ENRICO BUGLI, Per Ugo Piscopo

La prima volta, Ugo Piscopo l’ho incontrato sulle pagine di «Paese Sera», ero un operatore culturale ‒ allora si diceva così ‒ e Piscopo scriveva per la pagina napoletana del quotidiano. In seguito l’ho incontrato ‒ penso ‒ presentato da Luciano Caruso.

Interessante, di poche parole giuste e garbate sempre, serio, abbastanza chiuso, spesso quasi invisibile. Sorpresa! Stelio M. Martini lo conosceva dall’Università e lo stimava (fatto in sé raro). Da vicino, una persona mite, un elfo! Estremamente riservato, non parlava che pochissimo, secondo me taceva perché le cose così banali che si dicono non valgono la pena di una risposta. Di ciò mi sono, poi, data una ragione: Piscopo ha un curriculum scientifico da fare invidia a qualunque uomo di cultura fosse letterato, saggista o poeta, i suoi attributi sembrano illimitati.

La curiosità cresce intorno alle persone come lui, così scoprii che oltre ad essere un fine letterato e questo in un mondo di improvvisati non ha prezzo, aveva un tono garbato, non si dava arie e ne avrebbe avuto ben donde, inoltre trattava tutti alla pari senza spocchia.

Da trent’anni non frequento inaugurazioni e gallerie, lo ritengo superfluo, si vedono e soprattutto si sentono e vendono sempre le stesse cose trite e poi da allora non sono più addetto ai lavori: mi è restato il fascino sottile della curiosità. Questa mi risucchiò nella saletta della mai abbastanza rimpianta libreria Guida, per sentirlo parlare (finalmente), quando alla fine gli chiesi di dedicarmi la copia delle Campe del castello che avevo acquistata, ebbe un attimo e uno sguardo di esitazione: penso che forse volesse sottolineare l’ingenuità della mia richiesta, non so. La lettura successiva dell’opera mi confermò la qualità rara, di quella sottile, colta e profonda ironia dello scrittore, cosa che a me ha sempre intrigato moltissimo.

Altro: devo dire che mostrava interesse e simpatia per tutto quanto con Caruso si andava tessendo in quegli anni e benché eravamo in grave odore di eresia per un grande strato dell’intelligentsia locale, pur ebbe per noi un’attenzione garbata ed un interesse che andava oltre il suo lavoro di critico militante in un giornale di sinistra. Una critica: in questo mondo fatto di arrivisti spietati, di plagiari osannati, di mercanti e affaristi venditori di falsi valori, di tessitori di storie falsificate, una persona dello stile di Ugo Piscopo è fuori luogo.

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