DICHIARAZIONE DI POETICA
Lev Trotsky diceva che la vita umana ha significato solo nella misura in cui sia posta al servizio di qualcosa di infinito. Ciò che dovrebbe piacere della vita è proprio questo porsi verso l’infinito. Ma che cos’è l’infinito? Invece di parlare di infinito, non è meglio parlare dell’indefinito? Perché la vita materiale e spirituale si dirigono verso un qualcosa di indefinito che non conosciamo o che è più grande di noi. Allora nella vita tutte le nostre azioni e i nostri progetti sono importanti ma allo stesso tempo nulla ha un senso, perché poi tutto verrà lasciato per l’indefinito che è speculare all’infinito. Per questo, molte volte, non bisogna prendere la vita con eccessiva serietà. E la poesia? La poesia è una cosa seria? Direi di sì, anzi, la poesia ha bisogno di serietà e rispetto. Innanzitutto, la poesia non è una cosa semplice. Fare poesia vuol dire sempre mettersi in discussione, fare continua ricerca e studio del proprio stile linguistico, imparando e assimilando da ciò che gli altri poeti del secolo scorso hanno scritto. Essere poeta è una forma di resistenza perché siamo emarginati dal panorama culturale e minimalista dei tempi di oggi. Questo perchè la poesia non vende, non crea profitti, perché l’unica cosa che conta nella nostra società è il mercato. La poesia come forma d’arte, come crescita interiore, spirituale e culturale è finita. Il poeta riassume nella sua vita tutta la precarietà materiale della vita e deve combattere contro il declassamento antropologico dell’umanità che ha gettato non solo la poesia, ma l’arte in generale, alle ortiche diventando in molti aspetti un fenomeno da baraccone. C’è chi pensa che per essere poeta basta svegliarsi una mattina, prendere la penna e con un foglio davanti scrivere quello che gli passa per la testa. Invece la poesia è una grande fatica. Per saper suonare bene uno strumento musicale ci vogliono ore ed ore di studio e di pratica. Lo stesso vale per la poesia. È prima di tutto conoscenza di se stessi e nel lungo percorso di conoscenza, insieme allo studio storico e letterario della poesia, si potrà tentare di realizzare delle immagini poetiche attraverso le figure retoriche (anche con l’utilizzo associato di suoni musicali in sottofondo come i dub poetry giamaicani) che non devono mai essere eloquenti e definiti. La bellezza estetica della poesia è proprio nella sua incompiutezza e nel suo non dire; la capacità di creare un disegno con i versi che possa essere visibile anche al lettore/ascoltatore. Ancora meglio se la poesia non avesse più i versi, se non fosse più scritta e orale, se la poesia del futuro fosse fatta solo di immagini in movimento, di gestualità ed espressioni mute, di suoni, di rumori, di profumi e di cattivi odori. Sarà così la poesia del XXI secolo?
*
Sono morti gli astri in questo stagno,
son caduti dal paggio con i passi in ostaggio.
Misero languire di rantolo stelvio,
e i giardini sprangati su carezze di fango.
Ben allestite le bare spiaggiate
sul trenino di Sabato con la divisa di fabbrica.
Tetri, spenti, le chiese di merci,
di un’Africa gelida, un’ayahuasca di chierici.
Non conoscono le bare lo strappo della terra,
il farsi mendicante da un furgone di afta.
E mangiare la iuta nel selciato dei templi
chiedendo dell’acqua a una puttana cadente.
Sostare sui fossi, le minerarie bellezze,
e le percussioni di alloro, di stemmi e ribrezzi.
Ci troviamo riuniti tra gli inglesi proficui,
con i nostri dialetti, fra le rocce di ortiche.
Con la miseria si paga per gli sbagli di scelta,
non volevamo solo l’aria impiattata e disunta.
Ma cinguettano gli oracoli luminosi alla mano,
per coloro che cercano e non sanno che fare.
Siam frutti marciti sputati dai vermi,
che vanno lontano a lavar le padelle.
Perché per lavorare oggi serve una cosa,
un’iniezione di estrogeni alti a iosa.
Che sanno rivendicare il loro gender con grido,
ma lo prendono nel culo nel giorno di paga in silenzio.
E non servono i club di uranisti convinti,
ci sono i call centre a renderli vivi.
Eh! Poveri diavoli i trentenni solenni,
scadenti, deprimenti, impazienti e negligenti.
Bare mature di gialla pisciazza,
abbiam perso, esigiamo l’erranza.
*
Non vola nell’organza
il mio cuore di mozzo
vestito di bitume di pizzo
e sull’albero del rosario
sporco di sesso
c’è la disfagia della vista
la disfagia dell’aria e del tempo
che sbrana il ventre delle ombre di goccia.
Polline di rame
fibre scolpite
mandate un canto di runa appassita
stipate il grimore al sigillo recinto.
Il canto dispiana nelle notti acciaccate
quelle voci irlandesi
profumate di terra
di signora dipinta di grigia eminenza,
mi lavano il capo
e lo sterno ammaccato.
*
Dall’alto dell’aereo la terra è un’eruzione di gioielli,
e noi siamo pulviscoli che aspettano lo sprint dell’amplesso
o di un petting cosmopolita
per diventare come monete sorde di una mancia distesa sul tavolo.
Dall’alto dell’aereo la terra cancella i suoi sintagma marci.
*
Dimenticarti nei mantelli di facciata,
candeggiava dove scivola e si accascia
l’immaginazione santuaria in battaglia.
Nella marmaglia si spegneva
nella corrida senza tori
tra zerbini stranieri con lauree di paglia
venti viaggianti ornati senza aspetto.
*
Cosa altro c’è lì?
Lo smottamento delle giunture di buio,
voli di angioli.
Un fischio malato ricade sui piedi bruciati,
voci di aiole.
E frutti ispidi crescono e ricrescono.
*
Le cipolle non fanno più piangere
Sono state sanitarizzate e ospedalizzate nelle tende di fortuna
Bruciatele con il napalm!
<< Roger, Sir! >>
Alla radiotrasmittente il soldato “dona-budelle-allimpero”
Appollaiato sul coleottero ferroso con la croce di S.Andrea a rotazione anti-mai
Ordine! Decifrare manoscritti pre-umani.
Quando?
Camerati
Macerati
Ricamano
Accumuli
Di marcie
Arcuate
E nelle mattine già morte la biosfera si sveglia in frammenti sepolti nella fogna.
Prudenti o provvidenti
le pietre hanno le vene, le ossa, le orecchie, custodi immagazzinatori millenari di misteri dilettuosi.
Basta prenderli e poggiarli sul viso per sentire lo strato rigonfio dei loro polmoni,
lo sfregamento giamaicano danzante dei corpi,
e invece, Parola d’Ordine: Domotizzare! <<All right? >> << Yes, Sir >>
Domotizzare gli impianti della casa
Domotizzare le gambe quando sei stanco di camminare, o i grattini sulla schiena.
Domotizzare quando ti masturbi senza voglia o caghi seduto sul cesso senza più spremerti le idee.
Domotizzare è come sodomizzare, e lobotomizzare è come invandrare (immigrato in svedese)
Oh sorry! Volevo dire sterilizzare come gli svedesi facevano con certe persone in passato
<< Roger, Sir! >>
Niente più fa piangere se la vita è teatro NO
e le ghiandole lacrimali manipolate geneticamente sono inattive.
Ma la domotica con una tastiera di pulsanti apriranno le maschere di ceramica
e le lacrime scenderanno solo nel momento che serve.
Cioè quando?
Camerati
Macerati
Ricamano
Accumuli
Di marcie
Arcuate
*
Il colombo zoppica beccando le rasoie degli istanti
e il pane rancido storpiato dalle labbra dei roseti,
dagli occhi impiccati di una donna
con le unghie smaltate più grandi della sua età.
Si accovaccia il colombo
sulle pozzanghere dei rimorsi vomitati
sui marciapiedi di isolamento umano
di risaie decadenti e asciutte.
Quella tossica strafatta raccoglie le sue piume
per un cunnulingus di veemenze da stagliare.
*
Quando mi tolgo gli occhiali
vedo una pianura di catrame e
pietre enormi a forma cilindrica con
sopra quattro piccoli uomini
quanto il palmo di una mano attorno
ad un fuoco infreddolito.
Tra queste pietre, una massa di rumori in cammino
sotto un cielo fil di rame.
Quando rimetto gli occhiali
vedo una tv a colori e
una famiglia allegra che fa colazione.
Condivido pienamente questo articolo. Il mio commento lo lascia con questi miei versi .Cordiali saluti
CI PROVANO IN MOLTI
Ci provano in molti ad oscurarti nel silenzio
dell’ombra con profumo di rose in bocche
di fiele, lo spirito e la carne si contendono
la piazza, al belato dell’umile capra si oppone
la voce di chi si fa padrone del cuore.
Ci provano in molti a soffocarti con parole
che parlano di nulla: il sorriso disumano
che sorride sorrisi tra vie oblique d’inganno,
nani che diventano giganti, ulivi saraceni
che colpiscono il viandante con frecce di faretre
nascoste sotto ruderi solitari che sfoggiano sapere.
Il poeta è un folle che gronda sangue d’insulti,
una bandiera senza seguito in una terra a brandelli,
l’inutile stolto che mendica la diafana luce
percorrendo fosche montagne per scontare il calvario.
Il mormorio del caos dorme nelle cimase dell’anima
ove nessuno può uccidere le folli falene.
Ci provano in molti a serrarti la voce nelle stanze
delle magie e del disordine, dove corvi e volpi
preparano la nostra via crucis e lenta scorre l’agonia
che tenta di condurci sulle orme del Getsemani.
Il poeta è un reietto, sconta la lebbra delle sue parole,
in solitudine versa olio sulle ferite dello spaesamento
in attesa del Folle, per tutti scandalo e stoltezza
ma in grado di aprire la tomba sepolcrale del cuore.
Domenico Pisana
30 MARZO 2018