Tra i rami e le nuvole
Se mi cerchi
sono tra i rami
e le nuvole,
a disegnare
una nuova e sottile voce
alle osannate utopie
assopite,
annebbiate dal tempo.
Vieni a cercarmi
domani
con la luce
di un giorno nuovo,
lontano
dai consueti luoghi
del rimpianto,
con gli occhi
di un bambino
per mietere
i frutti
di questi cupidi rami,
che si intrecciano
tra le dissipate nubi.
Se mi cerchi
sono tra le foglie leggere,
a misurare il vento,
a rintracciare
le soglie di questo
cupo inverno.
Falene
Nei tuoi occhi,
svelati dalla luce,
informi falene
blindano con destrezza
il mio sognante cammino.
Mi offrono un viso
dove l’impronta del Diavolo,
cucita sulla pelle,
ricama un folle potere
intriso di odio e raggelante passione.
Disegno la dimora
dei miei occhi
e il silenzio della tua voce
mi avvolge in un guscio roccioso.
Lentamente mi imprigiona,
in una bocca di fuoco mi lacera,
trafigge il mio cuore con struggenti parole,
crudelmente induce all’autodistruzione.
Il canto della monotonia
Sospiri riempiono le serate di inerzia.
Distanti e inermi nel mondo,
anche questa sera
le nostre braccia prolungate
diventeranno rami
che tristemente avvolgeranno
i nostri corpi
immobili e spogli,
simili ad alberi
affiancati su viali.
Nel mio paese, la morte
Ali d’aria
gettate nel fango,
decomposte anime
sul paese della rovina
in cerca di pasti
e frugali sentimenti.
Chiamami
sulla via dell’abbandono,
ho tra le mani
una serie di astri,
stelle di elementi nocivi
che danzano sulla morte.
Fiumi di seta
sfociano nei mari,
come capelli di Diavolo
affliggono e disincantano
silenziosi utopisti.
Svegliami
sotto le artiche montagne,
ho nelle membra
miseri tesori,
ricordi sfocati
simili a sfere di lacrime.
(il male)
(la mia mano è un fiume
che sfocia attraverso le dita
nel tuo mare di sangue e di fuoco.)
L’ attesa
La luce del giorno
svela l’effimera sostanza
dei miei occhi.
Supremo al mio cospetto,
un monte si erge
come un’elevata muraglia
Giunge con una gelida coltre
la stagione invernale.
Un soffice e candido tappeto
ricopre il sentiero,
atrofizza parole.
Parole che sfuggono
tra le graffianti mani,
parole dimenticate,
oscurate dall’oblio.
Vorrei che la notte
accolta nel silenzio,
mi stringa nel suo algido abbraccio.
Perduto,
rimembro alle fragili attese
di ogni tuo sguardo.
Ho colto l’immenso, l’eterno, il soave,
lo stupore della mia amarezza
di ogni tua mancata carezza.
Terra, genitrice funesta
sovrana dell’indigenza
rendi il mio spirito
Imperatore del vuoto.
E soffro, verso umido dolore
un fiume che traccia,
con macabre sfumature,
uno sgradevole
ed insanabile tormento.