DONATO DI POCE, Una questione di stile

Questo libro di poesie Una questione di stile, di Donato Di Poce, è la conferma di un grande poeta Etico, Epigrammatico, Ironico e Civile. Nel libro la riflessione metapoetica e stilistica si fonde a schegge di indignazione civile contro gli orrori della vita e della guerra e frustate di garbata ironia sulla realtà esistenziale e sul dolore del mondo e della stessa creazione poetica.
Eppure non mancano squarci lirici e visioni quasi pittoriche (del resto l’autore è anche un apprezzato critico d’arte), che aprono qua e là, finestre su altri mondi possibili pieni di vita, bellezza e umana “pietas”, che bene hanno sintetizzato il prefatore Tomaso Kemeny e Mariella Colonna (dal comunicato stampa).

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INTRODUZIONE

Come si sa i poeti non sono i malati mentali, ma i medici della civiltà e Di Poce, in questo suo scritto, prescrive come cura, come medicina, lo stile, una forma verbale che abbia il potere perturbante di rimettere in sesto il battito cardiaco del lettore e del suo microcosmo.
Del resto Carl von Linné, italianizzato attraverso la forma latina (Carolus Linnaeus) in Carlo Linneo, medico e naturalista svedese di indiscussa fama mondiale, trovò di suo gradimento «lo stile del ritmo cardiaco… l’elegante struttura del cuore, con le vene che ad esso convergono esclusivamente a stimolare la circolazione del sangue.»
Il lavoro di Di Poce si articola in due momenti, in “Il mestiere dello scrittore” e in “Non assassinate i poeti”, questa seconda parte sembra alludere a Jakobson, quando depreca la strage staliniana di talenti poetici, ma in realtà cela un rapporto di “amore e morte” con la pratica poetica. Si vedano, a proposito, i versi: «… Ma se un giorno scoprissi d’essere un poeta / un silenzio scolpito nell’urlo della Storia / io con ammirazione mi ucciderei
È facile arguire come nella scrittura di Di Poce le immagini siano emozioni camuffate o traduzioni di desideri.
Così, per salvarsi dall’essere devastato dalle emozioni stesse, pare che l’autore si difenda riparandosi dietro smisurati getti di ironia o di muraglie di auto-parodia. Allo stesso tempo, la sua scrittura, nei momenti più alti, giunge a effondere un senso di soave pacificazione, come nei versi sotto riportati:

Le cose più belle
le scrivono le rondini non i poeti allevati
tra le gabbie dell’utopia
Si fanno ricordare con commozione versi che
producono un tracciato simbolico di vita e di morte,
onorando la valenza cosmica dell’esistenza umana.

Mi riferisco, per es., a Quando un poeta muore, dedicato a Roberto Sanesi:

Quando un poeta muore
qualcosa si spegne dentro
come se qualcuno
ci avesse strappato una stella dal cuore.

Tra toni ora scherzosi, ora patetici, ora svagati, ora tragici, la scrittura di Di Poce evidenzia come l’elaborazione formale della “mondità” (=lo stile) sia, su una terra di selvaggi riciclaggi, urgente, data la luce ostile che corrode il mondo e la sua rappresentazione. (Tomaso Kemeny) (pp. 9-10

Milano, 22/12/2009

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POSTFAZIONE

“Caro Donato,
sono ancora “nello stupore” come sospesa in una nuvoletta di energia cre-attiva, cioè divisa tra il desiderio di scriverti e quello di scrivere io, tornando al mio primo amore letterario: la Poesia.
Ho scritto poesie per lunghi anni, cercando me stessa. Ma torniamo a te: ti dico con il cuore: è LA PRIMA VOLTA che leggo un libro di poesie “cesellato con l’anima”, perfetto e incompiuto come ogni vera opera d’arte, un libro dove tu riesci a dire tutto senza dirlo, ma evocandolo con la magia delle parole. Non mi è mai successo neppure con i poeti più importanti e famosi… una sequela di idee-immagini e frammenti di vita che si rincorrono e scorrono come le note di una sinfonia.
Mi dovresti raccontare com’è nato questo libro, da quale atmosfera e con quali suggestioni hai creato quei frammenti in sinergia profonda con la tua sensibilità e la tua anima di poeta. Ne ho bisogno per capire meglio assimilare i tuoi messaggi e riscrivere tutto dentro di me.
Forse l’hai già detto sinteticamente nel titolo: è “Una questione di stile”, se per “stile” intendiamo l’uomo. E questo è un mistero affidato alle parole, le tue parole “fuggitive” e sorridenti (gli occhi della Silvia di Leopardi, anche se quegli occhi erano “ridenti” e le tue parole venate di malinconia.
Ti ripeto quello che ho detto su facebook: vorrei aver scritto io questo tuo meraviglioso breve libro (altra grande qualità, il molto in poco!). Sono emozionata e adesso sì vorrei comunicarti meglio con la mia presenza quello che sento e come lo sento, ma devo affidare tutto al potere della parola.
Oppure è meglio che resti in silenzio perché, come dici tu, non so dire, non so parlare.
Sono una piccola vibrazione di gioia di fronte al miracolo del poeta-non poeta, amico di Mauro e ormai anche amico mio for ever: Donato Di Poce. Ieri su facebook, non so dove, perché ormai il nostro network è un labirinto-torre di Babele, ho capito che tu ci sei stato Donato per donare…pace. E oggi mi accorgo che davvero tu scrivi per donare e non per narcisismo, vizio di molti che si dichiarano Poeti.
Adesso ti vorrei dire tante altre cose, ma preferisco rimanere almeno per un po’ nella nuvoletta magica creata dalle tue parole”. (Mariella Colonna) (pp. 75-76)

Roma, 12/12/2012 ore 23:28:00

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ESTRATTI

Il mestiere dello scrittore

Oggi ho portato con me
Virgole, sospiri e puntini di sospensione
Mentre i trattini li ho ammucchiati
Qua e là dietro l’emozione.
Ho portato anche le metafore cometa
Il trenino di Bogotà
E persino il fiore con postilla allegata.
Non ho scordato
Il manuale di stile
E nemmeno l’ispirazione.
Perché la vita oggi mi fa male
E non voglio fare
Nemmeno un errore grammaticale. (p. 15)

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Questione di stile

I tuoi versi sono grigi – mi dissero –
Mancano di stile
Sembrano racconti in conclusi.
Forse non sapevano che la Poesia
Mi trasforma continuamente
Un giorno sono Curdo, l’altro Albanese
Un altro ancora, sono un treno
Colpito per errore da un missile Americano.
Credevo d‘essere nato per scrivere Aforismi
Ma la Prosa della vita mi confonde le idee
E domani forse sarò dentista, medico, giardiniere.
Io lo so!
Non sono un Poeta
Ma la poesia mi dorme accanto
Con in tasca una scatola di colori.
Io non so cos’è la Poesia
Ma la vita credetemi
È una questione di stile. (p. 16)

*

III

Ma ci sono parole
Che ti nuotano dentro
E brillano come stelle d’acqua
E inseguono la bellezza
Tra i frammenti perduti
Dentro un abisso. (p. 22)

*

Le cose più belle

Le cose più belle
Le scrivono le rondini
Non i Poeti allevati
Tra le gabbie dell’Utopia.
Le cose più belle
Le scrivono i pazzi, i criminali, gli offesi
Non i Mandarini della Rivoluzione.
Le cose più belle
Le scrivono le foglie
Non gli uomini arrampicati
Agli alberi della conoscenza.
Io non sono rondine, né pazzo, né foglia
Per questo non so scrivere
Le cose più belle. (p. 17)

*

I miei poeti preferiti

Leopardi, per aver respirato
Fino all’ultimo l’infinito.
Saba, per essere stato onesto con tutti
Anche con se stesso.
Ungaretti, per aver cercato l’immenso
In una parola sola.
Sereni, il più grande Poeta
Del silenzio creativo.
Penna, che ha scontato la vita scrivendo.
Pasolini, per la sua lettera al Papa
E le sue Eresie.
Caproni, per aver raccolto tutte le parole
In fuga dall’anima mia.
Roversi, per aver scritto
Un libro che non c’è.
Rimbaud, perché gioca a scacchi con Duchamp.
Apollinaire, perché amava l’Arte.
Withman, perché s’addormentava tra le foglie.
Celan, per essere sopravvissuto alla Storia.
Rilke, perché ha vissuto dieci anni senza scrivere nulla.
Pessoa, per il suo occhio Giapponese.
Prevert, perché amava la gente.
Borges, perché vedeva solo con l’immaginazione.
Giordano Bruno, perché mi ha dettato
Gli Aforismi Satanici.
De Andrè, perché era un Poeta
Che sapeva anche suonare.
E pensare che io
Stavo quasi per diventare scrittore. (p. 18)

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Consigli a un giovane poeta

Ti chiederanno una Poesia
Piena di altruismo e solidarietà
Una metrica geniale
E un sonetto a punta.
Ma tu non dirgli
Che sei una nuvola
E che hai tanta paura del domani.
Ti chiederanno se l’amore
Per te è importante
Ma tu non rispondergli
Con inchiostro di baci.
Ti inviteranno al banchetto
Delle parole nuove
Ma tu non dirgli
Dei tuoi silenzi colorati.
Ti chiederanno infine
D’essere mago, genio, scrittore
Ma tu continua ad essere un Poeta. (p. 19)

*

IV

Quando un Poeta muore
Solo gli Angeli di nascosto
Compiono il destino delle parole
E scrivono con il respiro
Il sogno dei Poeti.
E l’aurora è una ferita
Che sanguina il mistero della creazione. (p. 23)

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Suture

Siamo gli Avatar di corpi invisibili e disabitati
Le crepe di un futuro negato
Argini d’umanità che gravita
In una Galassia vuota.

Siamo fatti di solitudini spezzate
Di silenzi interdetti e sogni spezzati.

Siamo le voci di notti masticate nel buio
Tra vuoti strappati di stelle fradice
In ascolto di chi tra noi griderà l’ultima visione.

Siamo anime fluttuanti nell’infinito
In attesa di parlare con le persone e le cose
E ascoltare il dono di verità nascoste.

Cercheremo luci nell’ombra
E di dare senso alle cose senza senso
Prima che la lama delle tenebre
Squarcerà le suture che ci tengono in vita. (p. 66)

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Vorrei che la poesia fosse viva

Vorrei che la poesia fosse viva
Come una diaspora del surreale
E un velo di verità sulle ferite dell’umanità.

Vorrei che la poesia fosse acqua sorgiva
Un ponte d’amore futuro
Tra i rivoli di delirio inchiostrato.

Vorrei che la poesia fosse una bestemmia d’amore
Un dialogo di rifrazioni d’umanità
Contro l’assenza d’amore.

Vorrei che la poesia fosse una parola impiccata
Alla crudeltà del giorno
E una zolla di silenzio straziata
Nel cuore di un niente disabitato. (p. 67)

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Vivo nelle cose che non so trattenere

Vivo nelle cose che non so trattenere
In tutto quello che non vedo
E nelle parole che non so dire.

Mi perdo nel silenzio delle cose
Come polvere che fluttua nel vento
Ascoltando i ritmi sbagliati del silenzio.

Sarò guardiano delle parole scomposte
Che balbettano nell’assenza dei vivi
Ascolterò la dissonanza di una visione
Che si ostina a vivere nelle pause del respiro. (p. 68)

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Biografia di Donato Di Poce

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