FABIO PADOVAN, Otto poesie inedite


Dichiarazione di poetica

La poesia di Padovan è volutamente misterica, di quella che scava nel profondo liberando epifanie dense. Lo stile negli anni si è adagiato verso una semplicità apparente, ma l’enigma dell’esistere permane in tutti i suoi componimenti. La natura, i vecchi campi del nonno, la Follia, gli animali totemici si intrecciano a suggestioni di tele (surrealiste e astratte) che fanno della sua poesia una poesia visiva e non visionaria. Ogni tanto la malattia fa capolino e l’irragionevolezza si può apprezzare nei versi che lui non stenta a chiamare versi delirici. Il suo metodo di lavoro è paragonabile a uno scultore di marmo che piano piano svela l’opera. Infatti da semplici flussi di coscienza tramutati alchemicamente si arriva alla forma poesia (f. p.).

 

* * *

 

1.

Ridestata aurora
scorre l’ampiezza
nella colma distanza
vivo l’assenza
e mento, falsa favella  –

[fitte parole]

un vecchio di stracci vestito
mi indica spergiurando
rompe il silenzio
di questo luogo geometrico
che s’estingue, esangue.

 

2.

Sosta sui campi la notte
madre del perdono
che sguscia nel ruscello
a bramosia estinta
compiuta, santa –

 il passaggio

la luce svecchia
le cose, le anime
nella tetraggine
la morte, ordina il creato.

 

3.

Resta il pianto
una faccia che scappa,
tra forme immortali
in equilibrio stanno
a barcollare l’ora –

giunge il globo trasparente
tra due mani immacolate
che rincorrono la perfezione,
un mimo dagli occhi affilati,
diviene voce la risacca.

 

4.

Sorso d’aridità
orologi vanno al contrario
mentre liquefatte pupille
sgorgano il pianto,
orafo del nulla
cesellatura ennesima
che frusti l’attesa
il ghiaioso giardino
e la lupa gestante
che unisce le orme
di un calcante desiderio,
oranti canti, balzo.

 

5.

Il suono svuotato
dall’abisso tutto permea –

mira la vuotezza
e ciò che ne consegue.

 

6.

Resta il segno
dell’assenza
monade estatica
nicchia d’orare –

sopra dorati campi
fiotta la luce,

una canzone straziata
suona piano, ancora.

 

7.

Perdo occhi dalle tasche
ogni volta che chiedo perdono
perdo occhi dalle tasche –

le orbite son quelle dei morti
non ho bisogno di un altro amico
forse del consiglio di un libro
di una bellezza infernale

che riempia le pupille
che sgrani che incorpori

il mio ego e il non ego
in una farfalla onirica
involucro della forma
giardino imperlato.

 

8.

Fili di luce
grappoli d’uva
sommare di belletto
la donna si lava, lentamente –

mentre tutto esplode di bellezza
guardo sfasciarsi la casa dell’ego
morimmo vivendo giunti al luogo
che corpi imperlati vestimmo
nella sospinta buddità
bramando l’involucro superiore
fendendo il vento dell’anima.


Biografia di Fabio Padovan


 

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