa, ma il senso dei due termini.

Valdo Beretti – Sì, lo avevo capito. Interessa a me.

Giorgio Moio – Non mi fraintenda, m’interessa eccome l’estetica. ma poi ci stiamo riscaldando per un termine che non ho coniato io, ma che mi sembra adatto per contrapporlo a femminicidio. Nulla di più, Valdo Beretti.

Clelia Francalanza – Maschicidio semplicemente NON esiste, perché non esiste l’aggravante omicidiaria se ad essere ucciso è un uomo. Se slegate il femminicidio dal movente, relativo alla limitazione di autodeterminazione della vittima, quel termine NON ha motivo di esistere. Gli omicidi con movente economico NON sono femminicidi, se X ammazza la moglie per ereditare è un uxoricida, prima o poi ci arriviamo, dai.

Daniel Bernoulli – Ah si, perché la limitazione di autodeterminazione della vittima c’è solo se questa è femmina, come no!

Clelia Francalanza Se ci sono ex mogli o ex conviventi che uccidono col solo movente di impedire che l’altro viva senza quello si potrebbe chiamare maschicidio. Non rilitighiamo sull’argomento per la ennesima.

Daniel Bernoulli – Ah, solo con gli ex, negli altri casi no? Dovevo immaginarlo.

Clelia Francalanza – Femminicidio è quello: omicidio da parte di un ex che uccide per impedire che l’altra viva SENZA, poi possiamo discutere di maschicidio parallelo, ma quello è.

Daniel Bernoulli – Ma perché dev’essere assolutamente una relazione coniugale? Se resta l’identico meccanismo in relazioni diverse perché fare distinzioni? È la prima volta che la sento così oltretutto.

Clelia Francalanza – Ho scritto ex marito, convivente, fidanzato amante… perché ci sia l’aggravante “femminicidio” il movente deve comportare quel tipo di movente, chiamalo “possesso”, chiamalo “impedimento alla libertà”. Se capita l’inverso, avrai il maschicidio, se non c’è quel movente prevalente no.

Daniel Bernoulli – Con “coniugale” intendo già di coppia in genere. Ci sono anche altre relazioni dove succede lo stesso però.

Clelia Francalanza – Cosa succede? Il femminicidio ha come assassino chi ha una relazione sentimentale con la vittima, di che altre relazioni parli? Se un fratello uccide una sorella o se un padre uccide la figlia o se il figlio uccide la madre non si parla di femminicidio. Se non c’è una relazione di coppia tra assassino e vittima non lo chiami femminicidio.

Clelia Francalanza – Chi ha o ha avuto, così non mi fai le pulci.

Clelia Francalanza – Quello è infanticidio, non l’ho evitato, è un altro crimine.

Daniel Bernoulli – Scusa ho tolto. Ma non parlavo mica di infanticidio. Perché escludi casi che non hanno assolutamente nulla di diverso non si capisce. Nei tuoi esempi manca “ad arte” la componente di genere.

Clelia Francalanza – Daniel, io non escludo o includo. Il femminicidio è uno specifico tipo di omicidio:
A- la vittima è una donna; B- l’assassino ha avuto o ha un legame sentimentale e ha come movente prevalente QUEL legame che non vuole interrompere. Fuori da questi A-B non hai femminicidio.

Daniel Bernoulli – Non ho voglia di approfondire se sia davvero così, ma se sì NON HA SENSO. Questa definizione fa distinzioni arbitrarie.

Clelia Francalanza – Il decreto legge è del 2013, c’è tempo per informarsi, buona serata.

Guido Perni – Esistono omicidi perpetrati da donne su uomini con la stessa precisa motivazione, il possesso e quindi la vendetta per essere state lasciate. Questi sono casi perfettamente speculari ai femminicidi, che per analogia andrebbero etichettati come maschicidi. Se il movente è il medesimo, la particolare terminologia deve valere anche se la vittima è uomo, anche se fosse uno soltanto. Se non lo si è fatto significa che non è questione di movente, ma di numeri.

Daniel Bernoulli – O di politica.

Daniela Rossa Iacono – Direi che la definizione del Devoto-Oli del 2013 sia perfettamente esemplificativa: «Qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuare la subordinazione e di annientare l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte».

Clelia Francalanza – Quella forma di possesso che è l’inverso dell’autodeterminazione. Se non c’è quel movente si dovrebbe evitare di usare “femminicidio”, sennò il rischio è quello di immaginare che basti che la vittima sia una donna, non basta… occorre una relazione di possesso-malata e che quello sia il movente prevalente.
Altro esempio, fatto altre volte, il caso Parolisi è sbagliato definirlo femminicidio, quello è un uxoricidio.

Nadia Gambis – E il Devoto-Oli dimostra con chiarezza perché non può esistere nella nostra società il “maschicidio”.

Clelia Francalanza – O meglio Nadia perché esista occorre che l’assassina uccida mossa prevalentemente da quello, cioè dall’impedire che l’altro viva altrove, viva con altre… lo ripeto, se il caso Gucci non avesse avuto il tratto economico e la ex moglie avesse personalmente sparato… quello poteva essere vicino al maschicidio – specchio del femminicidio, cioè ti ammazzo perché non sopporto di esser lasciata e che tu viva felice con altre.

Anna Polis – Infatti.

Come ci sono relazioni in cui l’uomo non accetta che la donna lo lasci/abbia lasciato, almeno in teoria può essere vero anche il contrario.

Nadia Gambis – Clelia Francalanza, sei troppo buona. In tutti i casi manca, a mio parere, la “sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale” che renda culturalmente e socialmente debole il maschio. Che appartiene alla fascia del potere, non a quella del sottoposto.

Daniela Rossa Iacono – Ma nell’eventuale definizione del “maschicidio” la parte essenziale “in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuare la subordinazione e di annientare l’identità” non avrebbe modo né ragione di esistere…

Daniela Rossa Iacono Nadia, in contemporanea…

Clelia Francalanza – Non sarebbe indispensabile Daniela. Se Ciccina, lasciata da Pancrazio, lo perseguitasse e arrivasse all’omicidio, pur di impedirgli di esser lasciata o che lui si rifaccia una vita con Antonella… Ciccina, potenzialmente è una maschicida, ossia ha ucciso mossa dal rancore-possesso.

Clelia Francalanza – Di solitio le Ciccine piantano milllenovecento grane separazione, mettono di mezzo i figli, fanno casini economico-patrimoniali, ingaggiano amanti eventualmente quali assassini… fanno altro ecco.

Clelia Francalanza – L’altra cosa che fa la differenza in ‘ste storiacce è che difficilmente una madre rende orfani i propri figli, non mi fate scrivere del caso contrario perché è in assoluto la cosa che NON arrivo a concepire, ho i limiti.

Anna Polis – Chi commette femminicidi arriva anche a uccidere i figli, a volte, oltre alla compagna.

Anna Polis – Però chiudiamola qui. Il concetto è chiaro.

Marcella Mariani – In particolare la violenza sessuale, lo stupro che quasi sempre accompagnano le morti delle donne.

Marcella Mariani – Sono le modalità a fare la differenza, la prevaricazione del maschio che approfitta della forza fisica per aggredire e annullare le reazioni della donna, i dati vanno sempre letti disaggregati non solo per numero ma per qualità e quant’altro.

Anna Polis – Femminicidi sono stati quelli accaduti in Puglia di recente: l’adolescente uccisa dal suo ragazzo nel Salento; l’altra ragazza sparata in faccia dall’ex compagno della madre (che si trovava in alta Italia). Ovvero: non posso colpire te direttamente ma distruggo ciò che hai di più caro.

Giorgio Moio – Omicidio di un uomo effettuato da una donna con raggiro, premeditazione, inganno etc. Va bene questa definizione?

Clelia Francalanza – E la correlazione all’essere maschio dov’è?

Anna Maria Di Monaco – Non è il raggiro o la premeditazione. Il movente principale è limitare la libertà e arrivare a disporre della vita dell’altro in base a una relazione malata di possesso. È paragonabile al vecchio (?) delitto d’onore, anche se ci sono alcune differenze. Casi di maschicidio ci saranno tra gli omicidi passionali ma l’incidenza è minima rispetto al problema sistemico dei femminicidi e delle violenze sulle donne.

Giorgio Moio – L’incidenza è un altro discorso, non era l’incidenza dell’uno o dell’altro che volevo evidenziare, ma il perché femminicidio e no maschicidio. Se uno ruba una mela e un altro 10 mele, commettono lo stesso reato, non le pare?

Clelia Francalanza – Perché il sistema giudiziario considera aggravante-reato un fenomeno che ha un’incidenza sociale-numerica, altrimenti saremmo pieni di aggravanti-eccezioni. Quanti sono gli omicidi in cui le assassine uccidono con quel movente? Se quel numero fosse rilevante ci sarebbe l’aggravante “maschicidio”. Se fai il paragone statistico tra vittime donne e vittime uomini la risposta la trovi da solo.

Anna Maria Di Monaco – Perché non tutti gli omicidi che hanno come vittime donne sono femminicidi. Il termine indica il movente, non la vittima. Se un uomo viene ucciso perché maschio, sono d’accordo nel chiamarlo maschicidio, ma non si tratta di una semplice declinazione di genere degli omicidi, come l’articolo che ha postato suggerisce.

Guido Perni – Clelia, quindi convieni, come ho scritto poco fa in risposta ad altro tuo commento, che è questione di numeri più che di movente.

Maria Cristina Folino – Sì. Oggi la violenza sugli uomini è in crescita, ma nessuno ne parla.

Giorgio Moio – Questa è bella, Clelia Francalanza. Se una donna uccide un uomo non esiste l’aggravante omicidaria? Le consiglio di documentarsi sugli omicidi avvenuti nella storia per mano di donne ai danni degli uomini. Vedrà quante aggravanti troverà!

Clelia Francalanza – Ok, lasciamo perdere, parliamo lingue davvero diverse, si documenti anche lei però sulla definizione specifica di femminicidio, buona serata.

Marcella Mariani – Sono davvero lingue diverse e ipocrisia a dominare le parole di alcuni uomini.

Anna Polis – Quale tipo di violenza Maria Cristina Folino? Può specificare?

Pär Larson – Ho paura che coloro che continuano imperterriti ad affermare che uomo-ammazza-donna e donna-ammazza-uomo siano azioni sempre e ovunque equivalenti, ecc., non vogliano proprio capire, o peggio che non siano proprio in grado di capire. Eppure qui sopra sono state date varie buone definizioni.

Giuli Luise – Come ho già avuto occasione di scrivere, nelle stesse identiche condizioni, rare ma credo esistano, le azioni sono equivalenti.

Sara Vecchiato – “Maschicidio” potrebbe essere per esempio la “Strage degli innocenti” di Erode. Oppure: nel libro di Arslan La masseria delle allodole, si racconta il massacro selettivo degli armeni maschi da parte delle autorità turche. Si salva il fratellino dell’autrice perché lo travestono da bambina.

Anna Polis – È una situazione differente. Nel primo caso, letterario, non sappiamo se sia realmente accaduto, e nel secondo si trattava di eliminare quelli che per l’epoca sarebbero stati i futuri capifamiglia. Il femminicidio nasce dalla necessità di possesso patologico dell’altro. Dalla incapacità di comprendere e accettare che possa continuare a vivere o “rifarsi una vita” da solo, ovvero accanto a qualcun altro.
Casi del genere, al maschile, a me non risultano.

Sara Vecchiato – Anna Polis sì quella è l’accezione più frequente di femminicidio, ma la definizione del Devoto Oli e la scheda dell’Accademia della Crusca fanno riferimento a una violenza più generica, che può includere per esempio l’infanticidio delle femmine, in quanto considerate umani di serie B, degli scarti che diventano un peso economico in famiglia.

Sara Vecchiato – Su questo piano, l’eliminazione dei bambini maschi in quanto futuri capifamiglia – mi sembra – ubbidisca a una logica uguale e contraria.

Anna Polis Sara Vecchiato – L’assassinio di una donna dovuto alla incapacità di accettarne l’autodeterminazione è un fenomeno che non ha nulla a che vedere con la eliminazione fisica di un bambino.
Le motivazioni sottostanti sono del tutto differenti.

Marcella Mariani – Se vogliamo andare così indietro troviamo anche il ratto delle Sabine, uno stupro di massa.

Sara Vecchiato – Non serve andare così indietro: l’infanticidio selettivo delle femmine di alcuni paesi asiatici viene considerato come fenomeno imparentato con il femminicidio, se non proprio come femminicidio.

Mirella Giannelli – Maschicidio è generato dal movente. D’accordo. Non dite che esiste solo nei film. Il primo marito di mia nonna fu ucciso dalla sua amante. Non c’è femminismo che possa scagionare una criminale e discolparla, soprattutto se le ragioni sono solo femministe.

Sofia Napoletano – E coniamolo questo termine, sempre che il fenomeno esista. Mettiamo che sia così, mi chiedo, sinceramente, quanti uomini siano stati uccisi per mano di una donna. Quanti sono stati infastiditi, pedinati, massacrati dopo la fine di un amore, definiamolo pure così, perché si tratta principalmente di questo. È già stato ampiamente spiegato prima. Non credo che tutti gli uomini citati nell’articolo siano stati uccisi da donne abbandonate e in preda alla follia. È così? Quando è successo? No, il tema è serio, per carità. E sì, “femminicidio” è un termine che non piace nemmeno a me, ma disgraziatamente indica una realtà molto triste. Non possiamo cancellarlo se vogliamo contrastarlo. Le parole sono importanti.

Giorgio Moio – Proprio perché le parole sono importanti, non possiamo affermare che solo gli uomini, quando uccidono le donne, sono invasi da quale atroce follia. Così non se ne esce. D’altronde se gli uomini perdono la testa, invasi dalla follia, perché ad una donna non può accadere la stessa cosa? Per concludere, non è la quantità di omicidi commessi dall’uno o dall’altro sesso che c’interessava nell’articolo, ma mettere sullo stesso piano le due “follie” perché un omicidio – e mi ripeto – è un omicidio. Non c’è un omicidio di serie A e uno di serie B.

Sofia Napoletano – E, ripeto, coniamolo questo termine anche solo per un paio di persone, sempre che esistano. Ad ogni modo, la donna potrebbe uccidere più per difesa che per follia, possesso etc… comunque, e la chiudo qui, degli omicidi di serie A, ne faremmo volentieri a meno.

Clelia Francalanza – Discolpare un’assassina perché non si nomina il reato “maschicidio”? Mirella ai tempi del primo marito di tua nonna non esisteva il divorzio, la sua amante potrebbe averlo ucciso NON per possesso (perché non sopportava di essere lasciata). Ai tempi le leggi erano diverse, non si poteva divorziare, non ho idea dei motivi per cui quella donna arrivò all’assassinio, ma di assassina si tratta. Star qui a questionare su parità di termini-aggravanti COME SE la situazione fosse un vantaggio femminile mi sembra inutile, ma è parere personale.

Mirella Giannelli – Si potrebbe aprire un trattato di semantica, grazie per la risposta Clelia Francalanza. Assolutamente non la discolpo, anzi. Non parlavo di senso del termine era piuttosto per rispondere a chi diceva che casi di maschicidio esistono nei film. In quel delitto non c’è stato solo il retaggio storico culturale ma una buona dose di follia, visto che sono stati sacrificati alla genitorialità 5 figli ciascuno dai 3 ai 12 anni.

Mirella Giannelli – Che poi per dovere di cronaca: è stata scagionata per un’amnistia reale. La sorte ha giocato a favore più della giustizia.

Clelia Francalanza – Mirella io non ho scritto che non esistono i casi, ho scritto che sono rari. La donna di cui parli non aveva modi legali per “regolarizzare” la sua situazione così come non li aveva la vittima: doveva restare sposato. Perché ha ucciso quella donna? Per non essere lasciata? Perché in qualche modo era stata raggirata/illusa? Dipendeva economicamente dalla vittima? Aveva una famiglia da cui tornare o la fine di quella relazione significava NON aver un tetto-sostentamento? Non lo so… ossia perché quel delitto si possa chiamare maschicidio – e prima del divorzio è complicato applicare quella definizione – occorrerebbe quello, cioè valutare qual era la condizione in cui l’assassina ha deciso di uccidere, se ha ucciso mossa da “o con me o morto” quello è tecnicamente maschicidio. Aveva figli con quello stesso uomo? Quell’uomo aveva promesso di lasciare moglie e figli per lei e lei ci aveva creduto? Da quanto tempo durava la relazione parallela?

Mirella Giannelli – Per tirare dal cassetto doloroso del passato di mia nonna la vicenda ho fatto un’analisi piena di mille interrogativi, ottenendo mezze verità, sbiadite dalla memoria di chi ha vissuto e permeata dall’omertà, dalla vergogna sociale e familiare da ambo le parti e intersecate tra loro, poiché vittima e carnefice erano cognati. In tutto questo: una compostezza ipocrita di ambo le famiglie ai danni della verità. Anche questo è retaggio culturale, all’epoca se non si mangiava con la verità, non c’era motivo di andarla a cercare.

Clelia Francalanza – Là è possibile che all’omicidio ci sia arrivata per un mix, cioè non ha retto il dover vivere da sorella-parente unito all’essere diventata amante e nella disperazione ha scelto di ammazzare il “soggetto-fonte”. Il fatto di nascondere e omettere da parte dei familiari può significare che non c’è un colpevole unico-netto, il bianco da una parte e il nero dall’altra. Se, ma non so ovviamente se sia questo il caso, l’assassina aveva già dato segnali di aggressività/insofferenza o se tutti sapevano dell’infedeltà e tolleravano o se nessuno sapeva e quindi assassina e vittima vivevano sotto pressione… Purtroppo quella è una delle vie finali estreme, uno di quegli imbuti in cui l’assassino si trova e decide la via più sbagliata, per disperazione più che per vendetta.

Mirella Giannelli – Mi trova d’accordissimo Clelia. E i pochi fatti concreti raccolti dalle fonti della famiglia lesa sono così taciute finora, che prevalgono le ipotesi. Ma prevalgono anche le difese della famiglia dell’assassina ricche di definizioni e parole parole… nessun fatto. Allora le dirò ho cominciato dalla fine per capire se davvero è stata scagionata per amnistia.

Clelia Francalanza – Può darsi che abbiano accertato delle attenuanti o che l’assassina fosse instabile (quello che oggi chiameremmo semi-infermità mentale per capirci) o che l’omicidio sia stato preterintenzionale – ossia ti colpisco ma non volevo ucciderti, ti do uno spintone o ti ferisco ma NON con l’intento di ucciderti. Quello scagionare è arrivato dopo un processo o senza processo? Se è arrivato senza processo e senza condanna è possibile che ci fossero TOT attenuanti o che lei non fosse stata giudicata capace di intendere, questo dovresti cmq trovarlo come documentazione nella sede-tribunale competente… in archivio conservano.

Mirella Giannelli – In archivio di stato, perché parte dei beni culturali di inizio ʼ900 sezione amnistie dopo processo, che confermo c’è stato. Così vado per esclusione. Morte violenta riporta il certificato di morte, forse arma da fuoco, in strada sotto tanti occhi del Mezzogiorno…

Morena la Pixie – Omicidio. Si chiama omicidio. Punto. (Per me).

Anna Polis – Se omicidio fosse davvero onnicomprensiva non avrebbero coniato infanticidio e uxoricidio, per dire.

Morena la Pixie – Omicidio significa che stai uccidendo un essere umano; infanticidio specifica che è un infante ma omicidio andrebbe comunque bene; uxoricidio identifica una parentela ma omicidio va bene comunque. Secondo me femminicidio è una di quelle parole che creano differenza dove non c’è e che fa suonare più grave l’omicidio di una donna come a sottolineare che l’essere donna sia di per sé in una condizione di inferiorità (nel senso di maggior debolezza). E a me come donna non è mai piaciuto: per me è omicidio e basta.

Anna Polis – Parliamo due lingue diverse, vedo. Ok, non insisto.

Sofia Napoletano Ho la sensazione che si voglia cancellare questa parola per nascondere il fenomeno. E no! Una cosa va accettata per essere combattuta. La differenza c’è e Michela Murgia lo spiega benissimo, meglio di un dizionario. Fra l’altro, sul piano fisico, noi siamo meno forti (inferiori, se vuoi, ma in questo senso) degli uomini… mica possiamo incolpare la natura matrigna? È un fatto, non una tragedia. Certo, è un fatto che rende ancora più grave questa violenza.

Morena la Pixie Anna ma no, abbiamo solo due opinioni diverse. Non ho letto il commento della Murgia (che peraltro stimo molto), lo farò e magari mi farà cambiare idea. E non posso che concordare su quanto scritto da Sofia in merito alla debolezza di base, per carità. Però boh, la parola non mi piace proprio; parlerei di un aggravante per un omicidio. Ma ripeto, è solo la mia opinione

Morena la Pixie PS. Il bello di questa pagina è che in mezzo ad un mare di violenti verbali si trovi finalmente un confronto senza pazzi furiosi che insultano a caso  (o analfabeti funzionali che rispondono, sempre insultando, con cose che non c’entrano assolutamente nulla col soggetto del discorso ahah!).

Sofia Napoletano Sono d’accordo, Morena. Ben venga il confronto, purché sia civile. Un saluto.

Alberto Zama – Prescindendo dal fatto che condivido la definizione che qui è stata data di femminicidio, faccio notare che questa parola è esempio eclatante della convenzionalità del linguaggio. Una parola che etimologicamente significa genericamente “uccisione di individuo di sesso femminile” ha assunto un significato antropologicamente, psicologicamente e giuridicamente precisissimo. Se non è convenzione questa…

Antonella Sallusti Non capisco perché, se vogliamo l’uguaglianza tra generi, continuiamo a volerli poi distinguere nella pratica e anzi a cercare e creare nuove distinzioni.

Anna Polis Uguali nella diversità, Antonella Sallusti. Uguali per diritti anche se diversi per altro. Il femminismo sessantottino ha toppato proprio per questo.

Antonella Sallusti Temo che tutto questo insistere non faccia altro che rendere l’immagine della donna un’isterica cerebrolesa. Spero di sbagliarmi.

Anna Polis Questo lo temo anche io. Esagerare e scadere nel ridicolo non è difficile.

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